Ezechiele 1,2-5.24-28c con il commento di Massimo Cicchetti



Dal libro del profeta Ezechiele
Ez 1,2-5.24-28c

Testo del brano
Era l’anno quinto della deportazione del re Ioiachìn, il cinque del mese: la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechièle, figlio di Buzì, nel paese dei Caldèi, lungo il fiume Chebar. Qui fu sopra di lui la mano del Signore. Io guardavo, ed ecco un vento tempestoso avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di metallo incandescente. Al centro, una figura composta di quattro esseri animati, di sembianza umana. Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali, simile al rumore di grandi acque, come il tuono dell’Onnipotente, come il fragore della tempesta, come il tumulto d’un accampamento. Quando poi si fermavano, ripiegavano le ali. Ci fu un rumore al di sopra del firmamento che era sulle loro teste. Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve qualcosa come una pietra di zaffìro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembravano i suoi fianchi in su, mi apparve splendido come metallo incandescente e, dai suoi fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore simile a quello dell’arcobaleno fra le nubi in un giorno di pioggia. Così percepii in visione la gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Benjamin Martins. Pure Potentiality. Diritti Creative Commons

Meditazione
Massimo Cicchetti

Meditazione
Eccomi al mio primo incontro con questa proposta di meditazione che diventa voce, ed è ancora una prima volta perché vengo a scoprire riga per riga tutto il libro di Ezechièle cui prima d’ora non avevo dedicato tanta minuziosa attenzione. Eppure si tratta di un profeta maggiore, uno dei più importanti per la tradizione ebraica ed assieme per quella cristiana. Nell’approccio a questo libro fondamentale dell’Antico Testamento si ripropone al mio pensiero un vecchio dubbio solo parzialmente risolto, quello del legame effettivo tra il “Vecchio” Testamento con il periplo del popolo di Israele, in questo caso durante la deportazione a Babilonia, e la buona novella del transito terreno di Gesù. È anche questo il senso della profezia, parole scritte cinque secoli prima della nascita del Salvatore, che anticipano il racconto più bello ed il compimento della volontà divina allora lontana da venire. Un altro aspetto che colpisce il mio interesse è quello relativo alla differenza tra la figura del sacerdote, quale Ezechièle era per dinastia e per convinzione, con quella del profeta. In entrambi i casi viene data voce alla parola del Signore, ma mentre il sacerdote risuona della Parola così come letta nei libri sacri, al profeta è concesso il privilegio di un dialogo diretto con l’Altissimo, il quale si manifesta in maniera intima al prescelto e gli consegna un messaggio speciale da trasmettere al popolo; al profeta è dato di udire la voce di Dio. Nel caso di Ezechièle il tutto è preceduto da una visione imponente. La simbologia è molto ricca, la rappresentazione delle quattro figure ha un singolare riferimento con la tradizione assiro babilonese delle figure zodiacali, che mostrano creature umane ed animali assieme. Stupefacente come la descrizione di queste quattro figure anticipi di secoli quelle che verranno ad essere le icone dei quattro Vangeli: l’Angelo di Matteo, il Leone di Marco, il Bue di Luca e l’Aquila di Giovanni. Nella visione del carro divino Ezechièle diventa profeta capace di leggere il futuro e vedere la venuta del Cristo nelle sue quattro dimensioni: quella dal volto umano dell’angelo così com’è la narrazione di Matteo che ripercorre l’intera genealogia di Gesù. Il leone di Marco che dettaglia la regalità e la maestà del Messia. Il bue di Luca che esalta la natura sacrificale della morte di Gesù, poiché il bue è l’animale sacrificale per eccellenza. Infine l’aquila di Giovanni che come tale proviene dalle altezze e per questo è in grado di vedere più lontano, oltre la linea del nostro orizzonte. Più in alto si rivela il trono di Dio dal colore della pietra di zaffìro, anche questa pietra attinge alla tradizione assira e rappresenta l’occhio del Cielo, la spiritualità assoluta. La descrizione di Ezechièle si completa con la visione del Creatore, così piena di potenza e di gloria da risuonare come la tempesta, così bella da colorarsi di ogni tinta dell’iride, così immensa da essere difficile da tradurre in parole. Eppure, in perfetto accordo con il racconto della Genesi, Dio assume un aspetto umano, usa la voce, esprime parole comprensibili ad un orecchio umano. Di fronte a tanto infinito non è possibile reggere lo sguardo ed Ezechièle si prostra a terra; così come Elìa si nascose il volto con il mantello di fronte alla presenza del Signore, il contatto diretto è un dono talmente grande che i sensi umani si sentono incapaci di percepirlo. Spesso quando sono a contatto con le grandi forze della natura, che sono il frutto del Suo disegno, percepisco quella potenza infinita di cui sono un elemento quasi insignificante. Nondimeno anche nella mia trascurabilità la voce di Dio si manifesta attraverso i suoi profeti e così il suo abbraccio d’amore.

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