Atti degli Apostoli 28,16-20.30-31 con il commento di Manuel Mussoni

Dagli Atti degli Apostoli
At 28,16-20.30-31 

Testo del brano
Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia. Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
J.S.Bach.Orchestral Suite No.3 in D Major BWV 1068. Air on the third String. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Manuel Mussoni

Meditazione
Un finale pieno di colpi di scena quello che caratterizza la vita di Paolo. Durante il racconto dell’ultimo, avventuroso viaggio verso Roma, torna frequentemente questa indicazione temporale: «dopo tre giorni». Nemmeno lo storico o il giornalista più scrupoloso sarebbe così preciso nel riportare un dettaglio del genere; dobbiamo considerare quel riferimento un messaggio. «Dopo tre giorni» ci rimanda immediatamente alla resurrezione di Cristo. Il tratto finale della vita dell’apostolo delle genti sembra un autentico dramma secondo criteri umani, mentre assume una luce particolare in riferimento alla vita dopo la morte. Durante l’ennesima arringa difensiva, destinata più a raccontare Gesù che a salvare la propria vita, Paolo usa un’espressione un po’ strana: «è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». Rivolgendosi ai notabili dei Giudei, racconta come fossero proprio loro a interpretare la Legge e i Profeti descrivendo l’attesa di un Messia che sarebbe divenuto il Salvatore. Il termine messia indica “unto”, colui che è consacrato per una missione speciale. In greco lo traduciamo con Cristo. Paolo lamenta che dopo una lunga attesa, proprio sul più bello, gli occhi degli uomini sono stati incapaci di riconoscerlo. Lui l’ha incontrato, ha creduto, e ora non può fare a meno di annunciarlo. Questo è il motivo delle sue catene. I Giudei non accettano che quel Gesù venisse definito “figlio di Dio”, e ritengono Paolo e gli altri seguaci di Cristo una setta pericolosa. La prigionia a Roma è leggera, l’apostolo si trova ai domiciliari in una casa presa in affitto, sotto vigilanza di una guardia. Vive così due anni potendo parlare con grande libertà di Gesù. Lo fa senza sosta e senza freni. L’avvicinarsi della morte non diminuisce il suo vigore spirituale, ma lo aumenta. Emerge una domanda che ci fa vicini ai Giudei di quegli anni: la nostra attesa di felicità e di senso, ha riconosciuto la presenza di Gesù nella nostra vita?