Giobbe 9,1-12.14-16 con il commento di Antonio Bongiovanni



Dal libro di Giobbe
Gb 9,1-12.14-16

Testo del brano 
Giobbe rispose ai suoi amici e prese a dire: «In verità io so che è così: e come può un uomo aver ragione dinanzi a Dio? Se uno volesse disputare con lui, non sarebbe in grado di rispondere una volta su mille. Egli è saggio di mente, potente di forza: chi si è opposto a lui ed è rimasto salvo? Egli sposta le montagne ed esse non lo sanno, nella sua ira egli le sconvolge. Scuote la terra dal suo posto e le sue colonne tremano. Comanda al sole ed esso non sorge e mette sotto sigillo le stelle. Lui solo dispiega i cieli e cammina sulle onde del mare. Crea l’Orsa e l’Orione, le Plèiadi e le costellazioni del cielo australe. Fa cose tanto grandi che non si possono indagare, meraviglie che non si possono contare. Se mi passa vicino e non lo vedo, se ne va e di lui non mi accorgo. Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire? Chi gli può dire: “Cosa fai?”. Tanto meno potrei rispondergli io, scegliendo le parole da dirgli; io, anche se avessi ragione, non potrei rispondergli, al mio giudice dovrei domandare pietà. Se lo chiamassi e mi rispondesse, non credo che darebbe ascolto alla mia voce».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Wahneta Meixsell. Allemande. Diritti Creative Commons

Meditazione
Antonio Bongiovanni

Meditazione
Giobbe descrive tutta la forza di Dio; di un Dio col quale non è possibile “discutere”. Nel passo emerge la figura di un Dio estremamente potente, dotato di poteri neanche umanamente definibili, che però è distante dall’uomo. Si tratta di un giudice che non opera con giustizia, ma solo con l’arroganza di chi detiene le sorti del creato. Giobbe accusa Dio come farebbe un pubblico ministero nei confronti dell’imputato, e il reato contestatogli è l’arroganza, la supponenza di un Dio dispotico che non ascolta. Si tratta di un rapporto impari, del tutto squilibrato; non pare in realtà esserci neanche un vero rapporto, ma solo una sudditanza dell’uomo, che non può fare altro che subire il volere divino impostogli. Anche nel tono volutamente accusatorio di Giobbe possiamo però leggere il desiderio di poter instaurare un rapporto con il suo Dio; lo vorrebbe più vicino e presente. In qualche modo lo prega, gli chiede ascolto, aspetta la sua risposta. Quante volte ci sentiamo in balia degli eventi e accusiamo Dio di non ascoltarci.. Ci sentiamo soli e non siamo neanche in grado di pregare Dio, tanto è il dolore del momento e il nostro sgomento nel vedere che Egli non interviene e sembra ignorarci. In realtà l’accusa stessa è già preghiera, è già richiesta di aiuto e segno di fede verso un Dio che noi sappiamo, nella sua potenza, può cambiare il corso della nostra vita. Si tratta allora di mettersi ostinatamente nell’atteggiamento di richiesta e poi di ascolto; ci potranno essere dei passaggi “muti” dove l’audio viene interrotto, ma la comunicazione è attiva. In fondo il rapporto è sì impari, ma lo è nell’amore, un amore che non siamo in grado di capire fino in fondo e che ci richiede fiducia, pazienza e umiltà. Non possiamo, nel rapporto con Dio, avere la pretesa di capire la sua logica; quel che possiamo fare è avere fede in una logica che, seppur a noi è spesso nascosta, presuppone l’amore di un Padre che non può, per natura, volere il male del proprio figlio. Un Padre che lo ascolta e che lo accarezza di nascosto, magari nel sonno, mentre lui ancora crede di essere solo.

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