Mistagogia: Liturgia della Parola (Parole chiave)



Liturgia della Parola: parole chiave
«Parola di Dio»
Diciamo anzitutto che, mentre per noi occidentali la parola è semplicemente un mezzo per comunicare, per gli antichi e soprattutto per il mondo biblico è una realtà, un fatto, qualcosa di estremamente concreto. Così «Parola di Dio», per la Scrittura, è la manifestazione del pensiero e della volontà di Dio. Sia i miracoli sia le parole di Gesù sono «Parola di Dio». Dunque si tratta di un appello diretto e personale, un invito accorato ad entrare in comunione con lui. Ascoltare la sua parola equivale ad impegnarsi, a stipulare una sorta di patto di sangue, cioè vitale. Infine acclamare «Parola di Dio» al termine della lettura è un atto di fede dell’assemblea, motivo per cui non è corretto dire «è parola di Dio», piccolo dettaglio apparentemente insignificante, dato che quel “è” sminuisce il valore acclamatorio del gesto, facendone un’informazione concettuale.

«Rendiamo grazie a Dio»
Questa frase è la traduzione un po’ troppo letterale del latino Deo gratias, “sia ringraziato Iddio”, che si usava anticamente come saluto fraterno, dopo una buona notizia, un modo di dire che si era capito, ecc.. È detta molte volte, in situazioni e con sfumature diverse all’interno dell’Eucaristia che, guarda caso, significa proprio “rendimento di grazie”.

«Alleluia»
E’ una parola di origine ebraica, hallelu-yah, “lodate-yah” (cioè Jahvé, dato che il nome di Dio non poteva essere pronunciato). Dal VI secolo è entrato nella Messa del rito romano come canto fra le letture, per diventare poi riferimento immediato alla proclamazione del Vangelo. Alleluia è un canto gioioso, o meglio un grido di gioia, tanto che, se non si può cantare è meglio non dirlo, sarebbe come recitare a parole il testo di una canzone che, per sua natura, esige appunto di essere cantato. Esso accompagna l’intera Liturgia delle Ore (Lodi, Vespri, ecc..), quasi a ricordarci che l’atteggiamento interiore di chi prega deve essere anzitutto di gioia e lode.

«Credo!»
La parola è detta al singolare, e non dunque “crediamo”, anche se recitata insieme, perché di originario uso battesimale, e indica precisamente la professione di fede. E’ detta anche simbolo niceno-costantinopolitano, perché formulata espressamente nei concili ecumenici di Nicea (325) contro l’eresia del prete Ario che negava la divinità di Gesù, e di Costantinopoli (381), contro l’eresia dei macedoniani, per affermare la divinità dello Spirito Santo. Oggi è preferito al Credo chiamato simbolo apostolico, non per via della sua origine (risale al III secolo e ha conosciuto ritocchi postumi) ma per il contenuto di fede identico a quello degli apostoli. E’ quello più breve, a volte recitato in alternativa al Credo “classico”. Recitarlo, nell’una o nell’altra formula, equivale dunque a poggiare la nostra fede su fondamenta solide: Dio Padre, Gesù, lo Spirito Santo, la Chiesa, ..la vita eterna. Ognuno di noi può dire con fierezza e speranza: «credo.. aspetto».

«Ascoltaci, Signore!»
Questa invocazione è ripetuta da tutti dopo ogni intenzione della preghiera dei fedeli, detta anche “universale” per via del suo contenuto, e i fedeli sono i credenti, distinti dai catecumeni, coloro che ancora sono in cammino per il battesimo. Dunque la preghiera è un modo di esercitare il nostro sacerdozio regale: siamo un popolo di sacerdoti, abbiamo il diritto e il dovere di intercedere per tutta l’umanità! L’ «Ascoltaci, Signore!» dopo ogni intenzione personale non è uno scaricare su Dio ogni responsabilità dicendogli “pensaci Tu”, ma chiedere il suo intervento affinché renda fecondo il nostro. 

 

Recita
Daniela Santorsola, Cristian Messina

Musica di sottofondo
C.Franck, Panis angelicus, Mass Op.12, Michel Rondeau IMSLI. Diritti Creative Commons

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