Filippesi 1,18b-26 con il commento di Tiziana Sensoli



Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Fil 1,18b-26

Testo del brano
Fratelli, purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede, affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi.
 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
W.A.Mozart. Piano sonata no.16 "Facile", K 545. II Andante. Diritti Creative Commons. Musopen.org

Meditazione
Tiziana Sensoli

Meditazione
San Paolo è stato imprigionato a causa del suo annuncio del Vangelo, e dalla sua prigionia scrive alla comunità di Filippi. Da qui emergono due riflessioni. La prima: la missione di Paolo e la sua ragione di vita è annunciare il Vangelo; la seconda è conseguente alla prima: il vivere e il morire per quel Vangelo che annuncia. Cosa significa quindi annunciare il Vangelo ai tempi di san Paolo e per noi? L’Apostolo sicuramente annuncia un incontro che gli ha cambiato radicalmente la vita, e dall’incontro con Gesù cambia tutto: sia il rapporto con la vita che quello con la morte. Paolo tratta la vita e la morte alla pari e con una naturalezza e lucidità disarmante. Il morire lo porterebbe faccia a faccia con Gesù, e questa sarebbe la sua gioia più grande: poter vedere finalmente il suo Creatore, proprio Colui che sta annunciando. D’altra parte la sua presenza nella carne, diciamo così, è ancora necessaria per condividere la vita e la crescita nella fede con le persone a lui care delle diverse comunità, in special modo con quella di Filippi. E noi possiamo dire la stessa cosa? Com’è il nostro rapporto con la vita e con la morte? La nostra società ci ha fatto credere di poter essere immortali, o comunque che la morte è qualcosa che non si può nemmeno nominare, quasi non ci riguardasse e, andando all’estremo, da esorcizzare come se guardassimo un film e tutto prende la forma di fiction, appunto di finzione. E invece non è così. Mi è difficile pensare che una morte vissuta in totale solitudine non porti a galla sentimenti di paura se non anche di angoscia. A meno che.. non ci siano proprio i santi a farci compagnia, allora anche san Paolo si fa particolarmente vicino, perché penso alla sua solitudine che non vive come tale. Di fatto aveva tutte le ragioni per lasciarsi andare alla disperazione: si trova in carcere, solo, lontano da ogni affetto e nell’incognita su quanti giorni o ore gli sarebbero rimasti da vivere. Ma così non è, perché con lui è presente Gesù vivo, il Risorto e questa per lui non è un’idea o una sorta di convincimento, è un’esperienza vera e vissuta nella carne. Allora mi viene da concludere con una preghiera: che anche noi possiamo imparare sempre di più a sentire come un’esperienza viva quell’incontro che abbiamo fatto con Gesù, quando qualcuno ce l’ha annunciato, e per la prima volta è entrato in qualche modo nella nostra vita. Solo Cristo diventa capace di trasformare quei sentimenti che sono propri della nostra fragile natura umana in speranza, luce e forza.. come disse Martin Luther King: «la paura bussò alla porta: la fede andò ad aprire.. non c’era nessuno».

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