Ezechiele: Introduzione



Introduzione al profeta Ezechiele
«Nell’anno trentesimo, del quarto mese, il cinque del mese, mentre mi trovavo fra i deportati  sulle rive del fiume Chebar, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine..». Con questa data precisa, il luglio del 593 a.C., si apre uno dei più incredibili testi biblici, quello di Ezechiele, la cui etimologia – “Dio mi renda forte” o “Dio rende forte” – è già un biglietto da visita: sacerdote egli stesso e figlio del sacerdote Buzì (uno “tutto culto, liturgia, rubriche e sacrestie” diremmo oggi), al momento della sua chiamata ha circa una trentina d’anni, mentre cinque anni prima era stato deportato assieme al suo popolo (che in verità detesta) da Gerusalemme a Babilonia, l’attuale Al Hillah, a 80 km circa da Bagdad, in Iraq. Se nel Battistero degli Ortodossi di Ravenna è rappresentato senza barba (per l’uomo semitico, simbolo di virilità), Michelangelo lo ritrae invece come un anziano barbuto, girato all’indietro, forse per osservare la Gerusalemme abbandonata, o forse rivolto al suo “assistente” che lo invita col dito a guardare in alto. Nella Cappella Sistina è inoltre posto, e non a caso, di fronte alla Sibilla Cumana; i due sono accomunati dalla speranza, che, nel caso della sibilla assume le fattezze dell’età dell’oro, in quella di Ezechiele la costruzione di un nuovo tempio. L’anziano barbuto con la mano regge un rotolo, che – fatto alquanto strano – il testo ci dice essere «scritto all’interno e all’esterno»; non solo, un rotolo di cui è invitato da Dio a cibarsi. Si tratta di un’immagine altamente simbolica, con la quale avviene di fatto la sua consacrazione profetica. Alcuni studiosi ipotizzano che la sua predicazione inizi prima della deportazione, mentre i più affermano che abbia luogo durante l’esilio. Se il profeta è – val la pena ricordarlo! – colui che parla “davanti a” e “a nome di”, dunque non tanto chi predice il futuro, Ezechiele lo fa indossando ora le vesti del surrealista (cfr. 17,1-10; 32,1-8), ora quelle del casistico (cc. 18 e 33), ora gli abiti del geografo (cc. 47 e 48), ora quelli dell’architetto (cc. 40 e 42), ora i panni dello storico (cc. 16 e 19), ora quelli del rubricista (cc. 44 e 46), ma soprattutto Ezechiele è barocco, senza con ciò attribuire una valenza negativa all’aggettivo. Barocco perché visionario, che ama narrare esasperando i toni, la mimica gestuale e soprattutto i simboli. Ci sia permessa una necessaria sottolineatura a riguardo: il simbolo, in ebraico ’ot, “segno” ma anche “prodigio”, deve la sua etimologia al greco symbállein, “mettere, gettare insieme, unire”, è la chiave di ogni esperienza religiosa e spirituale: ciò che ho davanti (l’elemento che vedo, o meglio che cade sotto i miei sensi) mi rimanda a ciò che “non vedo”. È la logica in base alla quale assumono il loro vero valore, solo per fare alcuni esempi, l’altare, le immagini, i colori, i numeri, e via dicendo.. si tenta insomma di “dire” l’umanamente indicibile! È appunto quanto fa Ezechiele, non solo annoverato come uno dei precursori della celebre scuola teologica chiamata “tradizione sacerdotale”, ma anche e soprattutto ispiratore dell’Apocalisse, essendo l’opera veterotestamentaria più citata dal libro di “Giovanni”. Solo per fare un esempio: i quattro esseri che Ezechiele descrive nella sua visione – aventi le fattezze di uomo, leone, toro e d’aquila – saranno identificati dalla tradizione cristiana con i quattro evangelisti, ma si tratta ovviamente di una libera interpretazione. Tornando alla simbologia più in generale, possiamo dire che è quanto di più vicino ci sia all’esperienza sacramentale, ed Ezechiele è in tal senso un grandissimo comunicatore, essendo chiamato dal Signore ad essere simbolo per gli uomini (cfr. 12,11; 24,27), rimando all’Altro, e con la sua stessa vita. Dovremmo allora chiederci, essendo i battezzati “sacerdoti, re e profeti”, come esercitiamo la nostra profezia.. siamo simbolo per coloro che incontriamo? Siamo cioè capaci di rinviare all’Altro con la “A” maiuscola? Ezechiele sa inoltre di essere “sentinella” per il suo popolo (33,1-9), colui che nel buio della notte, mentre gli altri dormono, passeggia sulle mura della città vegliando su di loro dai pericoli incombenti. È in fondo ciò che spiritualmente è chiamato a fare il vescovo, dal greco episkopos, colui “che guarda (da) sopra”. Ezechiele è inoltre famoso, se così si può dire, per il modo in cui definisce se stesso: «figlio dell’uomo», appellativo che traduce semplicemente “uomo”, e non ha nulla a che vedere con l’espressione usata da Gesù, che la mutua invece dal profeta Daniele, in cui ha invece un valore molto più nobile. Quanto alla struttura del suo libro, la maggior parte degli studiosi lo divide in quattro parti: ai primi ventiquattro capitoli, in cui rivela a Israele le minacce prima che Gerusalemme sia assediata per la seconda volta, segue l’annuncio del giudizio di Dio (capp. 25-32), rivolto anche ad altri popoli; nella terza parte (capp. 33-39) invece, da messaggero di sventura si fa portatore di conforto, per terminare con l’ultima visione: nove capitoli (40-48), chiamati la “Torah di Ezechiele”, in cui la speranza prende il sopravvento e il profeta descrive la nuova Gerusalemme, che avrà un nuovo tempio, non più un re, come Davide, ma un principe, perché l’unico re sarà Dio, e un nuovo nome, «da quel giorno in poi: “Là è il Signore”» (48,35). Tra le tante celebri pennellate lasciateci da Ezechiele – il passaggio dal cuore di pietra al cuore di carne (36,26), l’amore di Dio detto attraverso quello tra uomo e donna (cap. 23), ecc.. – svetta tuttavia la sua “tela” più celebre: la visione delle ossa aride (37,1-14), in cui, di fronte all’evidente disfatta (simboleggiata da una valle completamente lastricata di cadaveri) il profeta annuncia la rinascita nazionale d’Israele, immagine che contiene in sé il germe del tema della risurrezione. «Profetizza su queste ossa e annuncia loro..»: unico esempio in tutta la Bibbia di profezia destinata a dei morti! E aggiunge: «Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete».           

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

 

Scarica la nostra App su