Galati 4,22-24.26-27.31-5,1 con il commento di Patrizia Sensoli



Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Gal 4,22-24.26-27.31–5,1

Testo del brano 
Fratelli, sta scritto che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma il figlio della schiava è nato secondo la carne; il figlio della donna libera, in virtù della promessa. Ora, queste cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due alleanze. Una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar. Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la madre di tutti noi. Sta scritto infatti: «Rallégrati, sterile, tu che non partorisci, grida di gioia, tu che non conosci i dolori del parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito». Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera. Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Emmit Fenn. Allégro. Diritti Creative Commons 

Meditazione
Patrizia Sensoli

Meditazione
Si parla di libertà. Paolo lo fa richiamandosi alla storia di Abramo e dei suoi due figli, che vengono a rappresentare i due modi di vivere la relazione filiale con Dio. Se fino a questo momento l’Apostolo ci ha guidato a riscoprire come attraverso la fede in Cristo siamo figli di Dio, ora ci dice cosa significa essere figli. Significa essere liberi, e essere liberi significa fidarsi di Dio e della sua promessa. Libertà e fiducia, non si può pensare l’una senza l’altra, perché la relazione filiale si alimenta di entrambe: il figlio è colui che ricambia l’amore del Padre abbandonandosi liberamente nelle sue mani con totale fiducia, come può fare un bambino. Una libertà così vissuta genera gioia. «Rallègrati, sterile, tu che non partorisci, grida di gioia, tu che non conosci i dolori del parto.(v. 27). È la gioia di lasciarsi sorprendere da Dio che realizza le sue promesse quando meno ce lo aspettiamo, quando umanamente non ci sembra che qualcosa possa ancora accadere, per uscire da una situazione di dolore o per superare un fallimento, perché Dio è sempre oltre i nostri progetti più arditi e al di là dei nostri desideri più profondi. Così avviene per le tante maternità impossibili che attraversano la storia biblica, così avviene per Abramo e Sara, il figlio della promessa è Isacco, non è lui il primogenito, ma è colui che nasce quando per entrambi è ormai impensabile poter avere un figlio, colui che nasce come dono di Dio. Non è così per Ismaele il figlio della schiava Agar, il primo figlio. La sua storia la troviamo al capitolo 16 di Genesi e ci può aiutare per entrare dentro la riflessione che fa il nostro apostolo: Dio aveva promesso ad Abramo una grande discendenza, ma il figlio tanto atteso e promesso da Dio non arrivava, per questo Abramo e Sara pensano bene di “conquistarsi” da soli la discendenza promessa: Abramo si unisce ad Agar e nasce Ismaele. Questo figlio rappresenta il tentativo dell’uomo di realizzare la promessa di Dio da solo, con le sue forze, il peccato di sempre, quello di non riuscire a fidarci di Dio fino in fondo. Questa tentazione all’infedeltà, che tanto spesso ho potuto sperimentare anche nella mia vita, ci parla di una tensione che abita il cuore dell’uomo, in ogni tempo, quella tra cielo e terra, nostalgia di Dio e attaccamento alla terra, e da cui Gesù ci ha liberati quando con la sua morte e resurrezione ci ha aperto la strada verso il paradiso, la «Gerusalemme di lassù», come la chiama Paolo, in cui vivremo nella libertà gioiosa e piena dei figli di Dio.

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