Esdra e Neemia: Introduzione



Introduzione ai libri di Esdra e Neemia 
Trattiamo insieme i libri biblici di Esdra e Neemia per un semplice motivo: sebbene nati e vissuti separatamente, tali opere di genere storico (finalizzate tuttavia alla trasmissione di un messaggio religioso), nella loro redazione finale sono diventate un corpo narrativo e teologico unico, al punto che quello di Neemia, proprio perché ne è la continuazione, viene talvolta chiamato “secondo libro di Esdra”, ma la successiva tradizione cristiana li ha nuovamente divisi. Il cosiddetto “terzo libro di Esdra” (o Esdra greco) poi, è in realtà un apocrifo, come il “quarto”, vero gioiello della letteratura apocalittica giudaica. L’autore, o meglio il redattore finale dei due testi, si ritiene sia la medesima persona che ha composto la vasta sintesi storica che comprende anche i due libri delle Cronache.  Ma chi sono i nostri protagonisti? Esdra è un sacerdote e scriba (dal verbo “scrivere”), di fatto, dopo l’esilio babilonese, un maestro della legge, onorato col titolo di rabbì, “maestro mio”; Neemia è invece un funzionario giudeo alla corte persiana. Cosa, invece, li accomuna? Il fatto di esser stati entrambi protagonisti della ricostruzione, materiale e religiosa, dopo l’esilio, intorno al 450 a.C. I due libri si muovono attorno a tre obiettivi principali: la riedificazione del tempio (distrutto dal babilonese Nabucodonosor), la ricostruzione della città santa e il ristabilimento della legge. Essi raccontano dei cento anni circa che, in modo frammentario, il popolo ebraico ha vissuto dopo il ritorno in Palestina. Se quello di Esdra narra il ritorno nelle sue due mandate – la prima intorno al 538 a.C., la seconda circa ottant’anni dopo, e guidata dallo stesso Esdra – , quello di Neemia (basato probabilmente sul documento Memorie di Neemia) racconta le gesta dell’alto funzionario che ottenne dal re persiano Artaserse I l’autorizzazione per riedificare Gerusalemme e le sue mura. Proviamo però a fare un po’ di chiarezza: nel 538 a.C. l’imperatore persiano Ciro, impadronitosi di Babilonia, libera gli ebrei dalla schiavitù, i quali rientrano nella terra promessa (in cui, val la pena ricordarlo, una parte del popolo era rimasta), dove tutto è da ricostruire! In tale situazione salgono sulla ribalta tre personaggi: il meno conosciuto Zorobabele, figlio minore del re deportato Ioiachin, che viene incaricato da Ciro di organizzare il ritorno degli ebrei. Il primo rimpatrio – narrato in modo idealizzato, come si trattasse di un secondo esodo, dopo quello egiziano – avviene dunque tra il 520 e il 515 a.C. Zorobabele gode tra l’altro del sostegno dei profeti Aggeo e Zaccaria, oltre che del sommo sacerdote Giosuè. Quindi ecco il già citato Esdra, attorno al quale verrà portata a termine la redazione finale del Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia. Per tale ragione è considerato uno dei padri dell’ebraismo nonché fondatore del giudaismo e precursore del fariseismo. Se per giudaismo s’intende quel periodo che nasce proprio adesso, dopo l’esilio babilonese, e segna una netta demarcazione con quanto avvenuto fino a quel momento al popolo d’Israele (ridotto alla sola tribù di Giuda, da cui il nome), per fariseismo (forse derivato dall’ebraico perisajja, “divisi”) s’intende invece quel movimento religioso e politico che, nato nel II secolo a.C., mirava a conservare lo spirito nazionale giudaico, e questo attraverso tre punti: la purità legale, il pagamento delle decime e il riposo sabbatico. Decisamente opposti ai sadducei (l’aristocrazia sacerdotale), i farisei – che credevano nella resurrezione della carne e nella venuta del Messia, e godevano di una grande stima tra il popolo – verranno messi in cattiva luce dai Vangeli, per via della polemica sollevata da Gesù nei loro confronti, poiché anteponevano le prescrizioni legali all’essere umano, la lettera allo spirito. Infine Neemia, un ebreo di Susa, in Persia, coppiere del re Artaserse I, il quale lo nomina governatore di Gerusalemme e gli affida il compito di ricostruire la città e le sue mura. Tornando ai testi, il libro di Esdra, che nell’originale è scritto in ebraico, contiene alcuni brani in aramaico, la lingua parlata da Gesù. Si divide in due parti: la prima, come detto, narra il ritorno dei primi esuli da Babilonia grazie al permesso accordato dal re Ciro; nella seconda è invece descritta l’opera del sacerdote-scriba, il quale riceve l’incarico di andare a Gerusalemme per riformare soprattutto la pratica matrimoniale. Ma perché? In questo momento storico era fondamentale che il popolo, dopo il dramma dell’esilio, ritrovasse la sua identità, esigenza che però ha spinto gli ebrei a chiudersi in sé stessi, ad esempio non sposando più donne straniere, con l’obiettivo cioè di creare una netta separazione tra giudei e pagani, che vengono mandati oltre i confini. Tra questi due libri spicca infine una perla, il capitolo 8 di Neemia, che narra la ripresa del culto incentrata sulla proclamazione, passo biblico che, insieme a Luca 4 (l’insegnamento di Gesù nella sinagoga di Nazareth), è decisivo per comprendere la portata della nostra attuale Liturgia della Parola, la prima parte della Messa. La potenza celebrativa è dirompente: «tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza.. il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza.. dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno.. tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno – ecco il primo ambone della storia! – che avevano costruito per l’occorrenza, e accanto a lui stavano a destra e a sinistra (e qui vengono enumerate tredici persone).. e i leviti (che oggi chiameremmo ministri, gli addetti cioè ad aiutare il prete durante la celebrazione) spiegavano la legge al popolo.. a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemia.. Esdra.. e i leviti.. dissero a tutto il popolo: “..non piangete!”. Infatti tutto il popolo piangeva mentre ascoltava le parole della legge». Purtroppo durante la proclamazione delle nostre letture domenicali, la gente non piange ma sbadiglia, e su questo dovremmo riflettere.. Il grande insegnamento che ci lasciano tuttavia Esdra, Neemia e i leviti è enorme: il primo è un sacerdote, mentre il secondo e i restanti sono laici, e tutti insieme cooperano attivamente per celebrare la parola di Dio.. non è forse dell’inevitabile futuro del cristianesimo che si sta parlando?        

Recita
Cristian Messina

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