1-2 Timoteo: Introduzione



Introduzione alla prima e alla seconda Lettera a Timoteo
Prima di addentrarci nelle due lettere che hanno per destinatario Timoteo (dal greco “colui che onora Dio”), proviamo a tracciarne il profilo, seppur brevemente, per vedere chi era. Nato nella colonia romana di Listra, località dell’attuale Turchia, è stato educato alla fede da due grandi donne: la nonna Loide, un’ebrea diventata poi cristiana, e la mamma Eunice, la quale aveva sposato un greco. Conosciuto Paolo durante il secondo viaggio missionario di quest’ultimo, si fa da lui circoncidere, per non scandalizzare i giudei (At 16,1-3). Diventato più che un fratello per l’Apostolo – nella sua prima lettera Paolo lo chiama affettuosamente «vero figlio mio nella fede» (1Tm 1,1) – lo troviamo assieme ad altri a portare la celebre colletta a Gerusalemme (At 20,4), dopo di che i testi non ci dicono più nulla di lui, fatta eccezione per un breve versetto della lettera agli Ebrei (13,23), la quale riporta il suo rilascio dopo una prigionia. 
Al giovane Timoteo, tra l’altro assai cagionevole di salute, Paolo consegna ben sei lettere, facendolo diventare in tal modo co-firmatario: la Seconda ai Corinzi, quella ai Filippesi, ai Colossesi, le due alla comunità di Tessalonica e il “biglietto” a Filemone. Nel momento della prigionia romana Paolo gli chiede di portargli il mantello dimenticato a Troade, alcuni libri e delle pergamene, prima che sopraggiunga l’inverno (2Tm 4,9-21), e questo non solo perché del mantello avrebbe avuto bisogno in questo periodo così freddo, ma perché durante «l’inverno», da novembre a marzo, la navigazione sarebbe stata sospesa, a causa delle normali intemperie. 
Il teologo Eusebio di Cesarea (265-340) ritiene che Timoteo sia stato il primo vescovo dell’antica Efeso, le cui rovine si trovano vicino alla moderna città turca di Selçuk. Morì probabilmente martire nella stessa Efeso nel 97 d.C. Se raggiunse il maestro a Roma, prima della sua morte, non ci è dato saperlo. 
   
Quanto alle due lettere che Paolo gli indirizza – per suggerirgli come guidare le Chiese, in che modo proclamare la Parola, oltre che per ravvivare la sua fede –, è opportuno distinguerle. La 1Timoteo è anche la prima delle tre lettere cosiddette “pastorali” (definizione coniata nel XVIII secolo da D.N.Berdot e P.Anton), perché indirizzate ai pastori della Chiesa, Timoteo appunto e Tito, due tra i discepoli più cari all’Apostolo. In essa Paolo si preoccupa che i responsabili delle comunità diffondano e difendano la “sana dottrina”, cioè la fede, contro i “falsi apostoli”, ma altresì che vengano scelti successori preparati a tale compito: vescovi, presbiteri e diaconi. Nello specifico l’Apostolo esorta Timoteo a difendere a denti stretti la verità, a farsi “supervisore” del culto, a pascolare il gregge con amore e a non dimenticarsi delle vedove, categoria tra le più deboli al tempo assieme agli orfani.    

La Seconda invece si presenta come il “testamento spirituale” di Paolo, espressione usata anche per il commovente discorso di addio da lui stesso pronunciato agli anziani di Efeso, convocati a Mileto (cfr. At 20,18-35). È di fatto l’ultimo scritto paolino, poco prima di morire, ragion per cui si riaffacciano i ricordi “di una vita” e affermazioni dal notevole peso specifico, in cui a farla da padrona è una certa malinconia. Quanto al contenuto della missiva, Paolo esorta il suo discepolo e amico a rimanere desto contro i falsi maestri, capaci di sedurre i cristiani in ogni tempo, ieri come oggi. Se è vero che l’Apostolo accenna agli “ultimi tempi” (2,14-4,5), è anche vero che ogni tempo può essere l’ultimo, dipendentemente da come lo si vive.     

Fondamentale il punto in cui (3,16) si parla della Scrittura come «parola ispirata da Dio», in parallelo alla seconda lettera di Pietro, in cui le lettere di Paolo sono messe sullo stesso piano delle «altre Scritture», dunque considerate facenti parte della Bibbia. 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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