La Bibbia: Antico Testamento



L'Antico Testamento
Il nostro personale approccio all’Antico Testamento non può che partire dal modo in cui lo definiamo, per cui occorre anzitutto farci illuminare dall’etimologia: Testamento deriva dal latino testamentum (dal verbo testari, “testimoniare”), che traduce il greco diathéke, che a sua volta rende l’ebraico berit, “alleanza”. È insomma di un patto che stiamo parlando, un patto che, pur richiedendo una certa bilateralità, è in primis donato, offerto da Dio all’uomo. Il primo a chiamarlo così fu san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi: «le loro menti – dice l’Apostolo riferendosi ai figli d’Israele – furono indurite: infatti, fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l’Antico Testamento (palaià diathéke), perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore..» (2Cor 3,13-15). Ma attenti bene: ad essere eliminato è il velo che copriva il volto di Mosè, impedendone la realtà di Cristo, non l’Antico Testamento! Eppure, dalla facilità con cui viene spesso bypassato (a immediato vantaggio del Nuovo) la lettura che facciamo oggi di questo passo sembra proprio essere questa.. Tertulliano e Origene, tra il II e III secolo d.C., furono i primi dopo Paolo a chiamarlo così, intendendo per Antico Testamento le sacre Scritture di Israele accolte dai cristiani. Detto altrimenti, la concezione che abbiamo della prima parte della Bibbia equivale forse, non sempre, alla concezione che abbiamo del popolo eletto. Il celebre biblista Romano Penna definisce il cristianesimo come un innesto nell’ebraismo. Ora, se l’affermazione può sembrarci ardita, in realtà sottolinea un principio importante: ciò che viene prima non è da buttare, e Antico non significa “ormai senza più alcun valore”! Infatti, «proprio perché (anch’esso) Parola di Dio e quindi testo ispirato – dice un altro biblista, Gianfranco Ravasi – (è preferibile) adottare l’espressione Primo Testamento, nella consapevolezza che la storia della salvezza ha un percorso unitario, le cui tappe devono essere tutte seguite..». Ma la nostra tentazione di frazionare e ridurre è sempre molto forte: non è forse quel che accade durante la Liturgia della Parola, quando, a discapito delle altre Letture, rivolgiamo unicamente la nostra “attenzione” al Vangelo, per non dire alla sola omelia? Si tratta insomma della sottile e periodicamente riaffiorante tentazione di Marcione, vescovo che nel II secolo considerava inconcepibile il legame tra Gesù e quel Dio che l’Antico Testamento lasciava emergere. Eppure Gesù era un ebreo, e l’Antico Testamento era per lui – come per l’intera Chiesa primitiva – la sola Bibbia, quella che in qualche modo ha forgiato la sua anima. Tornando a quello che d’ora in poi possiamo chiamare Primo Testamento, si tratta in pratica di un viaggio letterario spazio-temporale, in cui il Signore ha mirabilmente operato, facendolo attraverso personaggi: Adamo ed Eva, Noè, Abramo, Giacobbe, Mosè, Davide, e via dicendo.. solo per citare i più noti; ma anche tappe: la creazione, l’epoca dei Patriarchi, il dono del Decalogo, la liberazione, il culto d’Israele, la conquista della terra di Canaan, la deportazione e una nuova rilettura della storia, ma soprattutto l’attesa del «Messia», dall’ebraico mashîah, in greco christós. Quanto alla sua struttura, il Primo Testamento è chiamato dagli ebrei Tanak o “la Scrittura”. Il primo termine è l’acrostico (con l’aggiunta delle vocali per poterlo pronunciare) dei tre blocchi che la compongono: Torah (la legge, l’insegnamento, che i cristiani chiamano Pentateuco), Nebi’ìm (i Profeti) e Ketubìm (gli “altri” Scritti). Su questa scia, anche la tradizione cristiana ha optato per un trittico, tuttavia con alcune varianti, contemplando cioè quei testi che gli ebrei reputano non ispirati (definiti Deuterocanonici), dunque esclusi dal loro canone, ovvero Tobia, Giuditta, la versione greca di Ester, Sapienza, Siracide, Baruc, la versione greca di Daniele e i due libri dei Maccabei. Se nella versione cattolica l’incipit del Primo Testamento ha le parole della Genesi, «In principio..» (Gn 1,1), la chiusura è narrata dalla voce del profeta Malachia: «perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio» (Ml 3,24). Parole non facili da digerire, tanto da far invertire l’ordine degli ultimi versetti alla versione greca della Bibbia, chiamata Settanta, proprio per non sentir terminare il Primo Testamento con la parola “sterminio”, che sembrerebbe confermare tutte le perplessità appena citate. Se la tradizione ebraica legge in questi versi la profezia di Elia, quella cristiana ci scorge un’attesa, la venuta di quell’Elia che sarà Giovanni, il Battezzatore, vero trait d’union dei due Testamenti.                       

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

Scarica la nostra App su