Lettere di Giovanni: Introduzione



Introduzione alle lettere di Giovanni
«Chi muore – affermava il Nobel per la letteratura Elias Canetti – porta con sé nella tomba il cuore di un altro e il suo continua a vivere in un’altra persona». Le parole di questo scrittore bulgaro possono fare da cornice alle tre Lettere di Giovanni, il cui scopo è far sì che i cristiani si rendano conto di possedere, già ora, la vita eterna (cfr. 1Gv 5,13). Quest’ultima, però, è tale non solo perché non ha fine, ma anche perché – a rigor di logica – non ha inizio.. tuttavia è fissabile in un punto non tanto cronologico, quanto piuttosto – dicono gli studiosi – kairologico, qualitativo. C’è insomma un momento speciale che “inaugura” la vita eterna: l’incarnazione di Gesù. È per tale ragione che la prima Lettera di Giovanni, ad esempio, viene letta dalla Chiesa durante tutto il Tempo di Natale. Questi tre scritti – che rientrano nelle cosiddette “lettere cattoliche” (cioè “universali”) assieme a quelle di Pietro, Giacomo e Giuda – fanno parte del corpo giovanneo, ovvero quel complesso letterario e teologico che, assieme all’omonimo Vangelo e all’Apocalisse, si rifà all’apostolo ed evangelista Giovanni e alla sua cerchia. Tra le Lettere, probabilmente opera dello stesso autore, occorre poi fare alcuni distinguo: la prima non è una lettera, dato che manca di mittente, indirizzo, destinatari e saluto finale. Si tratta piuttosto di una specie di riflessione teologica, un testo di meditazione destinato alla comunità per l’annuncio, la catechesi e la formazione della stessa. Ma perché? Perché i destinatari specifici, probabilmente le Chiese della provincia dell’Asia – anche se i temi trattati sono come già detto universali – sono in crisi, dovuta al fatto che al loro interno alcuni pretendevano di aver raggiunto una conoscenza superiore, perfino al mistero di Cristo. Si profilava quindi una duplice eresia: da una parte veniva messa in discussione la divinità di Gesù, dall’altra se ne negava l’umanità. Oggi la situazione, seppur posta in altra maniera, è forse diversa? Non mi pare.. Il comportamento poi che costoro avevano nei confronti dei fratelli, ne era dunque la logica conseguenza: li guardavano dall’alto verso il basso. Cosa fare allora di fronte agli «anticristi», a questi falsi maestri? Tornare alla fonte proponendo loro, o meglio a quanti sarebbero tentati dal seguirli, la radicalità del Dio di Gesù Cristo, la sua essenza: luce (1Gv 1,5), giustizia (1Gv 1,9; 2,29) e amore (1Gv 4,8.16). È quest’ultima parola, in particolare, ad aver caratterizzato la prima lettera dell’apostolo. Se la tripartizione della lingua greca in eros, philìa e agàpe è ormai celebre, sono meno conosciuti altri tipi di sfumature che gli antichi greci davano a questo vocabolo: anteros, per indicare l’amore corrisposto; himeros, la passione del momento; pothos, il desiderio verso cui tendiamo; storge, l’amore di appartenenza, ad esempio tra parenti, quello familiare; thelema, il puro piacere di fare qualcosa, ad esempio uno sport; pragma, l’amore di lunga data, quello degli sposi ormai rodati dall’esperienza di coppia; philautìa, l’amore per sé stessi, che può assumere forme più o meno sane, più o meno narcisistiche; aggiungiamoci infine il termine latino ludus, col quale si definisce l’amore giocoso tra bambini o quello che intercorre all’interno di una coppia, in cui i due sono ancora intenti a conoscersi. Concretamente, se «Dio è amore», significa che è Lui l’artefice e l’artista dell’amore di coppia, dell’amicizia, della gratuità, dei legami familiari, delle passioni che ci animano, della fedeltà e così via! L’amore, ci ricorda inoltre lo psicanalista e filosofo tedesco Erich Fromm nel suo capolavoro L’arte di amare (1956), è appunto un’arte, per cui «se vogliamo sapere come amare dobbiamo procedere allo stesso modo come se volessimo imparare qualsiasi arte.. teoria e pratica (!)». Per quanto riguarda gli altri due scritti giovannei, questi sono realmente delle lettere, seppur brevissime. Nella seconda l’autore si definisce «il Presbitero», titolo col quale venivano indicati probabilmente i testimoni della tradizione apostolica; Giovanni era infatti l’ultimo rimasto tra i Dodici: la sua morte deve essere stata un trauma non da poco per la Chiesa delle origini, lui che per ultimo aveva visto Gesù! Alcuni studiosi ritengono tuttavia che non si tratti di Giovanni, poiché manca il titolo apostolo, fondamentale nell’indirizzare le due Lettere. Lo scritto è rivolto «alla Signora eletta da Dio e ai suoi figli..», di chi si tratta? Probabilmente di una comunità specifica, anche se imprecisata. Nella terza Lettera infine – uno scritto di pochissime righe – il Presbitero si riferisce a Gaio, che chiama «carissimo» per ben tre volte, esortandolo a continuare la sua opera a favore dei missionari; a lui si oppone infatti un certo Diòtrefe (in greco “nutrito dall’Eterno”): se il primo accoglieva di buon grado i predicatori itineranti, coloro che annunciavano la Parola – insomma aperto alla comunione tra le Chiese – , il secondo, forse perché geloso dei “suoi”, non ammetteva altre voci che potessero mettere in discussione il suo prestigio. Detto altrimenti, Diòtrefe ci teneva a far carriera. Oggi la situazione non è poi così diversa, né per quanto riguarda gli arrivisti, né per le frizioni tra i vari gruppi ecclesiali. Rassereniamoci: una Chiesa perfetta forse non c’è mai stata! Se sant’Agostino (riferendosi a Rahab, la donna di Gerico che ospitò e salvò gli esploratori ebrei) ebbe l’ardire di chiamarla casta meretrix, “prostituta casta”, un motivo ci sarà.. Tirando le somme, possiamo dire che in queste sue Lettere, sintesi di una vita autenticamente cristiana, Giovanni ci chiede anche oggi, o forse oggi più che mai, di tornare a Gesù.. crediamo realmente che sia la risposta migliore?            

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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