Lettera di Giacomo 3,1-10 con il commento di Marco Missiroli



Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Gc 3,1-10

Testo del brano
Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: tutti infatti pecchiamo in molte cose. Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna. Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei!

 

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Emily Lepri

Meditazione
Marco Missiroli

Meditazione
Papa Francesco è intervenuto spesso sul potere della parola, perché ne riconosce e sente l’esigenza di trasmetterne, nel mondo della comunicazione globalizzata, la capacità creativa e allo stesso tempo distruttiva. La parola sa contenere l’arte, che altro non è che il segno che contraddistingue un’opera creativa, ne rende vivo lo spirito di bellezza ed è in grado di mettersi in relazione con chi vi si presta dinnanzi. Si pensi alla letteratura, al teatro, alla musica, al cinema. Un cristiano fonda la sua fede sulla Parola, ossia ripone in essa una fiducia tale da poter convertire la sua vita mettendosi in relazione con essa, come hanno fatto per primi i discepoli: «sulla tua parola getterò le reti».  Questa premessa per prendere consapevolezza di che strumento ci è stato donato e di quale responsabilità ci investe poterlo utilizzare. Giacomo ne mette in luce anche la facilità d’uso, l’immediatezza e di conseguenza la difficoltà nel saperla educare, ammaestrare, dosare, in quantità e qualità. In quantità perché non è costruttivo dire sempre la propria o peggio avere sempre l’ultima parola, in qualità perché la bellezza nell’arte retorica ci dispone all’ascolto, alla relazione. Il delicato equilibrio dell’uso della parola investe proprio le relazioni in ogni tipo di comunità: la famiglia, le amicizie, il lavoro, la parrocchia, la società. Un esempio personale e lampante: ciò che più mi preoccupa del mondo politico e della sua comunicazione mediatica non sono i contenuti, sempre sindacabili a discrezione del senso di giustizia di ognuno, ma la sostituzione di essi con slogan volti a costruire consenso (il potere della parola strumentalizzata) e a distruggere l’avversario politico, etichettandolo più o meno tra le righe come il nemico del popolo. Lo sparlare alla luce del sole è una forma di violenza purtroppo ormai socialmente accettata, anche se per fortuna non da tutti, tanto che si ripercuote su una società inacidita, arida, incapace di costruire, poiché priva di fiducia negli altri e in sé stessa, dato che la società siamo in primis noi stessi.   Riprendendo infine il discorso del Papa e il brano di oggi, la parola che mira alla denigrazione o alla distruzione dell’altro è la stessa con cui possiamo lodare il Signore e costruire relazioni, non è altro che la distorsione del peccato di uno strumento che è dono di Dio. Riconosciamoci dunque peccatori, prendiamo consapevolezza che saremo sempre tentati dove è tanto facile e immediato cadere quanto di conseguenza distruggere. Preghiamo per le nostre fragilità e perché il Signore ci preservi dal demolirci l’un l’altro: Gesù ci accompagni nel costruire ponti di pace e non muri di divisione.

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