Giona: Introduzione



Introduzione al libro di Giona
Parlando del testo di Giona, così lo introduce il biblista Gianfranco Ravasi: «Si tratta di un gioiello letterario in prosa. Non è un libro profetico.. pur avendo come protagonista un profeta. È una parabola, un libro sapienziale perciò, un midrash (dal verbo ebraico dārash, “investigare, ricercare, studiare”), un racconto esemplare, una favola se si vuole, con finalità morale e teologica. Della fiaba ha tutti gli elementi tipici, ma non è raccontata per i bambini, bensì per gli adulti, perché si convertano e imparino a conoscere il vero volto e i veri sentimenti di Dio..». Beh, stando alle parole del cardinale, dobbiamo allora chiederci: qual è il volto di Dio che abbiamo “in testa”? E cosa pensiamo Lui provi per noi? Ma torniamo a Giona, profeta esistito storicamente, figlio di Amittài, di Gat-Chefer, profetizzò infatti circa settecento anni prima di Cristo. Il libro, redatto nel V secolo a.C., è costruito dunque sull’esistenza di un personaggio storico, sottolineando in tal modo che si tratta dell’esperienza fatta da ogni profeta, ma si avvale di questo nome, etimologicamente “colomba”, in modo esemplare, per narrare un racconto di tipo sapienziale, che parla cioè dell’uomo e all’uomo: la colomba era infatti l’animale sacro a Ishtar, la dea di quella Ninive in cui il profeta sarà inviato. Curioso tra l’altro, ma non casuale, che il nome della città – situata nell’attuale Iraq, presso Mosul – nei segni cuneiforme (la scrittura degli Assiro-Babilonesi) sia rappresentato da una casa e da un pesce, animale al centro del nostro racconto.  E Giona, profeta d’Israele, sarà chiamato da Dio proprio per andare a predicare nella capitale degli acerrimi nemici Assiri: gli ebrei colgono in pratica che il centro di questa storia è proprio la conversione, ragion per cui lo leggono durante il giorno dello Yom kippùr, il “Giorno dell’espiazione”. Strutturato in quattro scene – Giona fugge dalla parola di Dio; poi prega il Signore affinché lo salvi; quindi predica ai Niniviti; infine s’indispettisce per l’esito positivo della sua predicazione (?!) – il testo ci parla fondamentalmente dell’universalità della salvezza: Giona è icona dell’ebreo che, dopo quanto subìto nel corso della storia, si ribella al fatto che il “suo” Dio – che pur ha privilegiato inizialmente Israele – voglia ora salvare tutti, ma proprio tutti! Quest’opera, unico libro ebraico a presentare sulla scena un solo ebreo (lo stesso Giona), ci mostra insomma il protagonista come «esemplare antieroe», per dirla col teologo Brunetto Salvarani; «il patrono degli integralisti di tutti i tempi», per dirla invece col già citato Ravasi; «il personaggio più frustrato dell’intera Scrittura», ha commentato il filosofo rumeno Elie Wiesel; probabilmente l’unico uomo al mondo a rimproverare Dio per la sua bontà!? A ben guardare, il fratello maggiore ante litteram della celebre parabola del cosiddetto “figlio prodigo” di Luca. Il libro è inoltre attraversato da grande ironia: incaricato dal Signore di andare a predicare a Ninive (ovvero ad oriente), Giona cosa fa? Si imbarca su una nave diretta a Tarshish, cioè Gibilterra, nella direzione diametralmente opposta! Ma, sottolinea lo scrittore e poeta napoletano Erri De Luca, «(è) difficile essere latitanti quando si è ricercati da Dio». Potremmo dire che Giona fugge dalla Parola di Dio, la quale tuttavia lo insegue. A noi non è mai capitato? Quante volte Dio ci ha “chiesto” – forse in modi non evidenti, almeno ad orecchi poco allenati – di andare (o di stare) qua o là, ma noi abbiamo fatto orecchie da mercante? E noi, dove siamo scappati? Qual è la nostra Tarshish, quando la sua chiamata è scomoda? E quando ci intestardiamo, quali “tempeste” scatena per farci tornare sui nostri passi? Ironico poi il fatto che, sulla barca, Giona converta i marinai senza volerlo, i quali offrono un sacrificio al Dio d’Israele e gli fanno voti, gettando il profeta in mare – secondo la logica del capro espiatorio – , immagine questa molto nota nella mitologia, che spesso parla dell’eroe inghiottito da un mostro, gettato in quel mare che è simbolo del male. Giona questa volta accetta di andare a Ninive.. Giunto nella città «larga tre giornate di cammino.. (che conta) più di centoventimila persone» (dove tre e centoventimila sono cifre simboliche tonde, ad indicare la portata universale della rivelazione), fa la predica più breve della storia: «Ancora quaranta giorni (altra cifra simbolica) e Ninive sarà distrutta». La gente cosa fa? Si converte. Spesso la Parola è più efficace di chi la professa, anche se ciò non deve esimere il predicatore dal prepararsi adeguatamente, anzi! «Quando, parlando ai preti, si insiste sulla necessità di essere comunicatori competenti e professionali.. – ci ricorda infatti il teologo Chino Biscontin – (alcuni rispondono) Non è meglio affidarsi umilmente all’azione misteriosa dello Spirito Santo?», ma tale azione, prosegue don Chino, «non va invocata.. per giustificare la pigrizia di chi non cerca di raggiungere una buona “professionalità” nel comunicare». Il grande sant’Ignazio di Loyola sottolineava di mettere tutta la cura di cui siamo capaci, nel parlare di Dio, come se Lui non esistesse e tutto dipendesse da noi.. ma, fatto tutto il necessario, dobbiamo stare in pace, come se più nulla dipendesse da noi, e tutto da Dio. Torniamo ancora una volta al nostro caro Giona: è un predicatore di successo, eppure non è contento di ciò.. come mai è insofferente e arrabbiato per il fatto che i niniviti si siano convertiti in favore della vita? «Ogni volta che gli uomini prendono troppo sul serio il loro progetto di vita.. – afferma il monaco benedettino Anselm Grün – ecco che la loro vita diventa noiosa.. L’autoironia è il presupposto perché qualcuno possa accettare se stesso..». Forse il limite del profeta, che è spesso anche il nostro, sta proprio qui. Fatto sta che Giona affoga il suo dispiacere chiedendo al Signore di togliergli la vita: ormai gli è insopportabile! E Dio lo rimprovera per questa richiesta. Poi però lo consola, facendogli crescere accanto una pianta di ricino (in ebraico qiqajon, come la celebre casa editrice della comunità monastica di Bose), affinché facesse «ombra sulla sua testa e liberarlo (così) dal suo male. Giona – dice il testo – provò una grande gioia per quel ricino». Quali piante, chiediamoci, ha fatto crescere il Signore per consolarci nei momenti di tristezza? «Ma il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò»: un’altra messa alla prova! E qui scatta un dialogo meraviglioso tra i due: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?», gli domanda Dio; «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!», risponde il profeta. Bellissimo, Giona ribatte al Signore colpo su colpo, mostrandoci quell’ardire che ci è chiesto nei confronti della Parola di Dio: «è soltanto se reagiamo liberamente alle Scritture, in tutta onestà.. – tuona il biblista domenicano Timothy Radcliffe – avremo un rapporto col divino di tipo adulto». «E io – prosegue il Signore rivolto a Giona – non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone.. e una grande quantità di animali?». Il testo si chiude sapientemente – come dovrebbero chiudersi molte omelie, senza la pretesa di dare una risposta a tutto! – con una domanda, che è rivolta a noi, bisognosi di sperimentare la grazia del Creatore (e qui si apre un capitolo, quello della teologia animale, che purtroppo come Chiesa non abbiamo ancora il coraggio di affrontare, eppure i tempi sono ormai maturi..), quel Creatore che si preoccupa anche degli animali. La vicenda di Giona è apertissima, come dimostra la storia degli effetti lasciata da questo racconto, di cui Le avventure di Pinocchio, Moby Dick e Robinson Crusoe sono solo i casi più noti; ma prima di questi capolavori letterari “il segno di Giona” ha interrogato il cristianesimo nascente, a partire dalla sua prima espressione di fede: «è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,4). È Gesù stesso a dircelo (Mt 12,39-41; 16,4; Lc 11,29-32).                    

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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