Numeri 11,4b-15 con il commento di Rachele Consolini



Dal libro dei Numeri
Nm 11,4b-15 

Testo del brano
In quei giorni, gli Israeliti ripresero a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna». La manna era come il seme di coriandolo e aveva l’aspetto della resina odorosa. Il popolo andava attorno a raccoglierla, poi la riduceva in farina con la macina o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere nelle pentole o ne faceva focacce; aveva il sapore di pasta con l’olio. Quando di notte cadeva la rugiada sull’accampamento, cadeva anche la manna. Mosè udì il popolo che piangeva in tutte le famiglie, ognuno all’ingresso della propria tenda; l’ira del Signore si accese e la cosa dispiacque agli occhi di Mosè. Mosè disse al Signore: «Perché hai fatto del male al tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, al punto di impormi il peso di tutto questo popolo? L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: “Portalo in grembo”, come la nutrice porta il lattante, fino al suolo che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Da dove prenderò la carne da dare a tutto questo popolo? Essi infatti si lamentano dietro a me, dicendo: “Dacci da mangiare carne!”. Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi; che io non veda più la mia sventura!».

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
F.Chopin. Preludes. Op.28 No.7. The polish dancer. Diritti Creative Commons. musopen.org

Meditazione
Rachele Consolini

Meditazione
In questo brano della Bibbia, il popolo ebreo, che sta marciando nel deserto verso la Terra Promessa, è stanco e affaticato e si lamenta perché non mangia carne ma solo la manna che, ogni mattino, raccoglie e lavora per trasformarla in focaccia. Dietro a questa lamentela però c’è di più; una sfiducia, forse un pentimento e una delusione perché la salvezza che Dio ha portato attraverso Mosè non ha prodotto quello che in cuor loro speravano. Anzi, la salvezza e la liberazione dalla schiavitù passano in secondo piano e rimpiangono la loro condizione passata: «ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri..». Si lamentano perché il deserto inaridisce la loro gola, perché mangiano sempre la stessa cosa, perché non hanno carne. Il popolo soffre e con lui anche Mosè, che si sente responsabile del loro pianto e sente tutto il peso su di sé, così comincia a lamentarsi anch’egli con Dio di tutta questa situazione. In un certo senso dà la colpa a Dio che l’ha scelto, e non vuole la grande responsabilità di guidare il suo popolo. Invece di essere mediatore e intercedere con preghiere e suppliche, come aveva già fatto in passato, crede di essere lui a dover risolvere il problema, di essere lui la vera guida del popolo. Si mette al posto di Dio ed il peso è così grande che non riesce a sopportarlo. E in effetti è proprio così anche per noi, quando al centro della nostra vita non mettiamo Dio ma noi stessi, quando pensiamo che la nostra vita dipenda solo da noi e dalle nostre scelte. Quando pensiamo che la nostra realtà è bella e soddisfacente, perché siamo stati bravi noi a fare le scelte giuste e, quando invece le cose non vanno bene, diamo la colpa a Dio, è segno che Dio non è al posto giusto nella nostra vita. Quando la nostra famiglia, i nostri figli, il nostro lavoro e il nostro stesso cammino di conversione diventa un peso, questo è il campanello d’allarme che dobbiamo ascoltare per rimettere a posto le cose e rimettere Dio al centro della nostra vita. Allora non rimpiangeremo più le cipolle d’Egitto e il nostro lamento si muterà in lode, e ringrazieremo Dio per la libertà che ci ha donato nell’essere suoi figli, amati, curati e salvati.

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