Apocalisse 10,8-11 con il commento di Cristian Messina



Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Ap 10,8-11 

Testo del brano
Io, Giovanni, udii una voce dal cielo che diceva: «Va’, prendi il libro aperto dalla mano dell’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra». Allora mi avvicinai all’angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele». Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza. Allora mi fu detto: «Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni, lingue e re».

 

 

Recita
Daniela Santorsola

Musica di sottofondo
Sir Cubworth. Ceremonial Prelude. Diritti Creative Commons

Meditazione
Cristian Messina

Meditazione
Se «la fede viene dall’ascolto», come afferma Paolo nella Lettera ai Romani (10,17), noi come reagiamo a quell’ascolto? Giovanni, il veggente dell’Apocalisse, questa volta non ha una visione ma un’audizione, cioè non vede ma sente. Cosa? Una voce, proveniente dal cielo, che gli dice di prendere un libro posto nella mano di un angelo, che sta «in piedi» sul mare e sulla terra; qualche versetto prima (10,1-3) si dice infatti: «un altro angelo, possente.. avvolto in una nube; l’arcobaleno era sul suo capo e il suo volto era come il sole e le sue gambe come colonne di fuoco. Nella mano destra teneva un piccolo libro aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, gridò a gran voce come leone che ruggisce..». Un libro piccolo, che evoca quello del capitolo cinque. Giovanni allora si avvicina all’angelo elemosinando il testo, e la creatura celeste gli impone di mangiarlo! La scena richiama la vocazione-missione di Ezechiele, anche a lui infatti fu imposto di mangiare un rotolo, «scritto – anch’esso – da una parte e dall’altra» (2,8-10). Siamo nella sfera dei simboli, ricordiamolo, per cui bisogna vedere cosa c’è “dietro”: mangiare il libro simboleggia l’accettazione dell’ufficio di profeta che, nel divorarlo, accoglie nel cuore la parola di Dio. Tornando all’Apocalisse, il piccolo libro mangiato da Giovanni in bocca gli sarà «dolce come il miele», ma una volta sceso nello stomaco ne sperimenterà «tutta l’amarezza». Ma perché? Perché gli oracoli profetici annunciano sia distruzione che salvezza, sia condanna che perdono, ma soprattutto perché la missione profetica prevede sia l’amarezza del rifiuto sia la dolcezza d’essere portavoce di Dio in questo mondo. Non c’è forse anche in noi qualcosa la cui sola idea ci fa battere il cuore, mettendo in moto energie creative che non ricordavamo neppure di avere? La chiamata del Signore passa anche da questo, dai nostri talenti e da quanto ci appassiona. E ne sperimentiamo la dolcezza. Allo stesso tempo, o in un secondo momento, ciò che in bocca ci pareva il più squisito dei cibi, una volta sceso nelle viscere – cioè una volta elaborato, sedimentato, e in parte anche sperimentato – ha un sapore del tutto diverso. Come a dire: in teoria è tutto bello, in pratica non tutto. Una dolcezza che, viene specificato, è «come il miele», sostanza questa dalle molteplici funzioni: per gli antichi serviva a risanare e scacciare i demoni; con miele purissimo venne allevato il piccolo Zeus; per il suo potere conservativo, a Sparta serviva per imbalsamare i re. In ambito biblico, invece, l’Antico Testamento ci dice che Sansone ne trovò nel cadavere del leone da lui abbattuto (Gdc 14,8); il popolo fedele – recita il salmo 81 al versetto 17 – è saziato «con miele (tratto) dalla roccia»; miele, ancora, che è dolce al palato quanto lo è la Sapienza per l’anima (Pr 24,13ss); apre inoltre i sensi: quando Gionata lo porta alla propria bocca col bastone «i suoi occhi si rischiararono» (1Sam 14,27). Il Nuovo Testamento ci suggerisce infine che Giovanni il Battezzatore se ne cibava nel deserto (Mt 3,4). Tra i Padri della Chiesa troviamo poi san Gregorio Palamas, il quale vede nel favo di miele la risurrezione. Una curiosa scultura dell’austriaco Joseph Anton Feuchtmayer, nel Santuario mariano di Birnau, sul lago di Costanza in Germania, ritrae un putto che lecca del miele: si tratta probabilmente della personificazione del nostro desiderio di sperimentare la beatitudine del regno di Dio. Ma torniamo al brano di oggi, che si chiude con l’urgenza di profetizzare, su «molti popoli, nazioni, lingue e re»: l’evento finale non può essere atteso passivamente! «La fede viene dall’ascolto».. credo si stia parlando della più grande responsabilità mai affidataci.. 

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