Compagni di viaggio: Mircea Eliade (22 Aprile)



Mircea Eliade
Oggi facciamo memoria del rumeno Mircea Eliade (1907-1986), storico delle religioni e antropologo, scrittore e filosofo, orientalista e mitografo, saggista e perfino esoterista (!), oltre che accademico. Come mai? Cos’ha da insegnarci? Con tutta probabilità non verrà infatti iscritto all’albo dei santi.. In che modo allora ci fa compagnia nel viaggio della vita?
Uomo di grande cultura e assiduo viaggiatore,parlava e scriveva correntemente otto lingue: rumeno, francese, tedesco, italiano, inglese, ebraico, persiano e sanscrito. Figlio di un ufficiale militare, ad appena 14 anni pubblicò Come ho scoperto la pietra filosofale, suo primo racconto, dal titolo già pretenzioso! Quattro anni dopo si iscrisse a Lettere e Filosofia all’Università di Bucarest. In quegli anni conobbe diverse persone, su tutte il connazionale drammaturgo e saggista Eugène Ionesco, di cui diverrà grande amico, tra i maggiori esponenti del “teatro dell’assurdo” (caratterizzato dal rifiuto di un linguaggio logico-consequenziale) e celebre per la frase ingiustamente
attribuita all’attore e regista Woody Allen: «Dio è morto, Marx pure, e anch’io non mi sento molto bene». Grande estimatore della cultura italiana, nel 1927 inizia a scrivere per il periodico “Nuova Generazione Romena”, contribuendo alla causa dellaGuardia di Ferro, un movimento ultranazionalista di ispirazione fascista. Non solo, fu tacciato anche di temere un’“invasione ebrea”. Lo abbiamo già detto: non finirà nel Martirologio Romano.. dunque? Laureatosi in filosofia nel 1928, vinse una borsa di studio che lo portò a studiare per tre anni la filosofia indiana a Calcutta, esperienza questa che influenzò molto il suo pensiero. Negli anni successivi insegnò filosofia a Bucarest, pubblicando tra l’altro diversi romanzi e saggi. Nel 1942 scrisse Salazar e la rivoluzione in Portogallo, di fatto una celebrazione del dittatore Antònio de Oliveira Salazar, criticato aspramente dalla Rowling nella saga di Harry Potter: non è un caso che la casata malvagia, antagonista principale di quella di Grifondoro, sia proprio quella fondata da Salazar Serpeverde, mago di cui Voldemort sidichiara l’erede. Dalla fine della seconda guerra mondiale visse a Parigi fino al 1956. L’anno dopo divenne docente di storia delle religioni all’Università di Chicago, continuando però a viaggiare moltissimo. Nella metropoli dell’Illinois morì il 22 aprile 1986, cedendo l’eredità letteraria all’allievo Ioan Petru Culianu, misteriosamente assassinato cinque anni dopo in un bagno dell’Università.

Fino a qui, diciamo che ha vissuto una vita non proprio incredibilmente esemplare..
Non è infatti per il suo esempio che lo ricordiamo, bensì per le sue opere, su tutte Il sacro e il profano, geniale introduzione ai fenomeni religiosi, capace non solo di illuminare i meccanismi che legano tra loro le diverse religioni, ma, soprattutto, di fornire interessanti chiavi di lettura al Cristianesimo nello specifico. Prima di lui fu però il teologo e pastore luterano Rudolf Otto (1869-1937) a far breccia sul tema, il suo pensiero è infatti alla base non solo dellafilosofia della religione, ma anche della psicologia della religione e della sociologia della religione. Anch’egli, come più tardi Eliade, dopo un soggiorno in India si orienterà verso lo studio comparato delle religioni, facendogli pubblicare nel 1917 la sua opera più importante: Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione col razionale, in cui distingue la ragione e la morale del mondo sacro dall’aspetto irrazionale. Quest’ultimo, riassumibile nel concetto di numinoso, comprende tre aspetti: il Tremendum (che ci fa percepire Dio come un sovrano rispetto al quale ci sentiamo inferiori), il Mysteriosum (quello che ce lo fa invece sperimentare come il «totalmente Altro», e il Fascinans (capace di portare al rapimento mistico). Il sentimento religioso – ecco il punto – per Otto non dipende
dall’esperienza personale, è infatti una predisposizione umana. La sua convinzione di fondo è, in pratica, che ogni esperienza religiosa abbia una base comune.

Si parla spesso di sacro e profano, ma cosa s’intende esattamente con questi due termini?
L’italiano sacro, etimologicamente viene – attraverso il latino – dall’accadico (insieme di lingue ormai estinte) saqāru (“invocare la divinità”), sakāru (“sbarrare, interdire”) e saqru (“elevato”). La parola santo, invece, spesso utilizzata come sinonimo, deriva dal latino sanctus, “sancire”, nel senso di “separare, riservare, dedicare”. Tirando le somme, sacro è sinonimo di “altro”, contrapposto all’ordinario, al comune, rappresentato dal profano, da pro- fanum, “davanti al tempio”, nel senso di “fuori dal recinto sacro”.

Ma torniamo a Eliade..
Nel 1949 pubblica Il mito dell’eterno ritorno, dove indaga i tre aspetti in cui il sacro si mostra: il rito, il mito e il simbolo. Se il primo è l’andamento sequenziale dell’azione, lo “schema” potremmo dire, il secondo è la “narrazione”, nello specifico di un evento primordiale, accaduto in illo tempore, «in quel tempo», che è l’incipit di ogni proclamazione liturgica del Vangelo! Il simbolo, infine, è ciò che ci permette di percepire qualcosa con i cinque sensi ma ci rimanda ad altro: vedo il Crocifisso, e mi parla dell’amore di Dio per me; ascolto la sua Parola, e mi chiama a seguirLo; odoro l’incenso, e sale a Lui la mia preghiera; mangio e bevo il pane e il vino eucaristici, e pregusto la dolcezza eterna che mi aspetta; tocco l’acqua con la mano destra e, tracciando la croce sul mio corpo, faccio memoria del giorno in cui sono stato “immerso” nella vita trinitaria. Il suo capolavoro rimane tuttavia, come già detto, Il sacro e il profano, nella cui prefazione scrive: «la scomparsa delle “religioni” non implica affatto la scomparsa della “religiosità”.. il “profano” non è che una nuova manifestazione della stessa
struttura costitutiva dell’uomo che prima si manifestava attraverso espressioni “sacre”». Nell’introduzione precisa poi che: «..il sacro e il profano sono due modi d’essere nel mondo, due situazioni esistenziali assunte dall’uomo nel corso della storia». E le chiavi di lettura della categoria del sacro sono il tempo e lo spazio.

Ovvero?
«..il Tempo sacro – dice – è sempre lo stesso.. un “susseguirsi di eternità”.. un evento sacro, avvenuto ab origine e che il rito rende attuale. Coloro che vi partecipano diventano contemporanei dell’evento mitico. In altre parole “escono” dal loro momento storico.. e si ricongiungono con il Tempo primordiale, che è sempre lo stesso che appartiene all’Eternità.. il Tempo originario.. è costituito da un eterno presente, indefinitamente recuperabile». Non è forse su questi presupposti che ha luogo l’Eucaristia? Scrive a proposito il liturgista gesuita Cesare Giraudo: «la nozione di ripresentazione sacramentale precisa e chiarisce il rapporto fra i tre momenti dell’economia salvifica: cenacolo, Calvario e messa.. – e chiarisce – Non è al cenacolo che ci riportano le nostre messe, bensì al Calvario.. (che l’Ultima Cena in qualche modo anticipa)» (In unum corpus. Trattato mistagogico sull’eucaristia). Parole molto difficili, certo, per dirci però che quando celebriamo l’eucaristia non ci limitiamo a ricordare quanto avvenuto in passato, ma siamo nuovamente presenti – attraverso la fede – a quanto accaduto duemila anni fa! Ogni messa è, in tal senso, sempre la stessa, eppur sempre nuova. «Una festa – prosegue infatti Eliade – ha sempre luogo nel Tempo originario», nel nostro caso, durante la messa siamo sempre attorno a quel “tavolo” con Gesù e i Dodici, ma allo stesso tempo proiettati verso il futuro, dato che ogni volta «annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

Viene insomma rotta la logica del tempo ciclico..
Esatto. «Per il giudaismo (infatti) il Tempo ha un principio e avrà una fine.. (ma) il cristianesimo va oltre.. Per il fatto che Dio si è incarnato.. la storia è suscettibile di santificazione.. Il cristiano contemporaneo che partecipa al Tempo liturgico, si riallaccia al (tempo).. in cui Gesù è vissuto, morto e risuscitato, tuttavia non si tratta più di un Tempo.. (poiché) la Storia è la nuova dimensione della presenza di Dio nel mondo».

Per quanto riguarda lo spazio invece?
«Nessun mondo – afferma Eliade – è possibile senza la verticalità», l’uomo infatti «aspira a collocarsi in uno spazio con un’apertura verso l’alto, che lo mette in comunicazione con il mondo divino..». Non solo, «le abitazioni si ritengono effettivamente al Centro del Mondo e riproducono l’Universo su scala microcosmica». E se ciò è vero per la casa, a maggior ragione per la chiesa!

Tornando ai riti, cosa afferma circa quelli “di passaggio”?
«L’iniziazione comporta una morte e una risurrezione rituali. Perciò, presso molti popoli primitivi, il neofita viene simbolicamente “ucciso”, sotterrato e ricoperto di foglie. Quando si leva dalla tomba, è considerato un uomo nuovo, perché è stato partorito una seconda volta..». Uomini nuovi che la Bibbia
ci invita continuamente ad essere, in Cristo. «(i diversi) rituali e simboli del “passaggio” esprimono – prosegue Eliade – una specifica concezione dell’esistenza umana: una volta nato, l’uomo è incompleto; deve nascere una seconda volta, spiritualmente..». Testimonianza ne è il fatto che «Presso alcuni popoli bantù (gruppo etnico-linguistico africano), il ragazzo, prima della circoncisione, è oggetto di una cerimonia conosciuta con l’espressione “nascere di nuovo”. Il padre sacrifica un montone e, dopo tre giorni, avvolge il fanciullo nella membrana dello stomaco e nella pelle dell’animale.. (dove) Rimane tre giorni..». Proprio come Giona nel ventre del pesce e Gesù nella tomba, tre giorni di morte che ci sono valsi la Vita..

Le diverse religioni in generale, ma soprattutto la vita di Gesù, lasciano intuire che c’è un rapporto tra il sacro e la violenza..
È ciò che nel 1972 ha messo in luce il filosofo e antropologo francese René Girard, affermando che la violenza, facendo parte della struttura umana, è causata dal desiderio mimetico, cioè essere come l’altro e possedere quel che l’altro possiede. Nella sua più celebre opera, La violenza e il sacro, chiarisce bene come tale desiderio generi violenza, capace a sua volta di sfociare in vendetta, evitabile però attraverso la giustizia. Nelle società arcaiche, tuttavia, la strategia di contenimento era rappresentata dai riti sacrificali, i quali, veicolati sulla vittima, rendevano sacra sia la violenza sia la vittima, il celebre capro espiatorio. Meccanismo, questo, che ci aiuta a leggere meglio la vita di Gesù, «l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo».

In estrema sintesi, possiamo dire allora che per Eliade l’uomo a-religioso non esiste?
Proprio così.. «L’uomo areligioso allo stato puro.. è un fenomeno piuttosto raro, anche nella società moderna più desacralizzata. La maggioranza dei “senza-religione” si comporta ancora, a loro insaputa, religiosamente», ragion per cui «Conoscere le situazioni dell’uomo religioso.. significa.. progredire nella conoscenza generale dell’uomo». L’autore non usa insomma mezzi termini: «Un uomo esclusivamente razionale è un’astrazione: nella realtà non esiste.. Da un punto di vista giudeo- cristiano si potrebbe anche dire che la non-religione equivale a una nuova “caduta” dell’uomo..». «A questo punto – così conclude la sua opera monumentale – si fermano le considerazioni dello storico delle religioni. Di qui parte la problematica pertinente al filosofo, allo psicologo, anzi al teologo».

Tornando alle categorie di sacro e profano, cosa dicono al cristiano di oggi?
Al cristiano di oggi, anzi, a quello di sempre, basta ricordare che «la Parola si è fatta carne e ha piantato la sua tenda tra gli uomini» (1,14), in quel pianeta Terra che da allora è diventato mondo, “puro”. Tenda che è diventata “centro”, per usare un termine caro allo stesso Eliade. Dio si è tolto le vesti divine per indossare quelle umane! «Caro cardo salutis», per dirla col Padre della Chiesa Tertulliano, “la carne è (cioè) il cardine della salvezza”. In altre parole: è l’umano il “luogo” di Dio, per cui non esiste più nulla di profano, non c’è più niente “davanti al tempio”, perché tutto è tempio.

Donaci, Signore, occhi capaci di vedere oltre, affinché possiamo accorgerci che Tu sei ovunque e in chiunque, perché nulla ti è precluso! Ti chiediamo la forza di essere segno, anzi simbolo, di coloro che, talvolta senza saperlo, ti cercano “fuori dal tempio”..

Recita
Cristian Messina, Federica Lualdi

Musica di sottofondo
Musiche di Lorenzo Tempesti
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