
Testo della Catechesi
Entro nel vivo del discorso che mi è stato affidato. Come avete compreso io avvicinerò il testo del libro di Ruth con una chiave teologico fondamentale e filosofica. A partire proprio da come questo libro intercetta alcune esperienze, alcune storie, alcune vite, alcune tematiche del presente.
E' una partenza la mia che, come dico sempre, ha un forte debito con la psicoanalista Julia Christeva. Perché questa autrice non credente ci provoca come cristiane e cristiani con questa tesi. Lei si rivolge al mondo credente cristiano sottolineando che in questo nostro mondo abbiamo a disposizione delle storie meravigliose che possono accompagnare la vita nel suo divenire, soprattutto là dove la vita è toccata dalla radicalità di alcuni stati limite:
- L'amore,
- Il dolore,
- La paura che è legata all'orrore.
Julia Christeva dice che nel cristianesimo ci sono storie meravigliose capaci di accompagnare l'essere umano in queste terre così difficili, così estreme, così radicali, così arrischiate. Ma il problema è che voi credenti siete così asuefatti a questa forza narrativa, a questo potenziale simbolico, che quasi non ci fate più caso. Ecco allora la sua provocazione. Siamo noi psicoanalisti, siamo noi gente che sta fuori delle chiese, siamo noi che apparteniamo a discipline diverse dalla teologia, a dovervelo ricordare.
E Christeva è proprio un'autrice che ha lavorato molto non solo in chiave psicoanalitica ma proprio in chiave di intertestualità. So che ieri avete parlato con la professoressa Donatella Scaiola anche del fatto che un testo è sempre anche un intreccio di testi, di livelli, di storie, di culture, di lingue. E quindi questa Christeva oggi ci ricorda dell'importanza di vedere tanti testi, tante vite dentro l'intreccio delle parole, ma ci ricorda anche che c'è un potenziale di trasformazione molto forte nelle storie bibliche che noi dobbiamo risvegliare, riscoprire, intercettare di nuovo e rilanciare in questo mondo, in questo tempo, qui e ora.
Lei, Christeva, ha un libro dedicato all'estranietà, al sentirsi stranieri, all'essere trattati come stranieri e riflette proprio sul libro di Ruth. Quindi questa è un po' la cornice nella quale mi muovo. Quindi vorrei rileggere questo testo biblico proprio alla luce del presente, in questo tempo in cui Dio sembra assente, in cui Dio sembra silenzioso, nel tempo del silenzio di Dio, e vorrei affrontare questo libro scoprendo quella che è la sua tesi centrale.
I legami tra noi oggi sono un luogo di rivelazione. La qualità, la giustizia, la verità, la forza dei nostri legami è il terreno in cui Dio può oggi farsi sentire, farsi percepire e diventare ancora una volta un centro orientante rispetto a quelle che sono le nostre vite. Già da qui si capisce che non possiamo trattare questo libro come un libro innocuo, semplice,banale. Perché anche se la storia per certi aspetti è condensata e priva di grosse tensioni, di radicali conflitti potremmo dire, questo non è affatto un libro innocuo, non è affatto un libro dolce, non è affatto un libro tiepido, è un libro che ci mette di fronte, come dicevo prima, alla qualità dei nostri legami e ci fa direttamente una domanda, in quale modo noi, attraverso la trama delle nostre relazioni, sappiamo far entrare Dio e fare spazio a ciò che continuiamo a considerare straniero, a ciò che rimuoviamo perché ci disturba nel nostro ordine mentale.
La tesi di Christeva che mi sta ispirando in questa lettura può essere anche sintetizzata così:
- L'estraneità, noi tendiamo sempre a portarla fuori dal nostro mondo.
- Tendiamo sempre a non fare i conti con l'estraneità che è dentro la nostra storia personale, dentro i nostri contesti, dentro le nostre relazioni e a volte addirittura confinandola all'esterno.
- Questa estraneità diventiamo anche persecutori e persecutrici.
Invece il libro di Ruth ci sta dicendo impariamo a riconoscere l'estraneità che c'è in noi, che c'è nella storia, facciamo pace con ciò che non riusciamo ad affrontare e creiamo uno spazio affinché la trama dei nostri legami sia una trama di giustizia.
Il titolo che mi avete dato riprende un versetto del libro di Ruth. "Tu mi hai consolata e hai parlato al cuore della tua serva." È una frase che Ruth dice a Boaz e è una frase importante perché in un tempo come questo mette l'attenzione sull'importanza della parola che consola e sull'importanza della parola che arriva al cuore.
È possibile consolarci nei contesti feriti della guerra, di violenza, di incomprensione, di crisi? Esistono davvero delle parole che sono in grado di consolarci? Tra l'altro qui in questo versetto c'è proprio lo stesso verbo nello stesso tempo che dà qualità intensa all'azione che troviamo in Isaia, "consolate il mio popolo". È possibile oggi avere delle parole di consolazione che non siano immaginarie, che siano capaci di farci stare al presente con le sue fatiche, le sue lotte, i suoi conti che non tornano? Oppure anche noi dentro le chiese, attraverso le nostre teologie, le nostre filosofie, le nostre visioni del mondo, facciamo un po' come gli amici di Giobbe. Diventiamo consolatori a buon mercato e poi anche capaci di distorcere quella che è la rivelazione di un Dio che, come andremo a mostrare, sta dentro i legami.
E questa parola che raggiunge il cuore tocca una lingua che si ritira dai campi di battaglia. Perché dobbiamo sempre schierarci? Questa parola che emerge nel testo di Ruth è una parola che diventa luogo di grazia perché consola, perché arriva al cuore e perché scioglie dei confini. Confini su cui siamo abituati a stare, come tante vedette, come tanti uomini e donne vigili affinché questi confini vengano rispettati. Mi sembra che nel libro di Ruth venga fuori una lingua che non cede all'orizzonte simbolico che separa e che contrappone.È una lingua che genera ponti, è una lingua che viene dalle terre di mezzo, è una lingua che non accetta il campo di battaglia, come dicevo prima. E questa è una storia che ha a che fare con il tema del pane, è una storia di viaggi, ma è una storia in cui le spighe di grano diventano essenziali. C'è una carestia, ci sono i campi di grano, c'è la giustizia della spigolatura e c'è un pane che avanza.
Nel testo c'è un punto in cui si sottolinea che quando Ruth si mette a mangiare con gli altri, grazie all'invito che fa Boz, questo pane avanza. E a me viene spontaneo subito un collegamento anche con l'episodio del Vangelo in cui c'è una sirofenicia nel Vangelo di Marco o Cananea nel Vangelo di Gesù, questa storia, in cui il tema del pane diventa l'occasione per parlare di una vita che deve essere guarita.
Proprio oggi parlavo in un contesto di teologia pastorale, ma riflettevo sul fatto che è interessante nel Vangelo della sirofenicia e della Cananea notare che c'è una madre, come possiamo essere noi oggi, madri, padri, figure spirituali, educatori, educatrici, nonni, che è preoccupata per una figlia e quindi per una generazione di giovani che è lontana dal rapporto diretto che possiamo avere con il Cristo. Ma c'è una figlia che sta male, una figlia che non c'è, una figlia che è a casa, una figlia che è nel letto malata, ed è una madre che si rivolge a Gesù, rispecchiando un po' la situazione anche delle nostre chiese.
Siamo noi, donne e uomini, molto spesso non giovani, anche se non dobbiamo generalizzare troppo, però siamo noi a tenere aperto un esplicito legame con il Cristo, parlando di questa generazione che non c'è, che vediamo soffrire, che vediamo star male e che aspetta una parola di risveglio, di guarigione, di ripresa e di rinascita.
Anche in quella storia c'è un eccesso legato al pane. Ricordate quel brano che vorrei collegare con questo eccesso del pane legato al libro di Ruth. Lì c'è una donna che risponde a un Gesù riluttante, che dice ma io il pane non sono venuto a portarlo per voi che siete pagani, cani, mi chiama. Questo pane è destinato ai figli di Israele. E lei risponde con questo linguaggio attento alla vita, come si vede nel libro di Ruth, e lei risponde facendo attenzione alle briciole.
Questa donna dice se tu il pane lo pensi sempre intero, se non lo immagini come condiviso, non vedi che dentro ci sono delle briciole. Ma se entri nella logica della vita ferita, della vita che chiama una rete di legami giusta, se quel pane diventa spezzato, allora ti accorgi che c'è di più di quello che pensi. Ed è anche la logica di Gesù. Effettivamente le briciole sono di più di quello che si pensa perché le briciole sono legate al pane spezzato.
Allora qui il libro di Ruth è un libro che tocca questo tema del pane e ha a che fare con una giustizia del pane che avanza, delle spighe di grano non raccolte del tutto,che sono lasciate lì per una legge di giustizia, e di questo pane che sembra essere eccedente rispetto al bisogno e al desiderio. E so che di questo avete anche già parlato, ma lo riprendo qui. Quest'attenzione per il pane, quest'attenzione per le briciole, quest'attenzione per i legami, ha un volto epifanico, nel senso che è questa la trama della rivelazione di Dio nel libro di Rut. Dio non viene fuori direttamente, ma viene fuori dal modo in cui le persone si relazionano tra loro.
E c'è un bel libro di una filosofa allieva di Levinas, Catherine Chalié, dedicato alle matriarche. In questo libro lei dice che a volte è così per le donne. Il loro legame con Dio passa sempre per le relazioni, come se le relazioni fossero davvero il terreno in cui Dio può fiorire, in cui il seme può essere fecondato e portare pane, portare grano.
E allora io penso che questo libro ci insegni qualcosa di estremamente importante per un tempo come questo. Laddove forse è faticoso far risuonare la parola di Dio, dove è faticoso esplicitare la fede nei vari contesti che possono essere anche ostili, diffidenti, la qualità dei legami diventa spazio di rivelazione. Dio è presente nei legami di giustizia, nei legami in cui c'è pane da condividere e nei legami in cui quello che conta è salvare le vite. Questo linguaggio del sacro che diventa il linguaggio della vita.
Queste donne che cosa fanno in questa storia? Intanto Ruth è una donna un po' imprevista nella storia di Israele come anche nella storia del Cristianesimo. Perché noi sappiamo che in Deuteronomio c'è scritto «L'ammonita e il moabita non entreranno nella comunità del Signore. Nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore». Come mai i moabiti sono considerati nemici? Perché quando Israele stava scappando dall'Egitto non ha avuto da loro pane e acqua. Ancora una volta il tema del pane che viene a mancare, che viene ad essere negato.
Ma allora perché questa storia ha come protagonista certamente Noemi, donna ebrea, ma poi ci sono queste due donne giovani che appartengono al popolo di Moab. Come si sono infilate? E qualche interprete dice che la legge di Mosè era descritta, formulata tutta al maschile. L'ammonita e il moabita non entreranno nella comunità del Signore. Forse qui c'è una sorta di strategia in cui si approfitta dell'assenza e queste donne entrano nella storia del popolo di Israele.
Però la domanda resta grave. Può davvero il bene venire da una moabita? Come dimenticare che i moabiti sono nemici storici di Israele? Proprio perché non hanno offerto pane e acqua al popolo in fuga. Noi tendiamo ad addomesticare questa tensione. Perché per noi moabita non è una parola che ci colpisce al cuore. Non è sinonimo di estraneità. Non è sinonimo di qualcosa di respingente.
Noi dovremmo sostituire alla parola moabita alcuni aggettivi che ci disturbano nelle nostre comunità. Se dicessimo:
- Può il bene venire da una migrante?
- Puòil bene venire da una non credente? Può il bene venire da una donna omosessuale? Può il bene venire, immaginate ognuno di noi ha qualche aggettivo che lo inquieta. Proviamo a mettere quell'aggettivo al posto della parola moabita. E allora non sentiamo tutta la provocazione di questo testo. Questo testo ci sta dicendo, vuoi arrivare al Cristo? Devi passare anche per la storia di questa donna che dal punto di vista genealogico non era prevista. Matteo, nella genealogia di Matteo, nella genealogia di Gesù, c'è il riferimento a Ruth. Vuol dire che se noi abbiamo un problema con Ruth e con tutto ciò che Ruth comporta, noi abbiamo un'interruzione nel nostro cammino che ci porta a Cristo. E il bene, dobbiamo rispondere sì, può venire da questa donna. Può venire da questa donna che sta insieme, che segue, che accompagna un'altra donna di un altro popolo.
E in questa storia di donne in cui Dio è presente nella forma del legame giusto, c'è anche un uomo. Boz è il nome di una giustizia che è anche maschile. Perché come dicevamo prima, è un uomo che sa consolare, è un uomo che sa parlare al cuore, perché è capace di attraversare i confini, gli sottrae alla lingua del noi-voi. È un uomo che lascia a chi vive in miseria quanto rimane dalla mia tettura. È un uomo che permette a Ruth di spigolare nonostante non sia una sua serva. È un uomo che dice a tutti gli altri non importunatela, non infastiditela, la protegge. È un uomo che la vede per quello che ancora non è. È un uomo che restituisce futuro a una donna ma anche poi a tutto un popolo.
E questa giustizia maschile, e noi la vediamo anche, ci viene spontaneo correlarla alla figura di Giuseppe. Anche Giuseppe è un uomo giusto perché assomiglia a tutti quegli uomini che sanno implicarsi in un sogno di vita che non è iniziato con loro. Quindi qui io credo ci sia anche una rappresentazione del maschile di cui questo tempo ha bisogno. Non l'uomo che non deve chiedere mai, non l'uomo che innesca i progetti che li riporta tutti a partire dal proprio desiderio e dalla propria volontà, ma l'uomo che è capace di intercettare il bisogno e il desiderio della vita. Ed è capace di giustizia, di lasciare lo spazio per un sogno che non viene a partire dal suo stesso desiderio. Per me questo aspetto è molto importante.
Ma in questo parlare al cuore io vedo anche una provocazione ulteriore nel libro di Ruth. Il libro di Ruth ci sta dicendo che abbiamo bisogno di convertire la nostra lingua, abbiamo bisogno di trasformare le nostre espressioni in luoghi in cui la vita è raccolta e rilanciata e curata.
C'è un bel testo che anche questo ho convocato in questa riflessione sul libro di Ruth. Si intitola Lingua ed Essere ed è di Kubra Gunusai. È una donna musulmana, femminista, spesso invitata nei talk show perché ha un punto di vista interessante nella vita. E lei scrive:
Il problema è che ci sono troppi vuoti tra il mondo, la vita nella sua concretezza e le nostre parole. Noi a volte abbiamo una lingua che nasconde una logica di conflitto. Abbiamouna lingua regolata da leggi invisibili che ci contrappongono gli uni agli altri. Dalle leggi invisibili che ci contrappongono gli uni agli altri, che rimpiccioliscono i semi da cui può nascere qualcosa di buono e che deformano la realtà. Quindi la moabita è il frutto di questa lingua malata che ci contrappone, ci chiede sempre di schierarci. Non facciamo in tempo a dire che abbiamo a cuore il popolo palestinese che subito ci sentiamo dare degli antisemiti. Non facciamo in tempo a pensare al fatto che le vite in mare vadano salvate che subito ci viene detto che siamo dei buonisti. È come se ogni volta che prendiamo posizione a favore della vita la lingua fosse avvelenata in una maniera tale che ci sentiamo schiacciati e provocati a rispondere su da che parte stiamo. Noi non stiamo da nessuna parte, né di qui né di là, ma in questo sbilanciamento a favore della vita.
E allora anche l'espressione la moabita viene da un campo conflittuale, un campo simbolico conflittuale. Però è interessante vedere che anche nel testo le parole cambiano, perché la moabita poi viene definita diversamente. È la giovane per Boaz, per esempio. Ruth all'inizio si sente straniera, capitolo 2, versetto 19. Poi si sente serva e poi ha una parola che lascia presagire una relazione d'amore futura con Boaz. E anche gli altri cambiano le parole nei suoi confronti. Perché, certo, prima lei è la moabita, poi è detta nuora di Noemi, c'è una relazione. Poi è la giovane, poi è la figlia e poi addirittura la donna virtuosa. E poi viene detta, ed è questo che mi sta molto a cuore, una delle madri di Israele.
E io vorrei portare, mi sembra che il libro di Ruth ci inviti a recuperare un pensiero materno. Un pensiero dove non funziona la logica del mors tua vita mea. Un pensiero che si sbilancia sempre dalla parte della vita. Un pensiero che sa vedere anche quando il pane manca, che esistono le briciole. E un pensiero in cui non dobbiamo scegliere da che parte stare perché ci possiamo salvare insieme.
Nella logica contemporanea funziona la competizione. Ci insegnano fin da piccoli che:
O siamo lupi o siamo agnelli,O aggrediamo o siamo aggrediti,O vinciamo oppure perdiamo.
La logica materna è diversa. Pensiamo concretamente anche all'immagine di una madre che allatta un bambino. Stanno bene tutte e due. La madre perché non è più appesantita dal latte che si è formato dentro di lei e il bambino perché grazie a quel latte può proseguire la sua vita e la sua storia. Perché immagini come questa non hanno plasmato la nostra forma mentis? Perché continuiamo a ragionare per contrapposizioni?
Il libro di Ruth ci sta dicendo se noi valorizziamo i legami e ci dislochiamo, facciamo un passo indietro rispetto ai confini che ci contrappongono nella religione, nella società, nella cultura, nella storia, forse qualcosa di nuovo e di diverso può nascere. Ed è bellissimo perché in questi pensieri materni vediamo che a un certo punto nel libro c'è scritto: è nato un figlio a Noemi. Il figlio è di Ruth. Ma si dice è nato un figlio a Noemi. Perché questo pensiero materno è capace di condividere il bene che nasce.È capace di solidarietà. Ma noi dobbiamo fare un lavoro per dissotterrare questo pensiero materno dalla nostra cultura, dalle nostre pratiche, dal nostro modo di leggere la realtà. Questo pensiero materno sembra ingenuo, sembra sciocco, sembra irrilevante, sembra anche inefficace rispetto al male. Ma per un attimo proviamo a domandarci perché consideriamo necessario il male e non facciamo altro che ripararlo. Perché non abbiamo il coraggio di immaginare un'altra scena di questo mondo? Perché diamo per scontato che la guerra sia inevitabile e quindi che si tratti di fare in modo che ci siano meno morti possibili? Perché non possiamo immaginare che forse quel male lì non è necessario? Perché sul piano economico diamo per scontato che sia il capitalismo ad essere l'unico modello vincente e cerchiamo di ripararlo per quanto possiamo, di riformarlo, di regolarlo e non immaginiamo che ci sia invece un altro modo di spartirci il pane.
Ecco, penso che Ruth sia il libro del pensiero materno, di quel pensiero che emerge quando donne diventano solidali tra loro e osano aprire un sentiero imprevisto alla ricerca di queste certezze radicate nella vita. Ruth e Noemi sono un esempio di solidarietà femminile non perché le donne siano la soluzione ai problemi. Le donne non sono la soluzione perfetta ai problemi, però questo libro ci sta invitando a prendere il dolore del mondo aprendo un'altra prospettiva.
Nell'ultima parte avevo riflettuto su questo momento storico di guerra pensando a questo pensiero differente. Vi ho riportato qui una poesia di Wisława Zimborska. È di tanti anni fa ed è legata al Vietnam.
Donna, come ti chiami? Non lo so.
Quando sei nata? Da dove vieni? Non lo so.
Perché ti sei scavata una tana sotto terra? Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? Non lo so.
Perché mi hai morso la mano? Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? Non lo so.
Da che parte stai? Non lo so.
Ora c'è la guerra, devi scegliere. Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? Sì.
Questa poesia io la porto sempre nel cuore perché anche nei tempi di grande disorientamento, nei tempi in cui le ferite sono davvero laceranti, non dobbiamo smarrire questa certezza della vita che chiede attenzione, cura, protezione, sostegno. Nel libro di Ruth questa attenzione al pane e questa scommessa che Dio fiorisca nei legami di solidarietà tra donne ma non solo, diventa la chiave di lettura per non restare in questa inerzia che ci fa integrare continuamente l'assurdo, la violenza, il male. Siamo così abituati al male necessario che mandiamo giù tutto e abbiamo un'istanza riparativaal massimo. Non usiamo più pensare a una trasformazione reale. E l'ultimo punto L'ultimo punto riguarda un piccolo video che in realtà è di qualche anno, dove ci sono delle donne che si sono messe insieme già nel 2014 per reagire all'escalation di violenze tra israeliani e palestinesi. Sono donne che si mettono insieme nel nome della vita. Ci sono cristiane, ci sono ebree, ci sono musulmane che marciano e cantano insieme nel nome della vita.
Il libro di Ruth è un libro che punta sulla vita e che spinge a sciogliere i confini che ci fanno sentire mancanza di pane senza vedere che il pane è pieno di briciole e nel momento in cui riusciamo a condividerlo possiamo anche immaginare un'altra scena del mondo.
28 ott 2023 Settimana Biblica (Diocesi di Rimini) - Lucia Vantini - guarda il video sul canale Youtube di IcaroTv CLICCA
Riassunto della catechesi
Entrando nel vivo del tema che mi è stato affidato, desidero accostare il libro di Rut con una chiave teologica e filosofica che parte dal presente. Questo piccolo libro biblico, che a prima vista sembra solo una storia semplice, custodisce invece una forza sorprendente: ci parla della qualità dei nostri legami come luogo in cui Dio oggi si rivela.
La mia lettura prende spunto anche dalla provocazione della psicoanalista Julia Kristeva. Lei, pur non credente, ricorda al mondo cristiano che nella Bibbia abbiamo storie meravigliose, capaci di accompagnare l’essere umano nei momenti più radicali: l’amore, il dolore, la paura. E aggiunge: voi credenti spesso non vi accorgete più della potenza simbolica che custodite. Ecco perché occorre riscoprirla.
Il libro di Rut diventa allora un invito a riconoscere e accogliere l’estraneità, non solo quella che immaginiamo fuori da noi, ma quella che abita le nostre relazioni, le nostre comunità, persino noi stessi. Ci chiede: sappiamo trasformare lo straniero in ospite? Sappiamo far entrare Dio dentro la trama concreta dei nostri legami?
Non è dunque un racconto innocuo: è un testo che interpella le nostre paure, che ci provoca sul pane da condividere, sulla giustizia, sulla capacità di parola che consola e che parla al cuore. Ed è una storia che non contrappone, ma unisce; che non si muove sul campo di battaglia, ma apre sentieri nuovi.
Per questo Rut, donna straniera e imprevista, entra a pieno titolo nella genealogia di Gesù: segno che il bene può nascere anche da ciò che consideriamo estraneo o scomodo. Un messaggio decisivo per il nostro tempo, in cui Dio sembra silenzioso: la sua voce continua a risuonare nei legami di giustizia, nel pane che non manca, nella solidarietà che sa custodire e generare vita.