2Corinzi 11,18.21b-30 con il commento di Maria Angela Magnani



Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
2Cor 11,18.21b-30 

Testo del brano
Fratelli, dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch’io. In quello in cui qualcuno osa vantarsi – lo dico da stolto – oso vantarmi anch’io. Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Spence. Hovering Thoughts. Diritti Creative Commons

Meditazione
Maria Angela Magnani

 

Meditazione
È un uomo colto Saulo: nato giudeo, cresciuto e formato alla scuola rabbinica di Gamaliele, destinato a diventare un dottore della Legge di alto livello. È lui stesso a raccontare di sé, tanto nel libro degli Atti degli Apostoli – «Sono giudeo, nato a Tarso in Cilicia, cittadino di una città che non è senza fama» (At 21,29; cfr. At 22,3) – , come anche nel corso di questa Lettera. Tarso, nella fattispecie, è anche un centro dove si incontrano e convivono popoli e lingue diverse. Qui la cultura giudaica incontra quella greco-ellenistica, mescolanza fondamentale per l’evoluzione dell’Apostolo, anche sul piano spirituale. Da alcuni indizi si pensa che potesse appartenere a quella che oggi designeremmo come middle class: una famiglia benestante di artigiani, con una lunga tradizione di lavorazione delle stoffe e del cuoio. Mestiere che apprese dal padre, secondo le tradizioni codificate anche in una norma rabbinica: chiunque non insegna a suo figlio un mestiere, gli insegna a diventar ladro.  Nelle sue Tischreden (“Discorsi a tavola” o “Discorsi conviviali”), Martin Lutero lo definì come il predicatore più audace di ogni tempo (M.Lutero, Tischreden 2,277). E l’audacia è tutta condensata in queste 25 situazioni di sofferenza e pericolo, elencate come un “vanto”: quello di essere rimasto fedele in ogni cosa alla missione apostolica affidatagli dal Signore. In apertura del brano odierno Paolo si è incamminato per una strada molto rischiosa, quella del confronto che sfocia quasi nella competizione: “se loro pensano di vantarsi di questo o di quest’altro, allora io posso vantarmi in queste stesse realtà molto più di loro!”. Si ha però l’impressione che all’improvviso l’Apostolo si renda conto di montare in superbia, e di cedere senza accorgersene alla tentazione che sta smascherando nei suoi avversari: quella della potenza, che si fa forte dei propri mezzi, capacità, competenze, titoli, esperienze.. Ed è proprio a questo punto che cambia repentino la direzione dei suoi argomenti, capovolgendoli e facendo così risaltare ancor più marcatamente la forza del paradosso: mentre i suoi avversari (che tentano in ogni modo di disperdere nella menzogna i membri della comunità di Corinto, come lupi travestiti da agnelli) si fanno forti del titolo di “super-apostoli”, avendo tutte le carte in regola, Paolo si vanta piuttosto della propria debolezza, massimamente esposta nelle difficoltà della vita e della predicazione. Il lungo elenco inizia portando alla memoria un brano della Torah, che qui desidero citare nella sua interezza: «Se il colpevole avrà meritato di essere fustigato, il giudice lo farà stendere per terra e fustigare in sua presenza, con un numero di colpi proporzionati alla gravità della sua colpa. Gli farà dare non più di quaranta colpi, perché, aggiungendo altre battiture a queste, la punizione non risulti troppo grave e il tuo fratello resti infamato ai tuoi occhi» (Dt 25,2-3). La debolezza diviene infine la figura massima dell’onore rivolto alla potenza paradossale di Dio: la debolezza di Paolo, come la nostra, assume cioè i tratti di uno sgabello per Dio, un vero e proprio punto di appoggio per lo Spirito e la sua forza rigenerante e trasformatrice.

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