Giobbe 3,1-3.11-17.20-23 con il commento di Antonio Bongiovanni



Dal libro di Giobbe
Gb 3,1-3.11-17.20-23

Testo del brano
Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”. Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto, e due mammelle mi allattarono? Così, ora giacerei e avrei pace, dormirei e troverei riposo con i re e i governanti della terra, che ricostruiscono per sé le rovine, e con i prìncipi, che posseggono oro e riempiono le case d’argento. Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bambini che non hanno visto la luce. Là i malvagi cessano di agitarsi, e chi è sfinito trova riposo. Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono fino a esultare e gioiscono quando trovano una tomba, a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio ha sbarrato da ogni parte?».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Wahneta Meixsell. Allemande. Diritti Creative Commons

Meditazione
Antonio Bongiovanni

Mesitazione
Giobbe si lamenta, è disperato; tale è la drammaticità di questo passo che è stato inserito nel Lezionario del Rito dell’Unzione degli infermi. Ma, leggendolo “di pancia”, ciò che più mi colpisce è il fatto che in realtà Giobbe non ha nessuna intenzione di morire, quanto piuttosto di avere una vita felice con un Dio premuroso che si occupi di lui. Il lamento, a mio avviso, è più una preghiera, una richiesta d’aiuto; noi uomini abbiamo “marchiato” nel nostro più intimo essere la voglia di vivere, di essere partecipi delle gioie della vita; è solo la disperazione che parla e chiede di essere placata dalla potenza di Dio, che appunto ha il potere di dare la vita e di poterla rendere gioiosa, proprio perché con Lui presente. La vita di una persona infelice dunque ha senso? Ancora, che cosa è in realtà una vita infelice? Non godere di buona salute? Non avere una famiglia? Essere soli?Sono tante le nostre infelicità, ma non vi è mai capitato di incontrare delle persone con gravi difficoltà e disabilità che sono molto più serene e felici di voi? Non avete percepito in loro “un qualcosa” che va oltre il loro apparente stato? Credo che solo l’amore per la vita, cioè il desiderio di esserci e in compagnia di un Dio amico, possa darci la forza della felicità; sì, è una forza, perché le difficoltà potranno essere le più diverse ma con la presenza di Dio tutto cambia o potrebbe cambiare. Dio infatti è amore e non può, neanche volendo, desiderare il nostro male o la nostra infelicità; tutto ha un senso, a noi però quasi sempre questo senso ci è nascosto. Giobbe invoca il riposo, la pace, ma, come possono esserci pace e riposo senza vita? Se non fosse nato che senso avrebbe questo lamento? Anche in questo passo di apparente sola disperazione c’è quindi il desiderio di vita, di esserci e di esserci nella letizia. L’infelicità che, giustamente e umanamente, Giobbe prova dopo tutto quel che è successo, può essere trasformata in gioia solo con la speranza e la forza della fede. Tutto potrà ancora cambiare e tutto potrà avere senso anche per noi poveri uomini con la compagnia di Dio, che è morto e risorto per la nostra vita, una vita fatta per una gioia piena.

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