Apocalisse 5,1-10 con il commento di Cristian Messina



Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Ap 5,1-10

Testo del brano 
Io, Giovanni, vidi nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. Io piangevo molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo. Uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli». Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, e cantavano un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra».

 

 

Recita
Daniela Santorsola

Musica di sottofondo
Sir Cubworth. Ceremonial Prelude. Diritti Creative Commons

Meditazione
Cristian Messina

Meditazione
«Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15). Se il capitolo quarto ci aveva introdotti nella sala nuziale della storia, il quinto ci chiede di partecipare a quella liturgia che è prototipo di ogni celebrazione e di tutti i tempi. L’analogia con le apparizioni di Gesù risorto è evidente. Siamo all’inizio del “giorno del Signore”, il primo giorno della settimana, e Giovanni ci sta dicendo che il tempo adesso ha una scansione “nuova”, liturgica appunto. La sua visione è situata dunque di domenica (letteralmente “giorno del Signore”), ed è archetipo celeste e fondamento di ogni liturgia; per dirla difficile, rifrazione “temporale” di un atto in realtà eterno. Giovanni vede che l’Uomo seduto sul trono tiene nella mano destra (il lato destro nella Bibbia è quello “giusto”) un libro, scritto stranamente sia all’interno che all’esterno, e sigillato. Ma cos’è un sigillo? Diminutivo di signum, in latino significa “segno, effigie, immagine”. Una cosa sigillata viene cioè segnata, marchiata, a garanzia di una proprietà, ma anche “convalidata giuridicamente”. Insomma ne certifica il possessore e l’intangibilità, per chiunque voglia impossessarsi di quella cosa o manometterla. Noi siamo fatti a immagine di Dio, siamo sue effigie, suo sigillo: ce lo ricorda il battesimo, momento in cui la nostra fronte venne sigillata con la croce. In quel libro c’è l’intera storia, compresa la nostra. Durante una rivelazione, il profeta si sente dire: «Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine: allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta» (Dn 12,4). La stessa celebre “fossa dei leoni”, in cui egli attendeva la sua liberazione, diventa immagine del sepolcro sigillato da una «grande pietra» (Mt 28,60). Il libro perfettamente sigillato (i sigilli infatti sono sette), dice in pratica che nessuno è in grado di leggere la storia, nessuno, «né in cielo, né in terra, né sottoterra». Il film Il settimo sigillo, del celebre regista svedese Ingmar Bergman, inizia proprio con le parole dell’Apocalisse: «Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo..» (8,1), sì, perché Lui, il grande protagonista del “libro della storia”, è il solo capace di de-cifrarla. Nell’antico Oriente e nei paesi mediterranei l’agnello e l’ariete erano i più comuni animali sacrificali. Il primo è l’animale che più di ogni altro si lascia docilmente condurre al macello: non è un caso che in aramaico i vocaboli “servo” e “agnello” siano identici. L’ariete, poi, è l’animale sostitutivo, ce lo ricorda il sacrificio di Isacco (Gn 22,13); ce lo ricorda soprattutto Aronne, che, posando le mani sulla testa del capro, confessa sull’animale tutti i peccati del popolo, mandandolo poi a morire nel deserto (cfr. Lv 16,21).. quello stesso deserto dal quale Gesù ripartirà, combattendo col diavolo, che della morte è simbolo. Tornando all’agnello la parola è tradotta dall’ebraico biblico in tre modi, ma in Apocalisse compare col diminutivo arnìon, per ben 29 volte. Giovanni se lo trova «in piedi, come immolato», cioè sgozzato: i sacerdoti pagani erano infatti soliti, prima di uccidere la vittima, cospargerne il capo con la mola salsa, un composto di farro tostato e macinato, unito a sale. Eppure l’Agnello, sgozzato quindi morto, è «in piedi», nella simbolica ed eloquente postura di ri-alzato. È un evidente richiamo al Gesù risorto che appare ai discepoli. Il sacrifico del Calvario è dunque un evento storico, ma manifesta sulla terra il sacrificio eterno dell’Agnello, perché immolato “fin dall’inizio”. Emblematico, allora, che Gesù muoia alla stessa ora in cui nel Tempio venivano immolati gli agnelli per la festa di Pasqua (Mt 26,26ss). Gesù è il prezzo del nostro riscatto – ci ricorda Paolo a più riprese – , del riscatto di tutti: «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione», rendendo ognuno sacerdote e re. Significativo che il nuovo Messale abbia invertito la sequenza: non più «Beati gli invitati alla cena del Signore: ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo», ma «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». È insomma grazie a Lui che noi siamo invitati alla più grande delle feste, ragion per cui non c’è più motivo di piangere. Chi cerchiamo da sempre e lì, in piedi, tutto per noi..

 

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