Gioele: Introduzione



Introduzione al libro del profeta Gioele
«Ritorniamo al Signore con tutto il cuore, in spirito di umiltà e di penitenza: egli è pietà e misericordia, pronto a perdonare ogni peccato.. (cfr. Gl 2,13) Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: “Perdona, Signore! Perdona il tuo popolo..” (cfr. Gl 2,17)». Con queste due antifone, possibilmente cantate, i fedeli incedono penitenti durante il mercoledì delle Ceneri, in attesa di riceverle sul capo; antifone che la liturgia di quel giorno attinge dal profeta Gioele. Ma chi era costui? L’etimologia ebraica del nome lascia trasparire qualcosa, significa infatti “JHWH è Dio”, ma di lui non sappiamo quasi nulla: c’è perfino chi ne mette in discussione la sua stessa esistenza. «Non sono d’accordo.. non voglio e non posso crederci. Sarebbe un colpo troppo deciso inferto al mio ego, già fragile e precario di suo e in cerca di continue conferme», ribadisce ironicamente l’attore comico David Ottolenghi, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Gioele Dix. Proviamo allora ad azzardare qualche ipotesi sul suo conto: data la familiarità con la liturgia giudaica che mostra, il «figlio di Petuèl» potrebbe essere un sacerdote del tempio, o meglio un profeta addetto al santuario, in pratica un profeta “ufficiale” o “cultuale”, sorta di cantore ispirato. Per alcuni studiosi si tratterebbe forse non di una persona sola, ma di un gruppo di profeti. Quanto al testo, è anch’esso di difficile collocazione temporale: considerando ad esempio l’importanza che dà al tempio, o l’antipatia che manifesta nei confronti degli stranieri, potremmo collocarlo dopo l’esilio babilonese, ipotizzandone quindi la redazione tra il 515 e il 343 a.C., in epoca persiana; ma lo stile, l’ebraico utilizzato (ancora come lingua viva) e il pensiero (affine a quello dei teologi del VII-VI secolo a.C., per capirci gli autori anonimi del Deuteronomio, Geremìa e Sofonìa) fanno propendere altri esperti per una data preesilica. Restiamo col dubbio, chi sia stato e quando abbia operato ce lo dirà lui stesso, in Paradiso! Per quanto riguarda invece la struttura, il libro è divisibile in due parti: la reazione alle due grandi piaghe delle locuste e della siccità (1,4-2,17) e l’intervento successivo di JHWH (2,18-4,21). Ma anche quest’ipotesi non è condivisa dalla totalità degli esegeti (dal greco “guide, interpreti”). Pazienza, ce ne faremo una ragione e dormiremo comunque sonni tranquilli. Di cosa parla Gioele? L’autore utilizza come sfondo del suo scritto due situazioni: un’invasione di celiferi, insetti da noi meglio conosciuti col termine di locuste o cavallette, e una prolungata siccità, calamità di fronte alle quali Gioele invita il popolo alla penitenza in vista del «giorno del Signore». Ma procediamo per gradi. Anzitutto le cavallette, il cui attacco (fenomeno verificatosi “storicamente”) è paragonato a quello delle nazioni ostili a Israele, insomma uno stimolo da parte di Dio affinché il popolo si converta. Un attacco esterno, potremmo dire, in vista di un cambiamento interno. Interessante il fatto che «in ebraico e aramaico ci si incontra con almeno una ventina di vocaboli per designare la cavalletta: – sottolinea il biblista Gianfranco Ravasi – viene vista in tutti i movimenti del suo formarsi, dalla larva al punto terminale, nel suo incombere sul verde, o mentre sta rombando lontano.. ed ecco che lentamente – prosegue il cardinale – essa si trasfigura e trascolora nello scenario straordinariamente teso di un’invasione militare: le cavallette diventano cavalli, gli insetti si trasformano lentamente nella cavalleria del giudizio di Dio». «È.. vero – incalza nuovamente con ironia il già citato Gioele Dix – che profetizzare un’invasione di cavallette, a quei tempi e con quelle condizioni climatiche, non costituiva un grande colpo di genio. Ma resta pur vero il fatto – indiscutibile – che il racconto del cataclisma provocato dagli insetti assassini è un capolavoro letterario, micro ma capolavoro.. (il profeta) scrive (infatti) come se pensasse alla sceneggiatura di un thriller ed è magistrale nel far decollare la tensione.. era un visionario e pensava in grande». I messaggi di Gioele, fondamentalmente due e fra loro intimamente legati, sono tuttavia più ampi e sottili: ci parla infatti dello spogliamento totale dell’uomo (ormai privato, dopo il cataclisma, di tutto) e, come detto, del «giorno del Signore». Il primo tema percorre in fondo l’intera storia della salvezza: va dalla nudità simbolica di Adamo ed Eva a quell’effusione dello Spirito Santo che, da una parte ci fa prendere coscienza della nostra “nudità”, dall’altra ci “riveste” della vita divina. Non a caso Pietro, negli Atti degli Apostoli, citerà proprio Gioele (Gl 3,1-5): «Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mio Spirito» (At 2,17), episodio che rappresenterà, questa volta in positivo, il momento messianico, escatologico ed apocalittico per usare gli altisonanti paroloni teologici, cioè della venuta definitiva dell’Unto, degli ultimi tempi e della rivelazione finale. Il secondo tema, quello del «giorno del Signore», è ovviamente legato al tempo e si dipana in una storia progressiva, «segnata dalle visite di Dio – dice il gesuita e teologo francese Xavier Léon-Dufour – in tempi, giorni, ore, momenti privilegiati: il Signore è venuto, viene continuamente, verrà, per giudicare il mondo e salvare i fedeli». E questo suo presentarsi, aggiungiamo noi, si realizza ogni volta in modo speciale nella liturgia e nei sacramenti, anche se non solo. È con Gesù, insomma, che il tempo assume nuova dimensione e migliore qualità. Altro grande tema, diffuso in tante religioni, è dunque il giudizio: l’attività giudiziaria fu esercitata all’inizio da Mosè e dai suoi assistenti, poi da Samuele, quindi dai re e dai sacerdoti, ed è a tale esperienza umana che la Bibbia si ispira quando parla del “giudizio di Dio”, che avrà come teatro la «valle di Giosafat», così chiamata dal nome del quarto re di Giuda (ma il nome è in primis simbolico, Giosafat significa infatti “il Signore è giudice”), quella della “grande adunanza”, in cui convergeranno gli esseri umani di tutti i luoghi e di tutti i tempi, identificata dagli ebrei con la valle del Cedron (in ebraico “oscuro”, per via dell’originaria profondità), i quali l’hanno riempita di tombe, in modo da essere “in prima fila”, davanti al Signore, in quel “giorno”! E noi, in quale luogo vorremmo essere sepolti? E per quale ragione? In prima o ultima fila?               

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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