Ezechiele 18,21-28 con il commento di Massimo Cicchetti



Dal libro del profeta Ezechiele
Ez 18,21-28 

Testo del brano
Così dice il Signore Dio: «Se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l’empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà. Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà». 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Benjamin Martins. Pure Potentiality. Diritti Creative Commons

Meditazione
Massimo Cicchetti

Meditazione
È possibile per l’uomo comprendere l’amore di Dio? È possibile che nel minuscolo infinitesimo del nostro cuore ci possa essere uno spazio capace di comprendere quell’infinito amore che ci ha generati e che perpetua il suo affetto nei nostri confronti? La logica umana è incapace di interpretare queste parole, che promettono perdono o condanna per ciò che compiamo nei nostri ultimi atti, senza considerare il frutto delle nostre azioni pregresse. Da un lato potrebbe essere intuibile il segno dell’infinito amore divino nella redenzione del malvagio che, al termine della propria esperienza umana, si ravvede e dopo tutta una vita a calpestare sentieri che lo hanno allontanato dall’Amore trova la forza per ripercorre all’indietro quei passi, fino a ritrovare l’abbraccio indulgente di chi ha saputo aspettarlo ed è capace di dimenticare in quel gesto tutti gli errori, tutte le negazioni e le negatività. Come immaginare invece una vita virtuosa, spesa seguendo i precetti di salvezza che invece, proprio sulle ultime curve, sbanda e lascia il sentiero giusto e per il quale il destino è una dannazione eterna. Sembra di perdere a prima vista, quel senso di perdono e di accoglienza che viceversa si leggono nel primo caso descritto. Le leggi di Dio non seguono quelle degli uomini, che si avvalgono sempre di ragionamenti semplici e non sanno allargare il cuore in modo sufficiente per aprirsi ad un affetto più grande. Meditando sulle parole di Ezechiele, si scopre invece che Dio mette in guardia proprio quelli che si considerano in modo quasi perfetto figli di Dio, perché già in questo atteggiamento inizia a rivelarsi una considerazione egoistica, e smette di perseguire quella umiltà che risulta la forza prima del nostro amare il Signore. Nonostante gli anni di confidenza con il messaggio di Dio, tutto viene vanificato dal dubbio di sapere meglio del nostro Creatore cosa sia il meglio per la nostra anima. Nelle parole del profeta si legge lo sconcerto e la condanna verso coloro che iniziano di giudicare Dio, mettendosi alla pari se non in modo addirittura superiore, come se avessero compreso il disegno perfetto della creazione, trovandone perfino dei difetti. Le parole del profeta ci aiutano a comprendere una verità evidente, che spesso non si vuole vedere: è nostra la responsabilità delle scelte, nostra e non degli eventi, degli errori compiuti da altri, ciascuno vive un rapporto diretto e personale con Dio ed è artefice del proprio destino, del quale deve rendere conto fino all’ultimo istante, quello che conta di più, senza timore alcuno né altrettanto dubbio nella rettitudine del giudizio finale. Quasi duemila anni dopo il povero fraticello di Assisi, profondamente malato e vicino al trapasso, cantava con l’animo pervaso dallo Spirito queste parole che, a mio modo di vedere, riassumono in modo mirabile il senso di rabbia, eppure di amore, che hanno fatto parlare Ezechiele: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male». Questa visione di una morte che non fa male, perché compimento di una vita dove il patto tra Dio e gli uomini è stato pienamente rispettato, è il senso migliore di questa capacità infinita di affetto da parte di chi ci ha regalato la vita. Per riuscirci, però, è necessario da parte nostra non chiudere la finestra alla luce calda che ci scalda il cuore, e non cedere alla tentazione di credere che la luce che noi possiamo emanare non sia il riflesso di questa, ma che provenga direttamente da noi, quasi in contrapposizione con quella formidabile che anima questo mondo dalla creazione.

Scarica la nostra App su