1Tessalonicesi: Introduzione



Introduzione alla prima lettera di San Paolo apostolo ai Tessalonicesi
All’Apostolo delle genti sono attribuite tredici lettere, senza contare quella agli Ebrei, ormai unanimemente ritenuta non “di Paolo”; tra queste tredici tuttavia solo sette sono ritenute da tutti gli studiosi “scritte”, dettate o comunque elaborate da lui. Queste sette epistole, redatte tra gli anni 50 e 60 d.C., sono chiamate protopaoline in contrapposizione alle restanti sei, definite invece deuteropaoline. Perché questa sottolineatura? Perché, siccome i Vangeli sono stati “scritti” dagli anni 60 d.C. in poi, beh, allora ci troviamo in presenza dei primi documenti cristiani della storia! E tra questi si erge la prima Lettera ai Tessalonicesi, il primo scritto cristiano, dunque il più antico, dell’intero Nuovo Testamento. Ma facciamo un passo indietro: verso l’anno 50, durante il suo secondo viaggio missionario, Paolo, Sila e Timoteo giungono da Filippi a Tessalonica (cfr. At 17,1-10), capitale della provincia romana di Macedonia, città popolosa e importante dal punto di vista commerciale, in cui vivono molti stranieri, tra cui una folta comunità ebraica. Sappiamo che era nello stile di Paolo approcciare prima gli ebrei e poi, in caso di insuccesso, rivolgersi ai pagani. Mentre da questi ultimi fu accolto festosamente, alcuni ebrei crearono una sommossa, dunque la sua opera nei confronti di questa colonia fu bruscamente interrotta dopo appena tre settimane, ragion per cui i tre dovettero partire improvvisamente, di notte, lasciando una comunità appena formata. Giunti ad Atene, però, Paolo chiede a Timoteo di tornare indietro: ha a cuore quella gente, di cui vuole avere notizie! Dopo poco tempo Timoteo lo raggiunge a Corinto, con buone notizie e qualche domanda, in risposta alle quali Paolo scriverà la suddetta prima Lettera ai Tessalonicesi – verosimilmente nell’anno 51 –, con la quale nascerà anche l’abitudine di affiancare alla predicazione orale gli scritti, e in ciò Paolo sarà presto emulato dagli altri apostoli: Pietro, Giovanni, Giuda e dagli evangelisti. Per quanto riguarda la città di Tessalonica – nome della sorella di Alessandro Magno, che oggi in italiano chiamiamo impropriamente Salonicco, i greci la definiscono infatti ancora Tessaloniki – , al tempo aveva tra gli ottocento e i novecentomila abitanti, ed era la seconda città nonché il secondo porto della Grecia. Oggi però è quasi totalmente ricostruita, in seguito ad un incendio avvenuto nel 1917. Il suo passato glorioso risale in particolare a due aspetti: anzitutto era la mèta della lunga via Egnazia, che partiva da Roma e collegava le due città quasi fosse un ponte tra Oriente e Occidente; in secondo luogo fu teatro, nel 380 d.C., dell’ufficializzazione del cristianesimo a religione dell’impero, quando Teodosio formalizzò l’impegno di Costantino al concilio di Nicea. Oggi è celebre anche come patria di Atatürk, il fondatore della Turchia moderna, dato che al tempo tutta la Grecia apparteneva all’impero Ottomano, per cui Tessalonica passò a quest’ultima nazione solo nel 1912. Tornando alla lettera, Paolo impone che «è da leggersi a tutti i fratelli» (5,27). Ma di cosa tratta? Anzitutto va sottolineato come i suo scritti siano caratterizzati da due elementi: l’amicizia, tradita la quale ogni volta l’Apostolo dà in escandescenza (emblematico in tal senso l’allontanamento del futuro evangelista Marco, reo a suo giudizio di non essersi comportato bene), e la nostalgia. Per quanto riguarda le tematiche, sono diverse: dal punto di vista teologico abbiamo l’amore fraterno, la morte-risurrezione e la parusia, cioè l’ultima venuta di Gesù a sigillare la storia. L’aspetto pastorale, invece, è scandito da Paolo attraverso i quattordici imperativi del capitolo 5: «correggete.. confortate.. sostenete.. siate pazienti.. guardatevi.. cercate.. state.. pregate.. rendete grazie.. non spegnete.. non disprezzate.. esaminate.. tenete.. (e) astenetevi..», quattordici verbi sui quali tuttavia ne svetta uno: «Correggete gli indisciplinati», in greco ataktoi, i “disordinati”, nel senso di coloro che vivono freneticamente, preoccupati dell’imminente fine dei tempi (tema assai diffuso durante la prima epoca cristiana), abbandonando però in tal modo ogni impegno e responsabilità. Ma il cristianesimo, val la pena ribadirlo, è anzitutto fedeltà all’oggi, seppur con lo sguardo sempre proteso al futuro ultimo. Ciò che accomuna infatti le due lettere indirizzate ai tessalonicesi – anche se la seconda non è probabilmente di Paolo, ma di un seguace della sua cerchia – è l’escatologia, la tensione cioè tra il presente e il futuro, tensione che deve farci stare all’erta, dato che «come un ladro di notte.. verrà il giorno del Signore» (5,1-2). Tra le domande che premevano ai cristiani di Tessalonica ce n’era una in particolare, alla quale Paolo risponde che tutti quanti – sia chi è ancora in vita, sia chi è già morto nella carne – andremo incontro al Signore, nella più grande processione di tutti i tempi!         

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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