Ezechiele 2,8-3,4 con il commento di Massimo Cicchetti



Dal libro del profeta Ezechiele
Ez 2,8-3,4

Testo del brano
Così dice il Signore: «Figlio dell’uomo, ascolta ciò che ti dico e non essere ribelle come questa genìa di ribelli: apri la bocca e mangia ciò che io ti do». Io guardai, ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto da una parte e dall’altra e conteneva lamenti, pianti e guai. Mi disse: «Figlio dell’uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele». Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, dicendomi: «Figlio dell’uomo, nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo». Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele. Poi egli mi disse: «Figlio dell’uomo, va’, rècati alla casa d’Israele e riferisci loro le mie parole».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Benjamin Martins. Pure Potentiality. Diritti Creative Commons

Meditazione
Massimo Cicchetti

Meditazione
Dio sceglie Ezechièle come suo profeta, spiega allo stesso in cosa consista questo progetto di vita in poche sintetiche parole che racchiudono perfettamente tutto il senso del dovere da compiere. Il primo aspetto della figura di un profeta è quella di essere docile al volere superiore, verso il proprio Creatore, non si deve avere atteggiamento ostile o ribelle, che non implica solo azioni a contrasto, ma anche semplicemente un pensiero in opposizione. Prima della spiegazione del Messia su quel colle definito “montagna”, centocinquanta metri sopra al lago di Tiberìade, che parlava degli otto modi per essere beatificati, il profeta deve istintivamente incarnare queste beatitudini. Deve quindi essere mansueto e docile nelle mani del Signore, ed allo stesso tempo puro di cuore per poterlo vedere, come in realtà avviene. Non deve opporgli resistenza, ma anzi farsi strumento imperfetto nelle mani sapienti del suo Creatore. Deve essere così desideroso di conoscere la sua volontà da sentirla quasi come una fame. Ecco dunque che il profeta deve fare sue le parole di Dio, quelle parole che nell’incontro precedente abbiamo scoperto essere espressamente rivolte alla persona, all’orecchio umano. In questo passo però si scopre qualcosa di più importante e di meglio spiegato. La parola di Dio non è soltanto suono, ma è addirittura materia, le sillabe pronunciate non sono destinate solo a diventare una sensazione auditiva che in fondo è solo una vibrazione dell’aria, un’onda che, una volta transitata non lascia più segno spento, se non l’ultimo riverbero. La parola di Dio, il Verbo con il quale Giovanni inizia il proprio Vangelo non è semplicemente un suono, è un’energia capace di modellare il mondo, attraverso l’imposizione di un nome, questo prende forma e diventa il creato con la sua armonia e le sue leggi: la parola di Dio è una vibrazione che diventa materia. Con questo senso io penso di comprendere il comando divino di aprire la bocca e di mangiare la sua Parola. Non è più suono per le orecchie, diventa nutrimento spirituale per l’anima ed ancora è cibo per il corpo, come quella manna che ha dispensato nella fuga dall’Egitto, per ridare vigore non solo al corpo provato dagli stenti, ma anche all’anima afflitta dai dubbi e dalle incertezze. Ezechièle viene invitato a nutrirsi della parola di Dio, a farla diventare cellula tra le sue cellule, ad appartenere al suo Creatore non solo spiritualmente, ma anche con tutta la propria sostanza. Sarà con questa intenzione che Gesù ci affiderà il suo corpo ed il suo sangue nell’Eucarestia dell’Ultima Cena, perché sia saziata non tanto la fame del corpo quanto soprattutto quella dell’anima. Nel passo seguente si rivolge al profeta chiamandolo “Figlio dell’uomo”, lo stesso appellativo che Gesù usa spesso per descrivere sé stesso, come se la assunzione dell’incarico di profeta anticipasse quello assai più gravoso della venuta del Messia, ingerendolo del potere di annunciare con piena verità il volere di Dio. I profeti anticipano la venuta del Salvatore che sarà il Profeta più importante di tutti, testimoniando non solo la Parola, ma anche la volontà salvifica di Dio con il suo sacrificio estremo. È alla casa di Israele che sono da rivolgere le nuove parole divine, a quella casa che conserva la tradizione dell’Alleanza e che pure dovrebbe essere quella più pronta e predisposta a riceverle, mentre invece risulta spesso anch’essa ribelle. La predicazione è viaggio, è distanza percorsa nello spazio, ma è da rivolgere in primo luogo al popolo di Dio, sono questi i mattoni viventi che costituiscono il Tempio di Israele. Come sarebbe più semplice portare la parola di Dio in mezzo ai pagani, come sarebbe meno faticoso trasmetterla semplicemente per come è scritta e non per come siamo capaci di farla nostra. Dio mi chiede invece di essere suo strumento, nutrimento, di lasciarlo diventare parte del mio corpo oltre che della mia anima, chiede una presenza fisica materiale, fatta di sostanza non solo di suoni. In questo modo, probabilmente solo in questo modo, possiamo considerarci una parte viva della casa di Israele alla quale apparteniamo, ma che dobbiamo mantenere pura e docile ai voleri del Signore, mettendoci noi in questa situazione per primi. Il mio ascolto ed il confronto con i grandi profeti mi porta inevitabilmente ad interrogarmi su quanto sia comune dovere, ma prima ancora mio personale obbligo, interiorizzare in modo sostanziale e sostanzioso la Parola, per confrontarla e tenerla viva all’interno del Tempio di Israele del quale sono un mattone tra i tanti. Al di là di manifestazioni dirette della potenza di Dio, rivolte ai grandi profeti, è opportuno anche da parte mia un atteggiamento di mansuetudine ed ubbidienza al suo volere, che si manifesta attraverso il suono di una voce amica e la disponibilità a farmi voce e non tacere all’interno della mia comunità, chiamato come sono io e come siamo tutti a farci vettori del messaggio cristiano.

Scarica la nostra App su