Giudici: Introduzione



Introduzione al libro dei Giudici
«Dopo la morte di Giosuè, gli Israeliti consultarono il Signore dicendo: “Chi di noi salirà per primo per combattere contro i Cananei?”». L’incipit di questo libro – secondo tra quelli storici dell’Antico Testamento – prova a colmare un lasso di tempo tra i più oscuri della vita del popolo di Israele, circa due secoli (dal 1200 al 1020 a.C.), che intercorre tra «la morte di Giosuè», appunto, e l’inizio della monarchia. Ma chi sono questi giudici? Nel Deuteronomio Dio detta una serie di leggi al suo popolo (il cosiddetto Codice deuteronomico), dicendo: «Ti costituirai giudici e scribi in tutte le città che il Signore, tuo Dio, ti dà, tribù per tribù; essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze» (16,18). Jhwh si rivolge precisamente ad un “tu” rappresentato con ogni probabilità dalla classe dirigente del popolo, un grande proprietario terriero, un pater familias o capostipite.  Insomma, è il popolo a nominare questi giudici. Ok, ma di chi si tratta? Gli shofethìm, questo il loro nome in ebraico, avevano il compito di rivendicare i diritti dell’intera nazione nei diversi momenti: in battaglia combattevano “per il Signore”, in tempo di pace esercitavano la giustizia ordinaria. Erano dunque capi militari e civili, suscitati da Dio in determinate occasioni, per liberare una o più tribù dall’oppressione dei popoli vicini. Ad onor del vero il termine “giudice”, al singolare, nel testo non compare mai, tuttavia s’incontra spesso il verbo “giudicare”, che non traduce solo né tanto “rendere giustizia”, quanto piuttosto “comandare, governare”, che non si limita però all’equivalente italiano, dato che in ebraico designa la funzione di chi ha autorità. Nel libro vengono anche chiamati “salvatori”, e ciò nonostante la loro davvero discutibile condotta morale.. se infatti l’epoca di Giosuè è presentata come quella della fedeltà, il periodo dei giudici è al contrario quello dell’infedeltà. Il messaggio è chiaro: Dio si serve di persone concrete, coi rispettivi pregi e difetti, per “giudicare” e “salvare” il suo popolo, soprattutto nelle “ore difficili”! Chi sono oggi – dovremmo allora chiederci – i giudici che il Signore ci invia, quotidianamente o in via eccezionale, come comunità o singolarmente? Rileggere la nostra storia – personale, parrocchiale, diocesana e via dicendo – ci aiuterebbe a ri-conoscerli. Certo occorre fare la tara ai Giudici della Bibbia, se non altro perché facenti parte di un periodo storico e culturale totalmente diverso dal nostro. Personaggi che, aldilà, nonostante, oseremmo dire “in virtù” delle loro discutibili condotte morali, in ogni caso prefiguravano il re, il quale avrebbe ricevuto lo Spirito di Dio.. ma lo stesso re prefigurava il Messia, sul quale si sarebbe posato il medesimo Spirito. Passando agli aspetti più tecnici del testo, l’opera è attribuita, nella sua redazione finale, al più volte incontrato deuteronomista, diciamo la scuola teologica che ha elaborato quella storia che va dal libro di Giosuè a quelli dei Re. Quanto al genere, si tratta di uno storico un po’ particolare, che attinge da quelle forme di tradizioni popolari che non disdegnano, anzi, la “coloritura” dei fatti narrati, distribuendoli però su uno sfondo teologico, con uno schema narrativo paradigmatico, che si sviluppa in quattro momenti: Israele pecca (facendo «ciò che è male agli occhi del Signore», servendo «i Baal e le Astarti»); quindi Dio castiga (mettendolo «nelle mani di questo o di quel nemico»); ma il popolo si pente (gridando «al Signore»); infine Dio suscita un giudice o salvatore, in altre parole un liberatore. Spesso però lo schema si ripete, dato che Israele continua a peccare. La struttura, invece, ci permette di suddividere il libro in tre parti: ad un’introduzione storica (1,1-2,5), che tratta della lenta, difficile e parziale occupazione della Terra promessa, segue una serie di episodi che riguardano i singoli giudici (3,7-16,31), mentre l’ultima è costituita da due appendici, la prima delle quali tratta della nascita del santuario tribale di Dan (17-18), la seconda della deplorevole condotta dei Beniaminiti di Gabaa (19-21). Ma veniamo all’identità di questi giudici, alcuni definiti “maggiori” (per via dell’ampiezza della narrazione che li riguarda) e altri “minori”. Tra i primi incontriamo Otnièl, Eud, Barak e Dèbora, Gedeone, Iefte e Sansone, mentre nel secondo gruppo ecco Samgar, Abimelec, Tola, Iair, Ibsan, Elon e Abdon. Se del primo gruppo sono almeno tre i volti noti, di quelli del secondo non ci si ricorda quasi mai, eccezion fatta – almeno in questo periodo storico – per quel nome che associamo immediatamente all’imprenditore visionario Elon Musk, famoso soprattutto per la Tesla (azienda statunitense specializzata nella produzione di auto elettriche e pannelli fotovoltaici) e per il suo più celebre obiettivo: stabilire una colonia umana su Marte. Quanto ai volti noti, val la pena soffermarsi su almeno tre di essi. Mentre stava lavorando, a Gedeone (quinto giudice) compare l’angelo, che lo saluta come più tardi accadrà a Maria: «il Signore è con te», ma la sua risposta è ben diversa: «se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo? Dove sono tutti i suoi prodigi..?». Diciamo la verità: non è la risposta più immediata che ci è venuta in mente davanti a chi tante volte ci ha parlato della bontà di Dio?! Gedeone chiede più volte una prova e l’ottiene sempre, ma altrettanto farà il Signore, chiedendogli di battersi assieme ad un esercito sempre più esiguo: è la fede in Dio che conta! Così, con soli trecento uomini, il giudice metterà in fuga i madianiti. Meno celebre ma più drammatica e sconvolgente è la vicenda di Iefte: in caso di vittoria contro gli Ammoniti, fa voto di sacrificare la prima persona che incontrerà sul suo cammino.. ma la strada gli metterà davanti l’amata e unica figlia. Infine Sansone (in ebraico “piccolo sole”, o “pieno di sole”, oppure ancora “figlio del sole”), più famoso e dodicesimo giudice d’Israele. Come molti altri eroi biblici nasce in seguito ad un miracolo: la madre è sterile, e anche a lei appare l’angelo del Signore, annunciandole il concepimento di un figlio, sulla cui «testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo..», letteralmente “separato”, forma di consacrazione che imponeva l’astinenza da bevande inebrianti, la purità legale e i capelli lunghi. Divenuto adulto, Sansone sarà attore di diverse gesta, su tutte l’uccisione di mille uomini, e questo unicamente con una mascella d’asino. Ma la sua forza celava comunque un punto debole: non sapeva resistere alle donne. Innamorato di Dalila, i filistei promettono a quest’ultima una grossa ricompensa se riuscirà ad estorcere all’eroe il segreto della sua forza: la donna gli taglierà la portentosa chioma, come noto, durante il sonno. Fatto prigioniero dai filistei, essi celebreranno la loro vittoria ignari che, ricresciutigli i capelli (non oggetto magico, ma segno del potere divino), a Sansone sarebbe tornata anche quella straordinaria forza che, invocata presso Dio, gli permetterà di abbattere le colonne e con esse l’intero tempio, convitati e lui stesso compresi. La Chiesa delle origini rivedrà in Sansone le medesime gesta dell’eroe greco Ercole, nonché la prefigurazione di Cristo, anch’Egli nato da un miracolo. Il monaco benedettino Anselm Grün, afferma a proposito della forza di Sansone: «la violenza è un rapporto inadeguato con l’aggressività. Chi diventa violento viene dominato dalla sua aggressività, anziché essere in buoni rapporti con essa.. (non a caso) La Chiesa delle origini conosce molti santi soldati, come san Giorgio, sant’Acazio e san Maurizio».                                 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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