Giobbe 38,1.12-21;40,3-5 con il commento di Antonio Bongiovanni



Dal libro di Giobbe
Gb 38,1.12-21;40,3-5 

Testo del brano
Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: «Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora, perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire? Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato? Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra tenebrosa? Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo! Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande!». Giobbe prese a dire al Signore: «Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Wahneta Meixsell. Allemande. Diritti Creative Commons

Meditazione
Antonio Bongiovanni

Meditazione
Dio accetta la sfida, non si nasconde e risponde! Lo fa con forza e ricorda a Giobbe che Lui è l’Autore di tutto il creato; ha il dominio su tutto il creato. Ecco, possiamo leggere la risposta di Dio come “prepotente”, “presuntuosa”, come a dire: “Io sono Dio, tu chi sei per discutere ciò che io dispongo?”; oppure possiamo vedere nella sua risposta l’atteggiamento di un Dio che nel ricordare l’opera della sua creazione però c’è, si mette in gioco e risponde a Giobbe; come a dire, “Io sono qui, te la senti di rispondermi ancora?”. Dio non vuole spaventare Giobbe, ma si presenta per quello che è, l’Autore e il Dominatore del creato e, seppur da par suo, si mette in dialogo con il povero Giobbe. L’atteggiamento di quest’ultimo ora cambia: prende coscienza della sua finitezza e promette a Dio di non replicare più. Si tratta in definitiva di uno stato di ascolto: “io non parlo più mio Dio, dimmi tu che come posso stare qui davanti a te senza tremare, ti ascolto!”. Ovviamente c’è del santo e giusto timore in Giobbe, ma non è pura e sola paura; è la presa di coscienza del suo essere opera della creazione di Dio e, quindi, consapevole che solo l’umiltà e la sua fede potranno salvarlo, permettendogli financo di stare al cospetto del proprio Dio. Allora anche noi, poveri e miseri, possiamo stare davanti al Signore e parlare con Lui; nulla ci vieta di pregare e supplicare il nostro Dio. Possiamo anche arrabbiarci con Lui; effettivamente in certe situazioni siamo così smarriti e disperati, che è “naturale” anche prendersela con Dio. Giobbe però ci insegna con la sua esperienza che l’atteggiamento giusto è quello dell’umiltà, della semplicità. Come a dire che nulla ci è dovuto, ma tutto ci può essere dato. Facciamo allora un po’ di silenzio dentro e fuori di noi, e ascoltiamo cosa ha da dirci l’Autore della nostra vita; non potranno che essere parole di vita, per una vita più sicura e gioiosa sotto la sua protezione. Non sottomessi, ma in preghiera ed in umile ascolto; un ascolto a cui non bastano le orecchie, ma che necessità di tutta la forza di un cuore puro.

“Ora non parlo più mio Dio, ti ascolto!”. 

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