Lettera di Giacomo 1,1-11 con il commento di Marco Missiroli



Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Gc 1,1-11

Testo del brano
Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella diaspora, salute.
Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla. Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni. Il fratello di umile condizione sia fiero di essere innalzato, il ricco, invece, di essere abbassato, perché come fiore d'erba passerà.
Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l'erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce.
Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Emily Lepri

Meditazione
Marco Missiroli

 

Meditazione
Il destinatario della lettera di Giacomo è un popolo disperso, sparpagliato: non una comunità forte del vivere insieme, a stretto contatto, in una realtà solidale e a misura della propria fede. Giacomo parla a fedeli che corrono il rischio di sentirsi soli, abbandonati: di certo non esisteva un gruppo Whatsapp che connetteva cristiani greci, romani, ebrei.. Ciò che li rende fratelli, oltre che vicini, in questa distanza è la preghiera - “domandare a Dio con fede” - che presuppone il sentirsi figli di uno stesso Padre, nonché bisognosi. Di certo nel primo secolo d.C. i cristiani in diaspora non se la passavano proprio bene, la persecuzione era dietro l’angolo, e toccava i poveri come i ricchi. La differenza tra loro sta nell’atteggiamento nei confronti di un nemico o qualsivoglia avversità: il povero parte senza strumenti, vive quotidianamente la condizione di bisognoso, mentre la tentazione del ricco è quella di avere il potere di sistemare le cose da sé. La prova della fede si inserisce soggettivamente nel profondo di entrambi: penso al povero che a forza di porte sbattute in faccia ha perso la speranza di poter chiedere, al ricco che si sforza inutilmente di trovare soluzioni a situazioni più grandi di lui, e infine a chi si ritrova povero in un baleno, perdendo tutto, e non è abituato a chiedere aiuto, a superare il proprio orgoglio. Penso alla fede dei discepoli: il Cristo, il re che doveva salvare il suo popolo dall’oppressione, per il quale ho scelto di investire tutta la mia vita, è finito ammazzato in croce.. e adesso? La prima vera prova di fede sta sempre qui, nel credere fermamente nella resurrezione, che il Dio che preghiamo è qui vivo in mezzo a noi, che il Suo Spirito ci unisce al di là di tutte le distanze e ci dona la sapienza dei salvati. La prova allora non è che un dono funzionale a riconoscerci tali, un trampolino di lancio per la nostra fede.

 

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