2Pietro: Introduzione



Introduzione alla Seconda lettera di Pietro
Il secondo scritto che porta il nome del principe degli apostoli si presenta come “testamento pastorale”. Quello dei “testamenti” è un genere letterario molto frequente nella tradizione ebraica di quel periodo, di fatto un discorso di congedo tenuto da un personaggio illustre prima della sua morte. 
Scopo della lettera – che, similmente a quella di Giuda, polemizza contro i “falsi dottori” – è confermare nella fede degli apostoli i destinatari, alle prese con nuovi problemi, soprattutto inerenti ai pericoli interni alle comunità, su tutti il fatto che falsi maestri vadano insinuando che l’attesa del Signore sia vana nonché un inganno. Di cosa si sta parlando concretamente? Gli studiosi utilizzano l’altisonante vocabolo parusia, dal greco “presenza”, intesa come “venuta”, “ritorno” di Cristo alla fine dei tempi. Interessante confrontare in tal senso le due lettere di Pietro: se nella Prima l’attesa escatologica (la dottrina sulle cose ultime, di fatto già iniziate con la Pasqua di Gesù, il cui compimento necessita tuttavia dell’attesa e della speranza) appariva come imminente, la Seconda deve fare i conti con un ritardo inaspettato. Questo lasso di tempo, nonché le numerose differenze stilistiche tra le lettere (599 parole diverse contro le 100 comuni), sottolinea tra l’altro il fatto che di tempo ne sia passato tra i due scritti. Perché dunque il Signore tarda a venire? A questa domanda, stringente in quell’epoca come nella nostra, c’è forse un’unica risposta: l’amore di Dio è paziente, Egli vuol lasciare a ciascuno il tempo di convertirsi.. 
Se ci addentriamo in questioni più tecniche, notiamo che gli appena 61 versetti che compongono la lettera sono frutto di uno stile molto ricercato: in proporzione alla sua lunghezza è infatti lo scritto del Nuovo Testamento che contiene il maggior numero di hapax legòmena, cioè di “parole uniche”, che non ricorrono altrove nella seconda parte della Bibbia (57 su un totale di 401). 
Quanto ai temi di maggior interesse trattati abbiamo: la partecipazione della “natura divina” («egli ci ha donato i beni.. affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina», 1,4), la continuità tra i due Testamenti («abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a rivolgere l’attenzione», 1,19) nonché i criteri per interpretare correttamente l’intera Scrittura («nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione», 1,20), e il legame tra le “colonne” della Chiesa, Pietro stesso e Paolo («così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data..», 3,15). Senza dimenticare che è il libro biblico che più di altri esplicita il criterio circa l’ispirazione dei testi sacri: «poiché non da volontà umana è mai venuta profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio». Il testo ispirato è in sostanza tale perché redatto da una determinata persona, e nella sua globalità (fatta di capacità e limiti, aspetti culturali e caratteriali, e via dicendo..), di cui Dio si è servito. Oltre a ciò la lettera fa esplicito riferimento a un canone delle Scritture («come in tutte le lettere – scrive Pietro riferendosi a Paolo –, nelle quali egli parla di queste cose..»), eppure, ironia della “sorte”, assieme all’Apocalisse la seconda lettera di Pietro è stato il libro del Nuovo Testamento che ha dovuto superare le maggiori difficoltà prima di essere accolto nel canone! Fu infatti solo nel V secolo che tale lettera fu riconosciuta dalla maggioranza delle Chiese. 
Se da alcuni studiosi è contestata anche la mano “diretta” di Pietro nello scriverla – non è infatti da escludere che possa risalire al 125 d.C. –, è anche probabile che a redigerla nella sua stesura definitiva sia stato qualcuno di un circolo petrino, facente parte cioè della cerchia più intima del pescatore di Galilea.          

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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