Efesini: Introduzione



Introduzione alla lettera agli Efesini
«Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso..», con tali parole inizia questa celebre lettera.. eppure qualcosa non va. Anzitutto l’autore dello scritto, che per alcuni è l’Apostolo ormai “a fine carriera”, diremmo oggi; per altri ancora un suo erede che si trova a vivere il cristianesimo non più della generazione apostolica; mentre buona parte degli studiosi ritiene non essere Paolo, bensì uno dei suoi segretari. Altra cosa che fa discutere sono i destinatari della lettera: quel «che sono a Èfeso» manca in alcuni importanti codici: sia nel cosiddetto papiro 46, un testo egiziano del 200 circa dopo Cristo, il più antico in nostro possesso sulle lettere di Paolo;  sia in quello Vaticano (così chiamato perché è lì che si trova); sia in quello sinaitico, oggi conservato al British Museum di Londra. Ma come mai? Marcione, il famoso vescovo eretico vissuto a cavallo tra il primo e il secondo secolo della nostra era, pensava si trattasse della lettera ai Laodicesi, di cui si fa cenno in quella ai Colossesi al capitolo quarto (4,16), in cui si dice: «quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi». Si tratterebbe in pratica di una delle prime “encicliche” (dal greco en kyklos, “in circolo”), prototipo delle attuali “circolari”, scritti cioè destinati a girare, nel nostro caso tra le varie neonate comunità ecclesiali. A suffragare tale ipotesi c’è il fatto che, in quella agli Efesini, manchi ogni riferimento a persone specifiche: saluti, allusioni ed episodi relativi ad una città in cui Paolo si era fermato per oltre due anni, dal 54 al 57 d.C. circa. Come se scrivessimo ad un caro amico senza mai citarlo, né facendo riferimenti agli episodi che caratterizzano la nostra amicizia: impossibile. Ai suoi destinatari, sicuramente di origine pagana, ovvero non ebraica, l’autore sottolinea con forza che il cristiano, colui cioè che è entrato a far parte della vita di Cristo e in Cristo, è diventato un kainòs ánthropos, un “uomo nuovo”. Quanto alla sua struttura, lo scritto è facilmente divisibile in due grandi parti: la prima più dottrinale (1,3-3,21), redatta in uno stile che mischia la liturgia e l’insegnamento; la seconda invece (4,1-6,24) è un’esortazione ai battezzati, scaturita dalla celebrazione: il battesimo è la “porta” grazie alla quale si entra nel destino di Cristo! Altro elemento caratterizzante Efesini è il suo legame strettissimo con la lettera ai Colossesi, legame che si è tentato di spiegare in diversi modi, senza tuttavia giungere a soluzioni soddisfacenti. Certo è che chi ha scritto la prima conosceva la seconda. Ma cos’è che arrovella tanto gli studiosi? Fondamentalmente un enigma: se Colossesi è una lettera autentica di Paolo, cioè redatta direttamente da lui, ed Efesini dimostra di conoscerla o addirittura di dipendere da essa, beh, allora è probabile che quest’ultima sia anch’essa autentica, cioè “di Paolo”. Viceversa entrambe le lettere potrebbero non essere “di Paolo”. Questa è dunque la ragione principale del loro continuo collegamento. Altro aspetto che fa problema è il vocabolario utilizzato in Efesini: gli studiosi hanno riscontrato infatti, da una parte ben cinquanta parole – tra cui ad esempio “diavolo” o “celeste” – che in altre lettere paoline non compaiono affatto; dall’altra termini comuni ad altre le lettere che però, in questa, hanno un senso diverso, su tutti il concetto basilare di “giustificazione”, che nella lettera ai Romani è trattato per così dire in altro modo. Altro aspetto decisivo dello scritto è la visione di Chiesa che offre: se nelle altre lettere Paolo si rivolge alle Chiese, intendendo con questo termine le comunità locali, ora con lo stesso vocabolo si riferisce ad una realtà universale, concepita da Dio ancor prima della creazione del mondo. È in tal senso che varia il concetto di “predestinazione”: se siamo soliti legarlo alla celebre polemica anticalvinista, qui significa invece ben altro. Per capirlo dobbiamo far ricorso all’originale greco, che per “predestinare” usa il verbo proorízo, letteralmente “stabilire un confine prima”. La Chiesa è stata dunque “stabilita prima”, creata prima di ogni altra realtà: ecco l’unicità di questo corpo e del suo legame con Gesù, che ne è il capo, la testa, il capitolo, dal latino capitululm, originariamente l’asta attorno alla quale veniva arrotolata la pergamena, ovvero il testo. Chiesa che, ancora, in Efesini viene concepita non tanto come struttura ma come mistero, qualcosa rispetto al quale – come ci suggerisce il greco mýein, “chiudere, serrare” (sottintendendo le labbra) – si può solo tacere, poiché troppo grande, anche solamente da comprendere. Una Chiesa, si diceva, non più locale ma universale, aperta, ecumenica, e questo perché Cristo «di due – Israele e i pagani – ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (2,14). Probabilmente l’autore utilizza questa bellissima immagine rifacendosi a quanto avveniva nel tempio di Gerusalemme: era infatti diviso da muri di pietra, sorta di balaustre, in “cortili”, spazi entro i quali potevano stare solo gli ebrei maschi, solo le donne ebree, e solo i gentili, i non ebrei. Il muro divisorio che separava il cortile delle donne da quello dei gentili era contrassegnato da targhe di marmo, che prescrivevano la pena di morte per quei pagani che avessero osato oltrepassarlo. Cristo è venuto dunque ad abbattere quel muro, abolendo in tal modo ogni divisione! Dovremmo forse riflettere, come Chiesa, su alcuni aspetti che potrebbero allontanarci, paradossalmente, proprio da coloro che vorremmo avvicinare: penso alle chiese perennemente chiuse, o aperte con orari “da ufficio”, di fatto inaccessibili a chiunque lavori; penso a quelle balaustre che, purtroppo, continuano a caratterizzarne l’interno; penso a quelle corde o a quei cartelli che vietano l’entrata nel presbiterio, relegando le nostre chiese a luoghi museali.. Sì, dovremmo riflettere.. Ma il motivo che più ha reso celebre la lettera agli Efesini, è probabilmente il suo utilizzo nel rito delle nozze, in cui sentiamo proclamare il cosiddetto “codice domestico”: «siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli ai loro mariti, come al Signore..» (5,21-22). Un passo indubbiamente irritante le nostre orecchie contemporanee, che non tengono conto del contesto societario di allora e del diritto greco e romano che lo caratterizzava. Ma è proprio qui che Efesini introduce una grande novità: in tutto il brano, per indicare il rapporto uomo-donna, si usa un verbo fino ad allora mai utilizzato nel mondo greco-latino, il verbo agapãn; tutt’al più si utilizzava infatti éros, rapporto entro il quale la donna era considerata possesso del marito (quel padrone che chiamava baal, “signore”), ma mai sul suo stesso piano. «E voi, mariti – ecco la svolta –, amate (agapãn!) le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (5,25.32-33). Detto altrimenti: l’amore tra Dio e la Chiesa non è “a imitazione” di quello tra marito e moglie, ma il contrario..    

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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