Lettera a Tito 1,1-9 con il commento di Giacomo Ricci



Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito
Tt 1,1-9

Testo del brano
Paolo, servo di Dio e apostolo di Gesù Cristo per portare alla fede quelli che Dio ha scelto e per far conoscere la verità, che è conforme a un’autentica religiosità, nella speranza della vita eterna – promessa fin dai secoli eterni da Dio, il quale non mente, e manifestata al tempo stabilito nella sua parola mediante la predicazione, a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore –, a Tito, mio vero figlio nella medesima fede: grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore. Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato. Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati. Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile: non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagni disonesti, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone di sé, fedele alla Parola, degna di fede, che gli è stata insegnata, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriel Fauré. Romance sans paroles No.3. Performer Sam Chan. Diritti Creative Commons. musopen.org

Meditazione
Giacomo Ricci

Meditazione
Paolo inizia la sua lettera a Tito presentandosi e dichiarando subito qual è l’intento e lo scopo di tutto ciò che andrà a scrivere: «far conoscere la verità». Che bella questa frase. La verità, tante volte se ne parla, tanti filosofi e letterati l’hanno indagata e cercata fino allo strenuo delle forze, ognuno di noi la cerca, pur magari non accorgendosene. Che cos’è vero e che cosa è falso? Poter fare distinzione è fondamentale. Quante volte nella vita di tutti i giorni siamo davanti a questa sfida, riconoscere le cose vere da quelle contraffatte, artificiose, costruite apposta per ingannare, per illudere, dietro alle quali ci sono interessi altrui, profitti e guadagni di ogni genere. Non è facile fare quest’operazione di discrimine, specialmente nella società d’oggi, dove sempre più cose e persone si presentano a noi nascoste da maschere e travestimenti. Possiamo quindi dire che riconoscere ciò che è vero è molto importante, ma perché invece è fondamentale? Beh, perché a pensarci bene la verità sembra andare a coincidere con la felicità. Parole grosse, ma ad esempio per un cristiano è sicuramente così, ce lo dice Gesù stesso: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), «Rimanete nel mio amore. […] Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9.11). Lui è la Verità e se rimaniamo in Lui avremo la gioia piena. Il messaggio è molto chiaro. Lo ribadisce anche Paolo subito dopo: «far conoscere la verità, che è conforme ad un’autentica religiosità». Che bello allora poter dire di sapere qual è la verità ed essere certi di essa, poter avere quell’elemento di discrimine che ci aiuti a districarci in una quotidianità così intricata, in una società così artefatta. La lettera prosegue parlando di «speranza della vita eterna», che diventa certezza poiché promessa da Dio, «il quale non mente», egli è anche «nostro salvatore», Paolo lo ripete per due volte nel giro di tre righe, calcando sul tema della salvezza, raggiungibile solo attraverso Cristo. Si svela poi l’interlocutore, «a Tito», a cui viene rivolto un augurio di grazia e pace, sempre provenienti dal Signore. Poi continua, iniziando a descrivere nei particolari l’incarico che egli sta per affidargli, ovvero prendersi cura del popolo di Creta e stabilirvi presbiteri che abbiano determinate caratteristiche, prima tra tutte l’irreprensibilità, l’essere impeccabile, qualità che Paolo sembra avere molto a cuore, viene infatti citata per ben tre volte all’interno della lettera. Pare quasi voglia richiamare la tensione verso la perfezione, evocata in precedenza da Gesù: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste», o anticipata ancora prima dal messaggio di Dio a Mosè: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”». Essere santi, infatti, è la qualità che compare, guarda caso, poco dopo, quando Paolo inizia a delineare concretamente il significato della parola “irreprensibile”. A tal proposito vorrei riportare una frase di suor Stefania, appartenente alla comunità Montetauro di Coriano, nel riminese, la quale una volta, in un incontro con la nostra parrocchia, ci ha domandato: “Ma voi lo sapete che tutti siamo chiamati a diventare santi?” Quesito che personalmente mi ha scosso, pur essendo credente e praticante fin da bambino, non mi ero mai sentito chiamato alla santità e nemmeno ci avevo mai pensato. Probabilmente perché, nell’immaginario comune, questo tipo di vocazione è intesa come qualcosa di distante, riservato solo a pochi eletti e puri di cuore, non alla portata di tutti. Essere invece consapevole del contrario mi ha aiutato. È qualcosa che valorizza e fa capire, ancora di più, la bellezza che emaniamo agli occhi di Dio, il quale ripone in noi la massima fiducia. Questo di conseguenza incentiva, ulteriormente, a dare il meglio e a pretendere il massimo da sé stessi. Paolo esorta alla santità i ministri della Chiesa, ma questa esortazione potremmo estenderla ad ognuno di noi, ad ogni cristiano e ad ogni uomo. Essere santi di certo non significa non peccare mai, ma avere la forza di rialzarsi dopo ogni sbaglio, dopo ogni caduta, provando a migliorare sempre, errore dopo errore e cercando di tendere alla perfezione, che chiaramente non raggiungeremo, ma verso la quale è doveroso incamminarsi.

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