Deuteronomio: Introduzione



Introduzione al libro del Deuteronomio
Questo libro è accompagnato, come tanti altri dell’Antico Testamento a dire il vero, da un certo scetticismo, quindi da una certa difficoltà ad approcciarlo.. ma perché? Le ragioni sono diverse, anzitutto il nome: Deuteronomio – “seconda legge” – è infatti la traduzione dell’espressione ebraica «mishnè hattorà hazzò’t», ovvero «una copia di questa legge», presente nel libro al capitolo 17, versetto 18. Ma è una traduzione del tutto infelice e incompleta. Se dunque fatichiamo di fronte alla legge in generale, figuriamoci sentendone una seconda! Meglio allora chiamarlo come fanno gli ebrei, che utilizzano l’incipit del testo, in questo caso Devarim, “le parole”. Questo titolo è molto più calzante, trattando il libro di prediche, meditazioni e riflessioni sulla legge. La struttura dell’opera è invece sorretta da un paio di “spine dorsali”: se tecnicamente il testo si apre con una sorta di testamento spirituale sviluppato in tre omelie – che Mosè avrebbe rivolto al popolo in un giorno solo sul monte Nebo – e si conclude con la sua morte, è altrettanto vero che uno schema che il Deuteronomio percorre è quello dell’alleanza, mutuato dagli antichi trattati di vassallaggio, solitamente divisi in tre parti: il ricordo di ciò che il re aveva fatto in passato per il suo vassallo; quindi i diritti e doveri che impegnavano i due contraenti; infine le benedizioni o le maledizioni legate all’osservanza o meno del trattato stesso. Se la tradizione attribuisce l’origine del libro a Mosè, oggi sappiamo che è molto più recente, è opera infatti di una scuola teologica di leviti trasferitisi nel 722 a.C. a Gerusalemme dove, un centinaio di anni dopo, venne ritrovato nel Tempio il libro della legge (cfr. 2Re 22,8.11) o libro dell’alleanza (2Re 23,2.21). Il re Giosìa, colpito dal contenuto del testo, proclamò una riforma del culto: distruzione di tutti i santuari periferici e centralizzazione del culto a Gerusalemme (Dt 12). Questo documento si allargherà in seguito fino a diventare l’attuale Deuteronomio. Sull’estensione del libro gli studiosi dibattono: se il Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia) ha tre “autori”, o meglio tre tradizioni principali (jahvista, elohista e sacerdotale), ad esse se ne affiancano alcune minori, tra le quali quella deuteronomica, che caratterizza i primi trenta capitoli del nostro libro, mentre gli ultimi quattro sono opera delle tre tradizioni citate. Gli studiosi hanno addirittura coniato l’espressione “storiografia deuteronomistica”, sostenendo che un filo rosso – tessuto appunto dalla tradizione deuteronomica – leghi anche i libri di Giosuè, dei Giudici, i due di Samuele e i due dei Re, oltre ad alcuni frammenti di Geremia ed Ezechiele. Quanto al linguaggio, va sottolineato che il Deuteronomio si muove in un certo modo attorno alla parola “libertà”: «Vedi, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Dt 30,15). C’è un continuo richiamo che Dio rivolge all’uomo: «Shemà Israel!», “Ascolta Israele!”. Il verbo ascoltare, afferma Gianfranco Ravasi, è «seminato qua e là come una specie di spia che si accende per rinverdire l’amore». L’espressione «Il Signore tuo Dio» (o “nostro” o “mio”) ricorre non a caso più di trecento volte! Viene insomma tematizzato il binomio amore-legge: se il primo rende personale la religione, la legge le dà uno statuto comunitario. Altri temi che percorrono il Deuteronomio sono inoltre quello della terra, in ebraico ‘erez (che però la Bibbia CEI traduce in maniera non aderente con paese), sognata e attesa, terra che, assieme al deserto, è strumento privilegiato della pedagogia di Dio. Altro segno che contraddistingue il testo è la comparsa di quelli che la TOB (la traduzione ecumenica della Bibbia) chiama “porta-parola” del Signore: i profeti e i leviti su tutti, coloro che fanno da mediatori tra Dio e l’uomo. Il libro che chiude il Pentateuco si presenta così come una grande sintesi biblica, come una meditazione su quanto il Signore ha fatto nella vita di ciascuno e noi e su quanto ancora – nonostante il nostro peccato, nonostante le nostre alleanze continuamente fallite – è disposto a fare. Non a caso “Mosè” ripete senza sosta «ricòrdati», «non dimenticare», «ricòrdati»: è il “Credo” israelitico, il quale, pur non essendo espressamente formulato, rimane probabilmente il cuore del Deuteronomio. Se solo ripensassimo alla nostra vita, alle mille cadute e alle infinite volte in cui Dio ci ha risollevati riproponendoci un nuovo inizio! La nostra povera fede, forse, è solo questione di scarsa memoria..                  

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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