Cantico dei cantici: Introduzione



Introduzione al Cantico dei cantici
«Arriviamo nell’ultimo reparto della biblioteca biblica e scopriamo, da solo sul suo scaffale verniciato, il libro forse più affascinante e più misterioso di tutta la Bibbia: il Cantico dei cantici»: così si esprime il gesuita belga Jean-Louis Ska in una sua introduzione all’Antico Testamento, anche se il complimento più bello e noto mai fatto a questo libro è del maestro rabbinico Rabbì Aqibah: «Tutto il mondo non vale quanto il giorno nel quale è stato dato al popolo di Israele il Cantico. Tutti gli scritti sono santi ma il Cantico dei cantici è il santo dei santi». L’esaltazione del più profano tra i libri di spiritualità e, allo stesso tempo, il più mistico dei libri profani, è giustificata dallo stesso titolo, shir ha-shirim in ebraico è infatti un superlativo, cioè “il cantico supremo, sublime”, “il cantico per eccellenza”. Chi è l’autore di questo capolavoro, cui la liturgia purtroppo dà pochissima considerazione, proponendocelo solo il 21 dicembre? Attribuito impropriamente a Salomone (ma lingua e stile sono tardivi, tra il V e il III secolo a.C.), questi è famoso, oltre che per la sua sapienza, anche per aver amato molte donne: «settecento principesse per mogli e trecento concubine» dice 1Re 11,3, che immediatamente dopo aggiunge: «le sue donne gli fecero deviare il cuore». La sua quarantennale signoria, infatti, iniziò saggiamente, per poi concludersi con la divisione di Israele: «Poiché Salomone era in sé diviso, lacerato, – sottolinea il monaco benedettino Anselm Grün – anche il popolo si divise in regno del sud e regno del nord». Ma torniamo al Cantico. Letto dalla tradizione ebraica nel settimo giorno di Pesach, Pasqua, è divisibile in tre parti: dialogo fra uomo e donna (1,7-2,7), riflessioni sull’amore (2,8-3,11) e dialoghi vari (4,1-8,4), il tutto incorniciato da un’introduzione (1,1-6) e da alcune appendici (8,5-14). Se per alcuni studiosi la sua struttura è organica e armoniosa, frutto di un unico redattore, per altri invece si tratta di una serie di poemi giustapposti, un’opera insomma composta a più mani. Affascinante, in tal senso, il fatto che la Bibbia di Gerusalemme (nella quale hanno lavorato una serie di studiosi francesi), abbia diviso il Cantico in cinque poemi, rimandandoci a qualcosa di ben noto: oltre al Pentateuco della Legge e a quello della preghiera (il Salterio è stato infatti anch’esso diviso in cinque parti), esiste un Pentateuco dell’amore! Tuttavia, «dopo più di venti secoli, – prosegue il già citato Ska – generazioni di specialisti hanno cercato invano la chiave per aprire la porta del Cantico. Occorre forse chiederci se poniamo delle buone domande e se cerchiamo di aprire la casa dal lato sbagliato, dove non c’è la porta». Commentato da tanti nella storia, in senso positivo (Origene, Giovanni della Croce o Giovanni Paolo II, che nel 1984 lo ha definito “la celebrazione del linguaggio del corpo”) ma anche in senso molto negativo (Voltaire lo riteneva una «canzone degna di un corpo di guardia dei granatieri»), siccome è di amore che il Cantico parla, occorre fare un passo indietro, chiedendosi come si inserisce questa tematica dentro l’intero Bibbia, che ne tratta in diversi contesti. Il presupposto da cui dobbiamo partire è però il seguente: il nostro modo di concepire l’amore è figlio dell’epoca romantica, la quale ne rivendica la libertà e lo considera una forza travolgente capace di sovvertire le convenzioni sociali.. I promessi sposi di Manzoni sono emblematici in tal senso. Detto altrimenti: per l’epoca romantica due persone si sposano perché si amano, mentre nel mondo antico i due prima si sposavano, poi – forse – si sarebbero anche amati. Nel lontano passato, insomma, il sentimento era secondario, per quanto la cosa possa turbarci.. E l’amore di Dio nella Scrittura? La Bibbia è anzitutto una foresta in cui non regna certo l’uniformità.. e in questa selva variopinta c’è un po’ di tutto: l’amore esclusivo che JHWH pretende dal suo popolo, quello per gli amici e addirittura per i nemici! Viene inoltre “comandato” di amare Dio.. possibile? La Prima lettera di Giovanni si spinge all’estremo, affermando che «Dio è amore» (1Gv 4,8). L’ottavo capitolo del Cantico ci suggerisce tra l’altro che l’amore non ha prezzo (cfr. 8,7), ragion per cui Jovanotti risponde: «considerando che l’amore non ha prezzo, sono disposto a tutto per averne un po’, considerando che l’amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto l’amore che ho». Meraviglioso paradosso! Come si può pagare qualcosa che “non ha prezzo” se non con la stessa moneta, offrendo cioè altrettanto amore?! E il Cantico, di che amore parla? Gli esegeti ne hanno dato le interpretazioni più svariate: letterale (l’amore tra due giovani, punto!), allegorica (la relazione tra il Signore e il suo popolo), mistica (tra Cristo e l’anima umana), cultuale (un dio che muore e scende agli inferi alla ricerca della sua amata), drammatica (che fa passare in secondo piano l’aspetto erotico, che tanto ci scandalizza), o tipologica (dal greco týpos, “modello”, quella cioè che stabilisce il rapporto tra una realtà ed un’altra, ad esempio tra Antico – tipo – e Nuovo Testamento – antitipo, dove ad esempio Adamo è tipo di Cristo). Ma, soprattutto, mentre la tradizione ebraica vi legge l’amore tra Jhwh per Israele, quella cristiana vi scorge invece l’amore tra Cristo e la Chiesa. Il Cantico, in definitiva, opera spesso o sempre su più piani di lettura: non parla solo di quello di coppia, ma di ogni tipo di amore, dall’amicizia alla consacrazione a Dio! Procediamo però per gradi. Questo libro ha avuto enormi difficoltà ad entrare nel canone biblico, sia perché canta un amore così sensuale da essere di scandalo, sia perché, soprattutto, in esso non figura mai esplicitamente Dio. Le perplessità furono sciolte quando Rabbì Aqibah pronunciò la celebre frase già citata. Se il testo è percorso dal dialogo di due “sposi” (là dove «Lui e Lei, senza un vero nome, – commenta il gesuita spagnolo Luis Alonso Schökel – sono tutte le coppie della storia che ripetono il miracolo dell’amore»), compare tuttavia un terzo soggetto, il coro, ma la vera protagonista è senza dubbio la donna. Se dunque è dell’amore in generale che tratta, tuttavia il tema viene veicolato dalla relazione passionale tra maschio e femmina, «come il più grande dono che Dio ha dato agli uomini», precisa Grün. E se a dirlo è un monaco.. Piccola necessaria parentesi sul rapporto uomo-donna mutuato da Genesi: la maggior parte delle versioni della Bibbia traduce con “costola” la parte del corpo di Adamo da cui viene tratta Eva, con conseguente dipendenza di quest’ultima dal primo, ma l’ebraico qui usato, solo raramente indica la costola, più spesso traduce infatti “fianco” o “lato”. Cioè: Adamo avrebbe tranquillamente potuto sopravvivere senza una costola, ma se la donna gli è stata tratta dal fianco – fanno notare i rabbini – la cosa cambia: se Dio avesse voluto la donna come dominatrice sull’uomo, l’avrebbe creata dalla testa di lui; se al contrario l’avesse voluta sua schiava l’avrebbe formata a partire dai piedi di Adamo! Invece l’ha tratta dal fianco, destinandola in tal modo ad essere sua compagna, in tutto e per tutto uguale a lui. Maschio e femmina sono compagni, letteralmente chiamati a mangiare lo “stesso pane”, e perfino coniugi, chiamati cioè a portare lo “stesso giogo” nel viaggio della vita. Anselm Grün, questa volta nelle vesti di psicoterapeuta qual è, aggiunge: «l’archetipo dell’amante fa parte dell’uomo maturo.. (che) lascia spazio ai suoi sentimenti.. (e) mostra i suoi lati vulnerabili.. L’amante vorrebbe (inoltre) plasmare anche la relazione con Dio.. Se egli si abbandona con tutto il cuore al rituale, ai canti, al silenzio della celebrazione, allora cresce in lui un profondo amore per Dio.. Tuttavia senza un forte erotismo anche l’amore a Dio diventa privo di forza.. – e conclude – L’amore sessuale è un importante sorgente di spiritualità.. Tuttavia non può venir scambiato con Dio. Altrimenti conduce al culto agli idoli». Chiediamoci allora: le nostre liturgie sono capaci di suscitare questo tipo di amore nei confronti del Signore? E ancora: quante volte scambiamo – meccanismo proprio della figura retorica chiamata sineddoche – la parte per il tutto, cioè la creatura per il Creatore? Eppure, nonostante queste considerazioni, l’amore carnale e il corpo in generale forse ci fanno ancora paura.. Corpo che, nella Bibbia, è il grande simbolo di comunicazione, di rapporto e relazione concreta. A proposito di simbologia, il Cantico ne è pieno: la vigna abbandonata, che rimanda ad Israele; quella che la CEI traduce con «vagabonda», mentre nell’originale ebraico è una sorta di prostituta che gironzolava tra le carovane; oppure il cavallo, emblema di giovinezza, dinamicità ed entusiasmo; le travi della casa fatta di cedri, chiara allusione al materiale di cui era fatto il Tempio di Gerusalemme. Per non parlare di come l’uomo descrive la donna: «occhi.. (come) colombe», «denti.. come un gregge di pecore tosato», «seni.. come due cerbiatti (o grappoli)», «palato.. come vino squisito»; o di come la donna vede il suo uomo: «guance, come aiuole di balsamo», «labbra (come) gigli», «petto.. d’avorio, tempestato di zaffiri», «gambe (come) colonne di alabastro» e «aspetto.. magnifico come i cedri»: ecco nuovamente il riferimento al Tempio! Lo abbiamo già detto: il Cantico opera su più piani. Già in apertura leggiamo infatti: «(è la sposa che sta parlando) M’introduca il re nelle sue stanze», ora, siccome il re è lo sposo, il primo significato è la stanza dell’amore sessuale.. ma lo studioso sa che la parola utilizzata indica anche il luogo più intimo e sacro del Tempio: sposo e sposa non sono più soltanto due amanti ma tutto Israele con il suo Dio. Non solo, c’è un vocabolo che nel Cantico ricorre ben 31 volte, dôdî, che la Bibbia CEI traduce «mio diletto», ma che in ebraico dice molto di più, da un lato perché il gioco di lettere che se ne può ricavare rimanda al numero 14, una delle cifre che indica la perfezione, dall’altro perché se alla radice delle sue consonanti (d-w-d) si aggiungono le vocali, per essere pronunciato, ecco che dôdî diventa il re Davide. E le allusioni potrebbero non finire mai.. Soprattutto, però, il Cantico compie l’azzardo più grande, affermando che «azzah kammawet ahabah», «forte come la morte è l’amore». Nell’eterna sfida tra eros e thanatos, l’Antico Testamento non teme di dire che solo l’amore è capace di tener testa alla morte.. il Nuovo dirà che Qualcuno ci ha letteralmente “amati da morire”..                               

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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