2Corinzi 6,1-10 con il commento di Maria Angela Magnani



Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
2Cor 6,1-10 

Testo del brano
Fratelli, poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso». Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga criticato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità, con amore sincero, con parola di verità, con potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama; come impostori, eppure siamo veritieri; come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Spence. Hovering Thoughts. Diritti Creative Commons

Meditazione
Maria Angela Magnani

Meditazione
Il kairós, il momento favorevole dell’intervento di Dio nella storia dell’umanità, raggiunge il suo culmine ultimo nella vita di Gesù Cristo, incarnazione del Figlio, e nel mistero pasquale, mediante cui all’intera umanità è dato di compiere un vero e proprio salto quantico! Paolo vive il proprio ministero come un’opera di collaborazione con l’agire stesso di Dio, nel quale “il momento favorevole” si dà in modo permanente. Anzi, di più: Egli stesso è il kairós, e si dà come tale all’uomo e alla donna di ogni latitudine. La vita dell’Apostolo si pensa come consacrazione totale a questo “momento favorevole”, ossia di apertura esistenziale – e dunque anche di “crisi” – per chiunque si lasci incontrare dal kerygma. Con quest’ultimo termine si intende precisamente la Parola di grazia della predicazione apostolica. È cioè l’annuncio vittorioso che proclama la resurrezione di Gesù, illuminando e disvelando come un cono di luce tutta la storia, passata, presente e futura. Il fulcro del cristianesimo si irradia e avvolge la vita di ognuno di noi. Ecco, l’annuncio della salvezza offerta gratuitamente da Dio – «mentre eravamo ancora peccatori», ricorda l’Apostolo (Rm 5) – al “caro prezzo” della vita del Figlio, è il cuore della teologia di Paolo: si tratta della “follia della croce” di Gesù, il Figlio (1 Cor 1). Viene alla mente, a questo proposito, un episodio di Narnia, il ciclo fantasy creato da Lewis, in cui il re Aslan, uno dei personaggi chiave del racconto – uno strano leone parlante, rinvio cristologico alla profezia del Re di Giuda – si consegna “assurdamente” nelle mani della strega per essere ingiustamente immolato, a riscatto della vita di un “figlio di uomo”, il giovane Edmund. Lo stile della lettera si fa poi ritmico e incalzante, in un crescendo molto intenso e dinamico. L’Apostolo ci esorta ora con dolcezza a riflettere sulla nostra condotta di ministri di Dio, con un comportamento degno e all’altezza del compito assegnatoci. In ogni situazione, che siamo chiamati ad attraversare o in cui ci troviamo a vivere, siamo tenuti a mantenere viva e salda la fede e la fiducia in Dio, certi che non ci farà mai mancare la sua amorevole custodia. E il/la figlio/a, sapendo di avere ereditato un tale tesoro, pur essendo vaso di creta, inizia a comportarsi come il Padre, vivendo così la perfezione: vincere il male con il bene. San Francesco, come pochi altri nella storia, ha saputo sintetizzare il paradosso delle situazioni elencate da Paolo con l’espressione e nell’atteggiamento di “perfetta letizia”. Significa vivere perseveranti nella gratitudine per la misericordia immeritatamente ricevuta, e abbandonati alla consapevolezza che non vi è forza più grande se non nella propria debolezza.

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