Lettera ai Romani 4,1-8 con il commento di Christian Montanari



Dalla Lettera di San Paolo apostolo ai Romani
Rm 4,1-8 

Testo del brano
Fratelli, che diremo di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha ottenuto? Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere: «Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti; beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
A.Fulero. Final Reckoning. Licenza della raccolta audio di YouTube

Meditazione
Christian Montanari

Meditazione
«A chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia»: caspita quanto cozza questo con la mentalità nostra, soprattutto di noi occidentali, figli di una mentalità produttiva ed efficientista. Sono fra l’altro consapevole che il rapporto tra fede e lavoro è un equilibrio delicato.. in altre parti della Sacra Scrittura viene sottolineata l’importanza del lavoro.. Dio stesso all’inizio (nel senso delle prime pagine del libro della Genesi) viene rappresentato come uno che lavora, un artigiano, un giardiniere. Dio “artigianalmente” con le sue mani crea l’Universo intero, con le sue mani impasta la terra per fare l’uomo. Allora l’attenzione cui ci riporta qui san Paolo non è tanto nello svilire il lavoro (le opere), ma nel ricordarci il primato della fede, nel ricordarci che il primo che lavora, che opera, è Dio stesso e noi siamo invitati, fidandoci di Lui, a farci suoi collaboratori, riconoscendo che il primato è suo, è Lui che ispira i nostri pensieri, fa luce sui nostri passi e ci indica il sentiero. È Lui che guida le nostre mani. Solo se accogliamo questo cambio di mentalità possiamo comprendere che non siamo noi a farci buoni con le nostre opere (anche perché non c’è bisogno che “ci facciamo” bravi e buoni, perché Dio stesso ci ha creati come cosa «molto buona»), non siamo noi a renderci giusti, ma è Lui che ci giustifica (ci fa giusti), è Lui che solo per amore suo ricopre i nostri peccati, e per farlo non aspetta le nostre buone opere, no, non può aspettare, perché il suo amore per noi è urgente, e perché sa che le opere buone sgorgano dal sentirsi amati e non il contrario. E allora noi non dobbiamo fare nulla? Certo che no! Noi dobbiamo ascoltare, aprirci a Lui e collaborare lasciandolo fare, perché Dio ci ama a tal punto da lasciarci liberi e, quindi, non ci forzerà mai contro la nostra volontà, come ci ricorda il testo dell’Apocalisse, in cui ci dice «Ecco: sto alla porta e busso» (3,20).

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