Ezechiele 47,1-9.12 con il commento di Massimo Cicchetti



Dal libro del profeta Ezechiele
Ez 47,1-9.12

Testo del brano
In quei giorni [l’angelo] mi condusse all’ingresso del tempio [del Signore] e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all’esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vidi che l’acqua scaturiva dal lato destro. Quell’uomo avanzò verso oriente e con una cordicella in mano misurò mille cùbiti, poi mi fece attraversare quell’acqua: mi giungeva alla caviglia. Misurò altri mille cùbiti, poi mi fece attraversare quell’acqua: mi giungeva al ginocchio. Misurò altri mille cùbiti, poi mi fece attraversare l’acqua: mi giungeva ai fianchi. Ne misurò altri mille: era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a guado. Allora egli mi disse: «Hai visto, figlio dell’uomo?». Poi mi fece ritornare sulla sponda del torrente; voltandomi, vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall’altra. Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Aràba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Benjamin Martins. Pure Potentiality. Raccolta audio YouTube

Meditazione
Massimo Cicchetti

Meditazione
Brano criptico e piano di visioni allegoriche, nel solco della tradizione ebraica dei grandi profeti. Quando Ezechiele trascrive questo brano, il popolo di Israele sta vivendo i giorni più cupi della deportazione. In questo momento buio Ezechiele riceve una visione che parla del futuro: dal Tempio che l’angelo gli fa visitare, un angelo non più antagonista ma guida, scorre verso oriente un rivolo d’acqua. Non è il Tempio costruito sulla roccia che porta beneficio al popolo, non le sue mura che ora sono da abbandonare. Lo Spirito efficace di Dio si manifesta ancora una volta, ancora come nel deserto assetato come acqua viva e dolce. All’inizio è poco più di un rivolo che inizia il proprio viaggio verso l’Est, verso la luce nascente, diventerà progressivamente sempre più ampio fino ad essere attraversabile solo a nuoto: un fiume sempre più grande che punta verso l’Arabà, la valle che sfocia sul Mar Morto, il confine orientale della tribù di Beniamino. Ovunque quest’acqua divina porterà la vita nel deserto, farà rifiorire le sue sponde e da questo passaggio salvifico cresceranno nuovi alberi e nuovi frutti. La presenza di Dio, la sua acqua, non è qualcosa di confinato nel Tempio, ma è una forza trascinante che nasce da questo per riportare vita, anche dove la sabbia arida del deserto prima e il salato del mare poi la rendeva impossibile. Si replica ancora una volta la visione di un altro grande profeta, Gioèle, quando dice «dalla casa del Signore sgorgherà una fonte, che irrigherà la valle di Sittim» (Gl 3,18). Saranno coloro del popolo che sapranno seguire lo spirito del Signore a trarre il giovamento ed il perdono, a percepire il rapido crescere del flusso benevolente che, a distanza di pochi metri, si trasforma da rivolo a rigagnolo, per diventare torrente e infine fiume. Un fiume che porta nuovo equilibrio e nuova linfa a una terra martoriata dall’arido e dal sale, capace di far crescere alberi che offrono frutti ogni mese (perché il Signore è padrone del tempo quanto della vita) ed ancora foglie che saranno medicina. In questo momento lo spirito di Israele è malato, ha smesso di nutrirsi della propria alleanza con Dio ed il legame si è indebolito. La deportazione è l’effetto materiale di questa debolezza, come un morbo lascia prostrato e debole l’ammalato. Proprio in queste ore di sconforto e di incertezza, Dio promette attraverso la bocca del suo Profeta il perdono a chi saprà riconoscerlo nell’acqua che, più è lontana dal tempo e più efficacemente porta salvezza, di saperlo riconfortare nutrendone lo spirito, per farlo tornare forte e guarendolo con la medicina delle foglie dallo stato di astenia mentale, fino a farlo risollevare. Sono queste, per la mia sensibilità, tra le pagine più belle di Ezechiele, dove il manifestarsi di Dio come acqua pura, racconta con una profondità di visione che sta tra Bereshit ed Eskaton, tra il principio della Genesi ed il compiersi dell’Apocalisse, dove ugualmente l’acqua che è Dio è presenza efficace, fuori dal tempo e dentro tutto il tempo dell’umanità. Sta a noi riconoscerlo, non attraverso la consuetudine o peggio l’abitudine del Tempio, che ne indica la presenza ma è fatto di pietra inamovibile e non viva, bensì attraverso la ricerca dissetante della sua presenza dentro di noi.

 

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