Apocalisse 11,4-12 con il commento di Cristian Messina



Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Ap 11,4-12 

Testo del brano
A me Giovanni, fu detto: «Ecco i miei due testimoni». Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra. Se qualcuno pensasse di fare loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di fare loro del male. Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli, tutte le volte che lo vorranno. E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso. Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedono i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permettono che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. Gli abitanti della terra fanno festa su di loro, si rallegrano e si scambiano doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo che diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano.

 

 

Recita
Daniela Santorsola

Musica di sottofondo
Sir Cubworth. Ceremonial Prelude. Diritti Creative Commons

Meditazione
Cristian Messina

Meditazione
Attenti a quei due! «Le persecuzioni – dice papa Francesco – non sono una realtà del passato, perché anche oggi le soffriamo sia in maniera cruenta, come tanti martiri contemporanei, sia in un modo più sottile, attraverso calunnie e falsità. Altre volte si tratta di scherni che tentano di sfigurare la nostra fede e di farci passare per persone ridicole». È di martirio che si parla in questo capitolo, in cui in pochi versetti affiorano almeno cinquanta riferimenti all’Antico Testamento! Un brano in cui, stranamente, la disposizione dei verbi è invertita: si comincia infatti con quelli al futuro: la bestia combatterà contro i due testimoni, li ucciderà e vincerà; poi però si passa al presente: gli uomini contemplano i cadaveri, fanno festa e si scambiano doni; per terminare al passato: un soffio di vita entrò nei cadaveri, che salirono al cielo. Escamotage letterario, quello usato qui dall’autore, per dirci che quanto sta succedendo non ha tempo, perché può succedere – e succede! – “in ogni tempo”! Capitolo undicesimo, ancora, che la liturgia ha purtroppo privato dei suoi tre versetti iniziali, in cui è chiesto a Giovanni di misurare con una canna (parola da cui nasce tra l’altro il concetto di cànone, dal greco kanòn, “bastone di canna”) l’interno del tempio, non però quello fisico, bensì la comunità dei credenti. Misurare qualcosa, conoscerlo cioè fisicamente, simboleggia l’averne cura, quella che si ha ad esempio con un neonato, di cui i genitori conoscono perfettamente l’altezza e il peso. L’atrio, tuttavia, non deve essere misurato, ma lasciato alla violenza dei persecutori. Tempio interno e tempio esterno sono allora simbolo dei due momenti in cui, come comunità, ci sentiamo curati o abbandonati da Dio. La prova – «l’atrio.. dato in balìa dei pagani» - dura 42 mesi, o 1260 giorni, cioè tre anni e mezzo, che è sia la metà di sette, sia, soprattutto, riferimento alla durata della persecuzione che gli Ebrei dovettero subire ad opera di Antioco IV Epìfane nel 167 a.C. I due olivi, cioè i due testimoni, sono un’immagine simbolica desunta da Zaccaria (4,3-14), in cui rappresentano Giosuè e Zorobabele, rispettivamente il capo religioso e quello politico di quella comunità che, reduce dall’esilio, si ritrova a restaurare il Tempio di Gerusalemme, città santa ma allo stesso tempo capace di uccidere i martiri! I due testimoni, descritti con le caratteristiche di Mosè ed Elìa, rimandano tuttavia con ogni probabilità a Pietro e Paolo, martirizzati a Roma, simbolicamente Babilonia (chiamata anche Sòdoma, città licenziosa, ed Egitto, esempio dell’idolatria), durante l’impero di Nerone, ragione che spiegherebbe una tra le ipotesi proposte dagli studiosi riguardo al numero 666 della bestia: la gematria, quell’aritmetica che mischia scienza e mistica, in base alla quale ogni lettera corrisponde ad una cifra, insomma una sorta di codice alfanumerico. Il valore delle parole “NERONE CESARE” corrisponderebbe in pratica alla cifra 666: la bestia che ha perseguitato le due colonne del Cristianesimo, i due testimoni per eccellenza – potremmo aggiungere – , è lui! Ma 666 è anche 7-1 (cioè l’imperfezione) per tre volte, in altre parole l’imperfezione per eccellenza: la bestia è il nulla, la negazione dell’essere, del bene e del bello, insomma di tutto. «Deve perire chiunque pensi di fare loro del male», loro che hanno grandi poteri: chiudere il cielo, trasformare l’acqua in sangue, colpire la terra con flagelli. Ma «quando avranno compiuto la loro testimonianza.. la bestia.. li ucciderà», e i loro cadaveri saranno esposti nella piazza di Sòdoma ed Egitto, là dove fu esposto – per tre giorni e mezzo – il loro Signore crocifisso. E gli abitanti della terra faranno festa su quei cadaveri, poiché i due erano il loro tormento: in tal modo «si descrive – afferma il vescovo Francesco Lambiasi – una raccapricciante antiliturgia orgiastica attorno ai cadaveri.. attorno alla morte». Ad un certo punto però le sorti si rovesciano.. Un grido dal cielo unito a terremoto: un decimo della città crolla, 7.000 persone muoiono, i superstiti – perché terrorizzati – danno gloria a Dio, cioè ne riconoscono la presenza. «La Chiesa – prosegue lo stesso Lambiasi – vince nel momento in cui viene umanamente sconfitta, come l’Agnello ha vinto nel momento in cui è stato immolato. Infatti la vicenda dei due testimoni ripercorre lo stesso tracciato pasquale di Cristo-Agnello: morte-risurrezione-ascensione». Chiediamoci allora: chi sono coloro che ci hanno segnati, coloro la cui testimonianza ha marchiato indelebilmente la vita, facendoci sperimentare che è bello appartenere a Cristo? Attenti a quei due! Serie tv britannica dei primissimi anni ’70 con Tony Curtis e Roger Moore. Il titolo originale era però The Persuaders!, I persuasori, coloro cioè che persuadono, dal latino “per indurre a fare”. I testimoni non sono infatti da ammirare, ma da imitare: si evangelizza “per contagio”! Eppure i personaggi interpretati da Curtis e Moore erano rivali ma allo stesso tempo amici, dediti alla bella vita. I martiri, però, ci dicono anzitutto che siamo chiamati non alla bella vita, ma ad una vita bella.. 

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