1Corinzi: Introduzione



Introduzione alla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi
Siamo tra il 54 e il 57 d.C., a Efeso, dove Paolo sta cercando di fondare una comunità. Gli giungono voci che invece in quella di Corinto sta succedendo di tutto: i cristiani sono divisi, si stanno verificando scandali sessuali, c’è divergenza su come comportarsi con le carni immolate agli idoli, le assemblee liturgiche sono in preda al disordine e, ultimo ma non ultimo tra i problemi, non si sa cosa credere circa la risurrezione dei morti.. l’Apostolo decide di scrivere loro. Nasce così la Prima Lettera ai Corinzi, o meglio la seconda, dato che nel quinto capitolo (5,9-13) veniamo a sapere che c’era stata una precedente lettera (definita dagli studiosi precanonica), purtroppo per noi andata perduta. Fosse andata diversamente, oggi avremmo forse una Bibbia composta da 74 e non da 73 libri. Non lo sapremo mai. Tornando alla canonica Prima ai Corinzi, è unanimemente definita sia una lettera “pasquale” – dati i riferimenti alla celebrazione della Pasqua (cfr. cap. 5) e alla risurrezione di Gesù –, sia la più pastorale che ci abbia lasciato Paolo, ma perché? Perché l’Apostolo, da bravo pastore qual’era (forse prima ancora che teologo), non scrive alla Chiesa in generale, ma ad una comunità ben precisa, fatta di volti concreti (il responsabile della sinagoga Crispo, Tizio il Giusto, Erasto, l’attuale assessore alle finanze della città, Cloe, ovvero “la bionda”, ecc..) e che abita le preoccupazioni dello spazio-tempo in cui vive e che, pertanto, vanno lette anzitutto come tali. Resta vero che i “consigli” e gli ammonimenti da lui dati possono essere validi sempre, a patto che si sappia attualizzarli. Ma questo è ciò che richiede ogni testo a noi lontano nel tempo, la Bibbia su tutti. La comunità che si trova di fronte è quella di Corinto – in cui Paolo aveva vissuto per diciotto mesi – al tempo una metropoli che, per alcuni, superava forse il mezzo milione di abitanti, tre quarti dei quali schiavi! Era dotata di ben due porti e dell’Acrocorinto, quel picco sul quale si ergeva il tempio di Afrodite, che si diceva avesse mille prostitute sacre, le ierodule. Per tale ragione il vocabolario di quegli anni conobbe il neologismo korinthizein, letteralmente “corintizzare”, ovvero il “darsi alle orge”. In questa città l’Apostolo ci arrivava dopo la cocente delusione patita ad Atene, luogo in cui la semina del vangelo non era andata proprio a buon fine. E a Corinto incontrò Aquila e Priscilla, coniugi presso i quali si stabilì, dato che, precisano gli Atti degli Apostoli, «erano del medesimo mestiere.. Erano infatti.. fabbricatori di tende» (At 18,3). Scritta verosimilmente nella primavera del 57 d.C., questa lettera è tuttavia di un’attualità incredibile, ma per comprenderlo occorre entrare, anche se per sommi capi, nelle tematiche affrontate. In primo luogo la gnosi (dal greco “conoscenza”), definita dal cardinal Ravasi come la «scheggia di un cristianesimo impazzito», convinta che quanto più l’uomo cresce nel sapere, tanto più è in grado di salvarsi da solo. Non è forse un problema della nostra epoca?! Gnosi che distingueva gli uomini in ilici (hyle in greco è la materia), psichici, dotati sì di un’anima, psychè, ma non ancora capace di varcare la soglia del mistero, tappa raggiungibile solo dai pneumatici, quelli dotati cioè di spirito. A costoro Paolo risponde con un termine violento, che può urtare la nostra sensibilità, dice infatti che a Dio è piaciuto «salvare i credenti.. con la stoltezza della predicazione», «morìa toû kerỳgmatos», letteralmente “con la stupidità della croce”! Ma, siccome “stupidità” è offensivo, si è cercato di abbellire il termine.. In secondo luogo abbiamo le divisioni comunitarie: chi era “di Apollo” (un oratore forse più bravo di Paolo), chi “di Cefa” (cioè Pietro, la colonna!), chi “di Paolo” e chi “di Cristo”. Anche in questo caso, non basterebbe sostituire tali nomi con quelli dei nostri parroci o predicatori o teologi preferiti, per attualizzare il tutto? Ecco poi i problemi relativi all’etica sessuale: a Corinto c’è un cristiano che vive con la moglie di suo padre, non necessariamente sua madre. In regime di poligamia – concetto culturale a noi assai lontano – capitava che qualcuno finisse anche “nel letto” della suocera, tipo di incesto probabilmente praticato nel mondo greco. Non è un caso che l’intera Bibbia prenda così sul serio la tematica sessuale e, per contro, descriva l’idolatria come forma di prostituzione. La Prima ai Corinzi tratta quindi gli stati di vita: l’indissolubilità del matrimonio, la verginità come segno della capacità di donarsi totalmente (anticipando in tal senso il paradiso), la vedovanza, ecc.. C’era poi una questione delicata che animava la comunità, che possiamo riassumere con un esempio: un neoconvertito cristiano si reca ad una festa al tempio, invitato da amici pagani, e rimane del cibo sacrificato agli idoli, cibo che viene portato a casa per banchettare.. cosa deve fare quel cristiano, mangiare o no quel cibo? Ben sapendo che il problema non sta nel cibo “in sé”, Paolo suggerisce tre principi guida: essere liberi, amando, ma sempre con prudenza. L’Apostolo fa inoltre riferimento all’assemblea liturgica, raccomandando ad esempio alle donne di indossare il velo, usanza ancora attuale. Ma per quale motivo? Nella cultura greca la donna non velata era considerata una prostituta, per il semplice fatto che i capelli, mostràti, erano una parte del corpo ritenuta erotica, e ciò vale ancora oggi (basta fare attenzione alle pubblicità degli shampoo..). Altro tema trattato è quello della diversità e varietà dei carismi, dal greco “doni”. E, anche in questo caso, la tentazione è più attuale che mai: un certo cristianesimo non vorrebbe forse una Chiesa monolitica, composta da “soldatini” tutti uguali?! Guai a noi se fosse così, che brutto sarebbe. Ma soprattutto, quali sfumature della bellezza ci perderemmo! Il vertice di questa lettera però è senz’ombra di dubbio il celebre  e meraviglioso “inno alla carità” (13,1-13), che culmina con le virtù teologali, fede-speranza-carità. Quest’ultima, l’amore fraterno, oblativo, gratuito, quello che nulla chiede in cambio, è così centrale da far dire a Giovanni che «Dio è amore» (1Gv 4,8). George Orwell (1903-1950), lo scrittore conosciuto soprattutto per il romanzo 1984 – libro che ci ha regalato il concetto di “Grande Fratello” – , in un’altra opera, Fiorirà l’aspidistra, critica duramente il capitalismo. Ma come lo fa? Citando l’“inno alla carità”, sostituendo però quest’ultimo termine – che ricorre nove volte – con “denaro”: geniale! E anche in questo caso l’attualità non manca: non è forse facile, oggi più che mai, sostituire il Dio che per noi si è fatto “schiavo” con il denaro, che del potere è simbolo più di ogni altra cosa? Infine ecco “il” problema, quello principale, e non solo per la comunità di Corinto, ma per ogni cristiano, anzi, per l’uomo di tutti i tempi: la risurrezione. «Se infatti.. Cristo non è risorto.. siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (15,16-19). Su questa «pietra viva, rifiutata dagli uomini» (1Pt 2,4), sta o crolla l’intero edificio universale..                                       

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

 

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