Qoelet: un libro scandaloso



Testo della catechesi
Mi fai una intro? Scrive Kafka, se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martelli sul cranio, perché dunque lo leggiamo? Buon Dio, dimmi tu, saremmo felici anche se non avessimo dei libri e quei libri che ci rendono felici potremmo a rigore scriverli da noi. Ma ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio. Un libro deve essere una piccozza per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi. Questo Franz Kafka lo dice in genere dei libri, ma io credo che se dica proprio al nostro libro di questa sera.
Il libro del Qoelet è un libro, dicevo prima, scandaloso, misterioso, ma proprio per questo ha la capacità di essere accolto da tutti. Il libro del Qoelet è un libro per coloro che alla vita non dice più nulla, che si accontentano di vivere a livello superficiale, mangiare, bere, divertirsi. È un libro per loro. Il libro del Qoelet è un libro per coloro che sono in attesa, coloro che hanno fatto grandi esperienze umane ma ancora a loro non basta per essere uomini. Dietro il Qoelet c'è una profonda e sottile attesa. È un libro dell'inquietudine per gli inquieti, per quelli che non si accontentano di risposte facili. Il libro del Qoelet è un libro per tutti coloro che sono in ricerca, quindi sono inquieti. L'inquieto è colui che continuamente cerca perché quello che ha non gli è sufficiente.
Dicevo prima, è il libro di coloro che non si accontentano di risposte facili, preconfezionate, banali, moralistiche, da preti insomma. Vi cito due o tre maestri più o meno vicini a noi, certamente più vicini del Qoelet, che potrebbero dire qualcosa su questo libro. Uno è Leopardi. Leopardi è un uomo a cui sembra essere rivolto il libro del Qoelet. Sentite cosa dice Leopardi in uno dei suoi pensieri, il 63esimo. Leopardi parla della noia, però per Leopardi la noia è un aspetto positivo. Infatti Leopardi dice:
- La noia è per me il più sublime dei sentimenti umani.
- Non che io creda che dall'esame di tale sentimento nascono quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato di raccorne, ma non di meno il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né per dir così dalla terra intera.
- Considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio.
Bellissimo questo. Per Leopardi la noia deriva dal fatto di... Il libro del Qoelet è scritto per tutti coloro che fanno propria una frase del Qoelet, un versetto del Qoelet. Quando il nostro autore scrive, ho odiato la vita. Il Qoelet scrive, ho odiato la vita. Tradotto in italiano così, ma in ebraico abbiamo un perfetto che andrebbe tradotto, odio e continuo odiare la vita. Il libro del Qoelet è il libro del nulla, del silenzio, della nausea di vivere. Quella profonda proprio.
Capite che le cose che stiamo dicendo, il Qoelet è un libro straordinariamente contemporaneo. È scritto per noi. Il Qoelet è scritto per chi sente l'amarezza del vivere, per chi si sente vuoto dentro. A costoro il Qoelet dice che è possibile vivere così senza essere considerati dei maledetti da Dio. Anzi, il Qoelet vuole dirci che c'è una vicinanza speciale di Dio per tutte queste persone che si trovano in questa situazione.
Capite perché è importante che ci sia il Qoelet nel libro della Bibbia? Perché anche i maledetti, gli sporchi, i vuoti, gli annoiati, i depressi possono sentire un Dio vicino. Gli stanchi, gli sfiduciati, i silenziosi.
Il libro del Qoelet è il libro per coloro che stanno bene, che sono felici, che si sentono a posto con se stessi, con gli altri, con Dio. Anche per questi.
Ecco questa un'introduzione che, come diceva Casca, rende l'idea di perché è un libro scandaloso. È un pugnoÈ un pugno nello stomaco questo libro. Ma entriamo nel testo. Il nome Kohelet, non è il nome proprio di una persona. Non c'è uno che si chiamava Kohelet. È il libro, non di Kohelet, del Kohelet. Kohelet è uno pseudonimo. Il Kohelet deriva dal verbo kahal in ebraico, che significa congregare, riunire in assemblea. In greco si rende, questa parola ebraica si rende con ecclesia. La grande convocazione da cui la parola chiesa. In latino viene reso con ecclesiastes. Trasliterato in italiano con ecclesiastes, per quello che in alcune bibbie portano proprio ecclesiastes. Quindi colui che riunisce, colui che convoca. E perché convoca? Probabilmente era il presidente di un'assemblea. Perché convoca? Convoca gli uomini e le donne per dire tutto quello che avevano detto prima. Perché ha un messaggio da comunicare loro. E poi si accorgerà di essere un predicatore nel vuoto, nel vento e nel deserto. Una sorta di anteliteram di Giovanni Battista che gridava nel deserto.
La data e il luogo di composizione è difficilissimo comprenderlo, almeno dagli elementi che abbiamo. Il Kohelet è scritto con una penna intenzionalmente intinta in inchiostri diversi. Il Kohelet forse lo fa apposta, spiazza. Del Kohelet si può dire tutto e si può dire niente. A volte il Kohelet scrive con termini ricercatissimi e di un ebraico elevatissimo. Usando vocabolari proprio di un'elite. E improvvisamente tutto cade e il linguaggio si fa addirittura volgare, con errori grammaticali, scorrettezze linguistiche. Il Kohelet non è un folle. Il piano del Kohelet è molto lucido. Lui dice, io posso scrivere bene. Lo posso, potete vederlo. Ma che differenza c'è dallo scrivere male? Cosa aggiunge l'essere dotti? Non avranno tutti, dotti e ignoranti, il medesimo destino? Data di composizione si presume tra il 300 e il 250 a.C. Più o meno 300-250 a.C.
Entriamo nel testo. All'interno del Qoèlet noi abbiamo a un certo punto c'è una cosa particolare che è meglio dirla subito. A un certo punto, verso la fine, si introduce un altro personaggio. Ci si accorge perché cambia anche lo stile. Se voi leggete capitolo 12, versetto 9 e 14, vi accorgete che a un certo punto entra una voce di un redattore, un redattore finale, che è, potremmo dire, uno della gerarchia, che ha un compito ben preciso, quello di correggere quello che il Kohelet ha detto. Nei versetti 13 e 14, capitolo 12, scrive, a conclusione del discorso, dopo che sia ascoltato ogni cosa, temi Dio e osserva i Suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. Infatti Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male. Parole sante, ma dalla critica del testo, noi siamo certi che questo versetto non è scritto da Kohelet. È scritto da questo redattore finale, perché il Kohelet non avrebbe mai detto queste parole. È come se il redattorefinale dicesse, va bene, il Kohelet ha detto queste cose, anche molto belle, affascinanti, che vanno bene per tutto, ma tu che ascolti, tu che leggi, rimani fedele alla legge. La legge che hai appreso da bambino. Sembra di ascoltare il magistero, di ascoltare il Vaticano che ti dice a un certo punto, no vabbè, sì, belle cose, quello che questa persona ha detto, ma ascolta noi adesso, rimani fedele alla tradizione e ti troverai bene.
Quindi c'è questo, ecco, se leggerete il Qoèlet tenete conto che alla fine c'è questo personaggio che si introduce ma che non ci azzecca nulla con quello che voleva dire il Qoèlet. È un correttore finale per mettere le cose a posto. Un moralista in qualche modo. Stiamo attenti, durante la lettura ci si accorgerà di continue opposizioni nel testo. Il coelit dirà, vi dico questo, ma. Oppure, dico male ma in realtà è un bene. Continue contraddizioni, sì, no, bianco, nero, alto, sopra. È coelit che dice, che si esprime in questo modo.
Perché? Perché è pieno di contraddizioni il Qoèlet Perché è in continua opposizione? Ma per il motivo che dicevo prima. Perché il Qoèlet dice, ma tanto, che differenza c'è? Che differenza c'è tra alto, basso, bianco, nero, bene, male?
Esiste nel coelit un sigillo. Un sigillo. Cioè una parola, un vocabolo che ha una costanza così rilevante da essere appunto pensata come il stigido del Qoèlet Una parola fondamentale. Che io ve la dico in ebraico perché purtroppo non c'è una traduzione che renda questa parola. E quella che è stata scelta è forse l'unica che non andava scelta. In ebraico è hevel. Hevel. Hevel. Potremmo tradurla con ebel. È una pietra preziosa che si incastona in tutto il racconto. Pensate che torna 38 volte nei 12 capitoli o se vogliamo nei 227 versetti o nelle 2987 parole. 38 volte vuol dire che questa parola hevel ha una sua significanza.
Qual è il significato allora? Si potrebbe rendere con:
- Nuvola di vapore.
- Gocce di rugiada che scompare alle prime luci dell'alba.
- Schiuma provocata da una nave che solca le acque che si dissolve immediatamente.
- Alito su un vetro che lascia l'impronta ma subito si ritira.
Ma non riusciamo a tradurla. È qualcosa che c'è ma subito scompare. Vapore forse sarebbe la figura più icastica. Nelle varie traduzioni è stata resa con:
- Soffio caldo,
- Vapore,
- Fumo,
- Alito nulla,
- Polvere,
- Vento.
La CEI ha tradotto con vanità. Ma non ci azzecca assolutamente nulla. Perché vanità, vanità delle vanità, tutte vanità. Vanità capite che ha già una portata morale. Dice già qualcosa di morale, ma non ci azzecca nulla la moralità qui. Questa parola, Hevel, torna spesso. Anzitutto torna nella Bibbia spesso questa parola, è molto amata dagli scrittori della Bibbia, Hevel. Facciamo degli esempi. Provate a pensare al Salmo 144. L'uomo è simile a Hevel. I suoi giorni sono come ombra che passa. Era quello lì che abbiamo letto prima? Comunque il concetto è questo. È simile a... L'uomo che cos'è? L'uomo è simile a dell'alito su un vetro. C'è, ma poi scompare. È come vapore. C'è, ma poi scompare.
Ma poi lo troviamo in maniera grandiosa nel libro della Genesi, quando Eva partorisce i suoi figli. Il primo si chiama... Il primo figlio di Eva. Caino. Oh ragazzi, catechismo. Secondo figlio che nasce, che in ebraico è... Hevel. Questo è proprio questo. In ebraico, Abele, è proprio questa stessa parola che usa Qoelet. Pensate se l'avesse chiamato vanità. Capite che non ci azzecca molto. Perché lo chiama così? Se si segue Abele con attenzione, adesso magari andate a casa, poi leggetevi quel passo di Abele. Quando Eva ha partorito Caino, se leggete il testo c'è una grande festa. Contento, ringrazia Dio perché è nato Caino, primogenito. Nasce Abele, Hevel, nulla. Non una parola, non una parola per questo secondogenito. Abele in tutta la scrittura, per quanto è vissuto, è vissuto pochissimo tra l'altro, non apre mai bocca. Non ha aperto bocca. È Caino a parlare. Abele non fa nulla. Abele non genera, non ha discendenza, non lascia posterità. Caino invece genera, diventa addirittura costruttore di una città. Caino possiede, edifica. Abele è soltanto in quel racconto un soffio. È vapore. È un'ombra.
Però, geniale, la Genesi, se voi contate le volte in cui viene citato Abele in Genesi, sono sette. E il sette nella Bibbia è il numero del compimento, della perfezione della totalità. Lo scrittore di Genesi vuole dirci che la significanza di Abele sta proprio nella sua insignificanza. Nel suo essere vapore. Il suo essere sta nel suo non essere. Il suo apparire sta nel suo non apparire. Il suo rimanere nell'essere vapore. Comincia qui a delinearsi un filo rosso che troveremo in tutta la scrittura, come un fiume carsico. Ciò che conta nella scrittura, cioè agli occhi di Dio, ciò che conta e ciò che non conta, ciò che vale e ciò che non vale, ciò che vive e ciò che muore, ciò che porta frutto e ciò che marcisce. Questa non è altro che la storia dell'amore. Quindi Abele è figura dell'amore. E viene chiamato con lo stesso termine con cui Qoelet inizia il suo scritto. Hevel è tutto ciò che non ha esito, tutto ciò che è inefficace, vano.
Ma torniamo al testo. Il nostro sapiente Qoelet, fin dall'inizio, ci dice subito la sua poetica. Ci rivelasubito che considerazione ha della vita. Subito. La vita è assurda, si vive di miseria, il vuoto individuale lo sperimentano tutti. Il Qoelete vuole ricordarci che la vita dell'uomo è segnata e impregnata da un destino di caducità. Il Qoelete si dice che la vita è condita dal lacre e sapore del nulla e del vuoto.
C'è nel Sutra del Diamante, della tradizione buddista, questa frase: sogno, visione, nulla, ombra, rugiada, lampo e la vita dell'uomo. Capite i saggi di tutte le religioni? Quando meditano sulla vita arrivano a queste conclusioni che sono comuni a tutte le tradizioni. Per questo il Qoelete è un uomo molto concreto, molto realista.
Io credo che per noi cattolici, per noi cristiani, particolarmente cattolici, che tendiamo a una certa edulcoriamo forse, fin troppo, alcuni aspetti quando parliamo dell'esistenza. Forse il Qoelete ci aiuta a fare i conti con l'esistenza. A fare i conti con l'esistenza tout court, senza spiccare voli troppo presto, trascendenti, perché non c'è assolutamente bisogno.
Il Qoelete è un uomo fortemente ancorato a terra. Lui non fa voli verso il cielo in ricerca di un Dio consolatore. Non invoca un Dio stampella delle nostre insufficienze. Per lui esiste il qui ed ora, fai conti con questa realtà. E ci dice che in fondo il nostro Dio con questa realtà ci conta proprio poco, c'entra proprio poco.
La vita, dice il Qoelete, è uguale per tutti, la dissoluzione, che accomuna bestie e uomini. 3.19, capitolo 3, versetto 19, il Qoèlet dice: ma alla fine tutti andranno in una fossa, uguali, gli uomini e le bestie, non c'è nessuna differenza. La vita ha sì una meta, ma questa coincide con il baratro. Con il baratro. Questa è la meta degli uomini, dice il Qoèlet. Questo lo dice in:
1. 2.19
2. 21.23
3. 4.7.8
4. 6.2.8
5. 10.14
Per Qoelete il vuoto rode come tarlo anche l'agire dell'uomo. Tutti i risultati ottenuti dal faticare, dal guadagnare sono vapore. Noi ci affatichiamo una vita, ci affatichiamo, ci arrambattiamo, corriamo, costruiamo, edifichiamo, vendiamo, compriamo, ci sbarziamo e poi la vita è alito su un vetro. A cosa è servita? È un'atmosfera che ci circonda, ci pervade, ci alimenta, ci fa morire. Questo destino comuneper tutti, che tu sia santo, che tu sia un delinquente, che tu sia un saggio, che tu sia un ignorante, che tu sia alto, che tu sia basso, dice il Qoelet, il destino è uguale per tutti. Tenete conto che dietro il Qoelet c'è tutta la cultura ebraica. Voi sapete che tutti sarebbero finiti nello Sheol. Lo Sheol è il luogo dove vanno a finire tutti. Non c'è la concezione dell'aldilà dove abita Dio. Questo l'abbiamo inventato noi cristiani. Passatemi il termine inventato, qui sarebbe tutto un discorso del paradiso. Per l'ebreo la vita ce la giochiamo qui. C'è poco da fare, ce la giochiamo qui la vita. Poi si muore e si va a finire in una sorta di deposito dove ci sono solo ombre che si passano, che passano, che si muovono. Ma lì Dio non c'è. Dio non c'è. Quindi che tu sia santo o tu sia un delinquente vai a finire tutti insieme là sotto. La vita dovevi giocartela prima. Infatti Dio non si occupa dei morti, ma dei vivi. Per quello che Dio non scende nello Sheol, non c'è lì sotto. Quindi il Qoelet fa proprio, scusate il gioco delle parole, propria questa visione. Qualcosa del genere la ritroviamo anche in Giobbe 14.1.2, in Giacomo. Anche in Giacomo. Ma che mai la vostra vita? Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare. In 1.2 e 12.18 l'Hebhel appare anche al superlativo.
Come inizia il libro di Qoelet? Sì, questa traduzione infelice. Prendiamola pure così. Vanità delle vanità. Cosa vuol dire? È un superlativo. In ebraico non esiste il superlativo come lo usiamo noi. Non potremmo rendere vanitosissima. Vanità delle vanità vuol dire il massimo, il superlativo di vanità. E il superlativo di vapore, di vento, di soffio. Usa proprio un termine che in ebraico esprime il superlativo, che noi intendiamo dobbiamo renderlo così. Come il cantico dei cantici è un superlativo, ma è il cantichissimo. Non possiamo tradurre cantichissimo. È il cantico dei cantici. Il cantico superlativo, il cantico più grande di tutti. Quindi il Qoèletinizia proprio così. È una costruzione che fa sua, ma è la concezione di vita questa. È una concezione di vita. Con vanità delle vanità si vuole affermare che il vuoto è veramente totale, assoluto. Il nonsenso è il massimo. La miseria è suprema. Quindi la vita per Qoèlet è veramente priva di senso, ridotta al punto a qualcosa di evanescente, tutto è destinato ad andare in fumo, a dissolversi. Si spegne così il dialogo tra Dio e uomo, tra uomo e uomo, tra uomo e mondo.
E uno dice, allora la domanda che potremmo porci è questa, ma Qoelet credeva in Dio? Che posto occupa Dio in tutto questo? Ma è possibile che sia a capo di un'assemblea? Qoelet non si può definire ateo, anche perché l'ateismo non esiste come categoria nell'Antico Testamento. Però per Qoelet Dio esiste, certo. Però per lui l'azione di Dio, il pensiero di Dio è impenetrabile. E quindi è improponibile ogni ricercadi senso, ogni parola consolatoria, sia essa religiosa, filosofica. Quindi potremmo dire non è che la vita non ha senso, ma è impossibile all'uomo scorgierlo all'interno di questa vita. È impossibile scorgere il senso in questa vita, ammesso anche che ce l'abbia, ma noi non possiamo scorgerlo, e tantomeno un Dio che opera all'interno di questa vita che apparentemente non ha senso. Quindi per Qoelet Dio e la storia, certo ci sono, avranno anche un senso, ma a noi non è dato scoprirlo. A noi non è dato scoprirlo.
Ecco, Qoelet a un certo punto della sua vita ha scoperto l'inconsistenza di ogni realtà, ma proprio ogni realtà, da quella cosmica a quella più spicciola dell'uomo. Qoelet ci introduce in un mondo impastato di mera ripetizione, di apparenza, un mondo fatto di larve inconsistenti, che riescono solo qua e là a cogliere piccoli godimenti, piccole gioie. Ecco, Qoèlet contesta la mentalità comune per cui occorre avere sempre un perché per tutto. Ecco, Qoelet rinuncia a definire il perché per tutte le cose. Non esiste un perché.
Ecco, allora in questo contesto riusciamo a comprendere anche i vari appelli che Qoèlet dà al godimento. Voi sapete, chi ha masticato un po' questo libro, almeno una cosa rimane impressa, l'incipit, vanitate delle vanità, e poi quei passi in cui invita a godere della vita. Abbiamo finito comunque. No, ok. È una battuta. Ci sono dei posti là, eh? Ci sono vari passaggi del libro del Qoèlet in cui lui invita proprio al godimento, per dire, in questa situazione godetevi la vita. Godetevi la vita.
Un esempio: non c'è meglio per l'uomo che mangiare, bere, godersi il frutto delle sue fatiche. Ma godetevi, visto che la vita è tutto questo, ma godetevi. Lo abbiamo in:
- 2.24
- 3.12
- 5.17
- 8.15
- 9.7
Però stiamo attenti, questi inviti alla gioia, al godimento, mangia, bevi, date la vita, non sono sufficienti per dire che il Qoelet fosse uno scrittore della gioia. Qoelet è molto realista. Invita semplicemente a cogliere in questo scenario lunare, a cogliere le piccole gioie che Dio distemina. E in qualche modo è un invito a cogliere i piccoli brandelli di felicità che un uomo può avere. Però, dice Qoelet, godi, date la vita, mangia, bevi, ma ricordati comunque che tutto è vuoto e fame diventa.
È molto interessante il finale, prima che intervenga il redattore finale, che corregge, perché voi capite che un pio ebreo si trova, dice, ma che ci fa un libro così nella Bibbia? Ma cosa ci fa? Aspetta che lo correggo un po'. Allora, c'è un quei versetti che ho detto all'inizio. Ma prima il Qoèlet dice una cosa interessante, dice, questo scandalo della vita, però, dice il Qoèlet, questo quadro così disincantato dell'esistenza, tu lo potrai percepire soltanto da un punto di vista particolare, cioè dalla vecchiaia. Te ne accorgeraiquando sarai vecchio che la vita è così. Quindi, da lì, da quello spalto ci si accorge che la vita è come un castello fatiscente che si sfalda, cade a pezzi come ghiaccio al sole. E si fa comprendere che la vita è veramente un soffio.
Torno ancora su Dio perché è una domanda che viene fuori spesso questo, ma allora proviamo a chiederci qual è il Dio di Qoelet. Abbiamo detto che esiste, che non si interessa del mondo, almeno non ci sembra, però lo invoca in 40 presenze di Dio, lo invoca 32 volte. Però stiamo attenti, non è la questione di Dio che interessa Qoelet, Qoelet non è un teologo, ma ne parla solo perché interferisce con la vita dell'uomo. È quella vita dell'uomo che interessa Qoelet, è l'uomo il vero oggetto del Qoelet.
Dio viene citato al Qoelet o invocato al Qoelet quando interferisce e colpisce la storia dell'uomo. È riconosciuto come creatore, come giudice, però tutto quello che fa è incomprensibile. Dice in 5.1 il Qoèlet dice sappi che Dio sta lassù nei cieli e tu sulla terra. Come per dire siete due mondi infinitamente altri, tu prendene coscienza di questo. E poi in 6.10 dice l'uomo non può contendere con chi è più forte di lui. Non ti mettere neanche a lottare con Dio.
Allora una domanda fondamentale sarebbe questa: ma che ci sta a fare un libro così nella Bibbia? Beh fino a prova contraria la tradizione ce l'ha consegnata come un libro della scrittura, quindi è parola di Dio. Ma la domanda a cui intende rispondere questa parola di Dio qual è? Io credo che sia questa: è possibile pregare anche da atei? È possibile pregare anche da disperati? È possibile pregare, cioè rivolgersi a Dio anche da parte di persone che si alzano e dicono io odio la vita? Ecco il Qoelet dice sì, è possibile.
Cioè nella parola di Dio c'è un libro che ti dice che tu puoi avere questi pensieri, puoi partorire questi pensieri e puoi rivolgerti a Dio con questo dubbio anche nel tuo ateismo perché tutti i credenti passano momenti di ateismo. Si può pregare anche Dio da disperati e quando tutto si fa talmente difficile che ti porta a dire io odio la vita. È importante che ci sia questo libro nella scrittura perché allarga le maglie. È possibile stare dentro a tutti, a tutti.
Cioè leggendo Qoèlet si dice ma allora posso starci dentro anch'io in questo rapporto con Dio. E forse viene in mente grandi personaggi, io penso oggi Santa Teresa Davila. Allora questa donna straordinaria anche lei ha provato il nulla, il nada per dirla con Giovanni della Croce. Ha provato il significato della notte oscura ma alla fine giunge a dirci che tutte le notti oscurehanno la possibilità di un'alba. Un'alba che probabilmente il Qoelet non ha visto.p>l'alba che probabilmente il Qohelet non ha visto.

Meditazione
Don Paolo Scquizzato

L'intervento è tratto da:
“Tutto è vuoto. Il libro scandaloso del Qoèlet”
San Raffaele Cimena (TO), Parrocchia Sacro Cuore, v. Ferrarese 18 
(dal sito: https://goo.gl/Xj0w7J)

Prefazione
Ci sono libri che confortano, altri che inquietano. Alcuni li leggiamo per trovare risposte, altri per imparare a convivere con le domande. Qohelet è uno di questi ultimi: scandaloso, ironico e profondamente umano. Kafka scrisse che un libro dovrebbe essere un pugno che ci sveglia. Qohelet è quella scossa, una voce antica che continua a disturbare ogni idea rassicurante sulla vita.

Nel cuore del suo messaggio c’è una parola che torna come un sigillo: hevel. Vapore, soffio, ombra. Niente affermazioni moralistiche, niente risposte da catechismo. La “vanità delle vanità” che introduce il libro non è giudizio, ma sguardo disincantato sul mondo, un mondo dove tutto passa e nulla permane. Il destino finale unisce uomini e bestie, saggi e stolti, perché tutti sono accomunati dall’inconsistenza della vita. In questo scenario, il godimento non è il fine, ma una via che accetta la fragilità umana, senza pretese di eternità.

Qohelet non è un ateo, non è un credente secondo i canoni tradizionali. Dio è presenza misteriosa, creatore, giudice, ma sempre oltre la comprensione umana. Il senso della vita resta nascosto, la ricerca del “perché” senza risposta. Eppure proprio per questo, Qohelet è un testo necessario: ci permette di stare davanti a Dio anche nelle notti più oscure, di pregare senza avere certezze, di vivere la fede come inquietudine.

Il libro è attuale perché parla all’uomo contemporaneo, al lettore che si trova all’incrocio tra disincanto e ricerca di senso. Sono parole che abbracciano l’esperienza del nulla, della fatica, della ripetizione. Eppure, insegnano che anche chi si sente vuoto può essere accolto, che la Scrittura non esclude nessuno. Nel silenzio della notte, Qohelet diventa compagno di strada, suggerendo che anche la domanda senza risposta è parte della nostra esistenza.

C’è una speciale dignità nell’inquietudine, una possibilità di incontro con Dio che va oltre il moralismo. Qohelet allarga le maglie della fede, offre ospitalità ai dubbi, e ci ricorda che, mentre il senso ci sfugge, resta sempre la possibilità di un’alba.

La prefazione può essere adattata per la lunghezza o per esigenze di tono, ma questa versione offre al lettore la chiave di lettura più profonda, senza fornire sintesi o giudizi, invitando all’incontro personale con il testo.

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