Mistagogia: I riti introduttivi



Riti di introduzione
L’introito 
E’ il momento d’ingresso di presbiteri, diaconi e ministri istituiti, che avviene con un canto, la cui funzione è quella di favorire l’unione tra i fedeli e intro-durli nel mistero che si sta per celebrare: bisogna che l’assemblea, tanto diversa per carattere, aspetto e provenienza, “prenda corpo”.

Il saluto (del presidente) 
Il primo saluto che i ministri fanno insieme è all’altare, con un profondo inchino; quindi, in segno di venerazione, il prete e il diacono lo baciano, perché è Gesù stesso! Il prete infine saluta tutta l’assemblea che attorno a quell’altare e grazie a Lui si è radunata.

L’atto penitenziale  
Termina con l’assoluzione finale di chi presiede: non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza, ma prendere consapevolezza  del nostro peccato è prendere consapevolezza dell’amore di Dio che ci riscatta.

Il Kyrie eleison 
E’ una formula che si può certamente recitare anche solo in italiano (Signore pietà..), ma il greco, oltre a darle un suono diverso, è la lingua con la quale è stato scritto il Nuovo Testamento e quella in cui il Vangelo è stato annunciato per la prima volta alle nazioni pagane.

Il Gloria 
Un antichissimo inno che si canta (solo talvolta lo si reciti!) nelle domeniche, nelle feste e nelle solennità, fuorché in Avvento e Quaresima.

La preghiera Colletta 
La prima delle tre orazioni fatte dal presidente, oltre a quella super oblata (dal latino “sulle offerte”) e post communio (“dopo la comunione”). E’ così chiamata perché il prete, che l’ha iniziata dicendo «Preghiamo» - invitando quindi tutti a rivolgersi a Dio, ognuno a modo suo –  raccoglie, facendo appunto una “colletta”, le preghiere di tutti, non solo dei presenti ma dell’intera Chiesa, e le offre al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.  

Parole chiave
La celebrazione eucaristica è un continuo dialogo tra l’assemblea e il presidente, dialogo scandito da acclamazioni, preghiere, risposte, invocazioni, saluti, ecc..
Proviamo a vedere la composizione di questo dialogo in ogni sua parte:

«Il Signore sia con voi»
Per ben quattro volte il presbitero rivolge all’assemblea questo saluto, ottenendo la risposta «E con il tuo spirito»: a) all’inizio della celebrazione; b) prima di proclamare il Vangelo; c) prima della preghiera eucaristica; d) al termine della celebrazione. In pratica alle quattro parti di cui è composta la Messa, quindi ogni volta che risuona il saluto viene sottolineata una fase significativa del rituale. 
Il dialogo che c’è tra Dio e il suo popolo va insomma di pari passo col dialogo tra presidente e assemblea. Il significato di questo saluto è quello narrato nel libro di Rut, da parte di Booz ai mietitori, i quali gli rispondono: «Il Signore ti benedica» (Rt 2,4); «Il Signore è con te» sono inoltre le parole dell’angelo a Maria (Lc 1,28), ecc.. Ci verrebbe da identificare questo “Signore” con Gesù, ma la frase indica la presenza di Dio mediante il suo Spirito (cfr 2Cor 3,17), Dio che è Spirito e come tale si comunica all’uomo. Ciò spiegherebbe meglio la risposta: «E con il tuo spirito», rivolta al presidente. 
Da una parte dunque il prete assicura l’assemblea circa la presenza divina in quel momento, dall’altra la gente gli risponde che Dio è anche con lui, e in modo speciale, in quanto nell’ordinazione presbiterale ha ricevuto lo Spirito per il suo ministero.

«Signore pietà»
E’ una frase antichissima, di uso liturgico sin dal IV secolo. La sua traduzione greca, Kyrie eleison, è composta appunto da Kyrie, “Signore”, titolo attribuito dai Vangeli a Gesù in quanto risorto, richiama cioè la sua condizione gloriosa, e eleison, in ebraico hannenou, che il latino traduce a sua volta con misericordia (“col cuore che sente pietà”). I due Kyrie e il Christe dell’atto penitenziale sono tutti rivolti a Gesù, non alle tre persone della Trinità. 

«Gloria»
E’ una parola di origine ebraica, kabòd, tradotta poi in greco con doxa e in latino appunto con gloria. Indica ciò che ha peso, quindi non solo la sua importanza, il suo valore, ma proprio il fatto di esserci, di essere presente, ed è evidentemente presente ciò che pesa. Tutto ciò che manifesta Dio è sua gloria: il creato (cfr Sal 8), le sue opere, l’uomo stesso: «La gloria di Dio è l’uomo vivente» dice Sant’Ireneo; ma nel Nuovo Testamento la gloria di Dio raggiunge la sua manifestazione massima in Gesù, nella sua incarnazione, nei suoi miracoli e, soprattutto, sulla croce: l’espressione massima dell’amore di Dio, il suo esser-ci per l’uomo. Rendere gloria è allora accogliere il fatto che Lui ci sia, e ci sia per noi (è diverso credere che ci sia un dio e credere che Dio ci sia proprio per me!).

«Preghiamo»
Tutta la celebrazione è una preghiera, ma in più espressioni: lode, intercessione, supplica, canto, ecc.. In tre momenti risuona però il «Preghiamo» rivolto all’assemblea: a) dopo i riti di introduzione; b) dopo la presentazione dei doni («Pregate fratelli e sorelle..»); c) infine dopo la comunione. L’invito è ogni volta seguito da tre orazioni, dal latino oratio, “discorso”, dette orazioni presidenziali (tenute come già detto da chi presiede la celebrazione). 
Il «Preghiamo» è seguito poi da breve silenzio (a volte troppo breve..), in cui ognuno formula le proprie intenzioni e si dispone interiormente alla preghiera. L’orientamento è sempre il medesimo: ci si rivolge al Padre, per la mediazione del Figlio, in unità con lo Spirito. Solo occasionalmente la preghiera è rivolta direttamente a Gesù. 

«Per il nostro Signore..»
Nella liturgia in generale, e nell’Eucaristia in modo particolare, ogni preghiera è rivolta quasi sempre al Padre, per il Figlio, nello Spirito. Questo movimento trinitario corrisponde alla rivelazione biblica: Gesù ci ha rivelato il Padre e donato lo Spirito. Fu Sant’Agostino, nel Sinodo africano di Ippona del 393, a stabilire di rivolgere al Padre le voci e i cuori durante la celebrazione eucaristica. E’ Gesù dunque, vero sommo sacerdote – che cioè fa da ponte tra noi e il Padre – a presiedere e guidare l’assemblea: il presbitero però ne è segno e strumento visibile (questo è il significato della sede, la sedia, troppo spesso mal considerata o vista solo come un accessorio o un  pomposo di più.. ). «Per il nostro Signore, Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio..», là dove quel “che è Dio” è una precisazione antica contro gli ariani che negavano la divinità di Gesù. 

«Amen»
Proviene da una radice ebraica, la stessa della parola credere (aman, “ancorarsi, appoggiarsi”), quindi rispondere amen significa associarsi a quanto si è detto o fatto: è una professione di fede! Non a caso l’intera Bibbia si chiude con questa parola (Ap 22,20). Tra gli “amen” pronunciati all’interno della Messa, due meritano particolare attenzione: quello comunitario al termine della preghiera eucaristica, il più importante di tutti, e quello individuale al momento della comunione.  S.Agostino così commenta: «Voi rispondete Amen a quello che siete, e questa risposta è la vostra firma. Siate quello che vedete e ricevete quello che siete».

 

Recita
Cristian Messina, Daniela Santorsola

Musica di sottofondo
C. Franck, Panis angelicus, Mass Op. 12, Michel Rondeau, IMSLI. Diritti Creative Commons

 

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