Giobbe 19,21-27b con il commento di Antonio Bongiovanni



Dal libro di Giobbe
Gb 9,21-27b 

Testo del brano
Giobbe disse: «Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso! Perché vi accanite contro di me, come Dio, e non siete mai sazi della mia carne? Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Wahneta Meixsell. Allemande. Diritti Creative Commons

Meditazione
Antonio Bongiovanni

Meditazione
Giobbe non può smettere di lamentarsi di una situazione per lui divenuta insostenibile; chiede pietà, ma si apre a qualcosa di nuovo. Giobbe mostra cioè la sua certezza di ricevere giustizia da Dio. La vista della fede lo proietta verso un’altra vita, nella quale potrà contemplare Dio e, quindi, non potrà che essere gioiosa e fatta di una gioia “nuova” e piena. Si tratta di un uomo ancora nella sofferenza, ma avvolto anche da un manto di speranza che lo consola dei mali che sta subendo. Ancora però si parla di un riscatto futuro e quindi non definibile nel tempo; la certezza è quella dell’uomo che si continua a comportare rettamente seppur nella sventura e che, quindi, riceverà il suo premio. Tra le righe del testo si palesa ancora una logica retributiva: tanto faccio e tanto riceverò. In fondo molti di noi ancora sono persuasi che questa possa essere la logica di Dio. In realtà non c’è questa corrispondenza, perché l’amore di Dio è per definizione un amore puro e quindi gratuito; Egli abbraccerà cioè Giobbe, perché lo ama e non per altri suoi meriti. Quel che è ancora del tutto nascosto è il perché del persistere delle sofferenze del povero Giobbe. Non c’è una risposta umana, e infatti Giobbe scommette, attraverso la sua fede, sul riscatto che Dio ha in serbo per lui, e lo fa al buio, o meglio, non conosce ne il modo ne i tempi di Dio. Nessuno di noi, se non forse qualche mistico a cui sono concessi privilegi particolari da Dio, conosce infatti i tempi e i modi della storia che il Signore ha pensato per noi; quel che possiamo intuire è solo una giustizia e una misericordia che Dio, non solo ha promesso, ma che ha reso reale e presente in un uomo fatto Dio, Cristo. Infatti, per noi che abbiamo avuto il dono della conoscenza di Dio attraverso Cristo, c’è una strada conosciuta per arrivare a contemplarlo. In Cristo, in parte, la logica di Dio si è svelata: è quella dell’amore, di un amore che passa però anche per la croce; come Giobbe che continua a soffrire ma non lo fa invano; tutto ha un senso. In ogni situazione, anche la più triste e difficile, siamo legittimati, anzi dobbiamo, come Giobbe, credere nel riscatto finale; in un riscatto infinitamente più bello e ampio di quanto possano essere state le nostre sofferenze. Giobbe non è un pazzo che crede in qualcosa di immaginato o di inventato per lenire le sue ferite, è solo un uomo che, nonostante tutto, non ha perso la fede nel suo Dio e che, quindi, confida nella sua giustizia, che è sempre anche una giustizia intrisa di misericordia. A noi la speranza di emulare in questo atteggiamento il caro Giobbe, che ci rappresenta meglio di tante promesse o proclami, la strada di chi non si arrende mai alla sventura: si arrabbia, accusa Dio, ma mai perde le certezze dettate dalla sua fede.

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