Lettera a Filèmone: Introduzione



Introduzione alla lettera di san Paolo apostolo a Filemone
Quello a Filèmone è lo scritto paolino più breve che conosciamo, per alcuni non è neppure una lettera ma un biglietto. Anzitutto, chi è Filèmone? Il nome deriva da un vocabolo legato alla radice greca phîlein, “amare”, per cui potrebbe significare “affettuoso”, “affezionato”, “amico”, ma anche “colui che bacia”. Etimologia a parte, si tratta di un cristiano benestante di una città dell’attuale Turchia, Colossi, al tempo di Paolo famosa per la tintura della lana. La Chiesa lo festeggia il 22 novembre assieme alla moglie Apfìa o Affìa, il biglietto è infatti indirizzato a loro: «Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timòteo al carissimo Filèmone, nostro collaboratore, alla sorella Apfìa, ad Archippo (forse loro figlio) nostro compagno nella lotta per la fede..». Perché si parla di biglietto? Premesso che forse si tratta sia di una lettera (personalissima e dal perfetto stile “di Paolo”) sia di un biglietto, appunto, chi preferisce parlarne definendola in quest’ultimo modo vuol sottolineare l’accaduto: Filèmone ha diversi schiavi – ricordiamo che, per quanto giustamente ci scandalizzi, al tempo era una prassi consolidata.. – , uno dei quali si chiama Onesimo, che, forse per ironia della sorte, significa “utile”. È significativo il fatto che la Chiesa lo ricordi il 15 febbraio, un po’ meno che lo faccia in qualità di patrono dei domestici! Un patronato che forse andrebbe rivisto, se non altro per non generare inutili incomprensioni. L’attuale pensiero comune si allinea infatti, e giustamente, alle celebri parole di Charles Darwin, che nel 1839, nel suo Viaggio di un naturalista intorno al mondo, scriveva che la schiavitù è giustificata talvolta «da uomini che professano di amare il loro prossimo come se stessi, che credono in Dio e pregano che la sua volontà sia fatta sulla terra! Fa bollire il sangue e tremare il cuore – aggiunge – pensare che noi inglesi e i nostri discendenti americani con il loro millantato grido di libertà, siamo stati e continuiamo ad essere tanto colpevoli». Ma lasciamo Darwin e torniamo alle vicende di Paolo e Onesimo che s’incrociano (se solo casualmente, non ci è dato saperlo) a Roma, dove l’Apostolo vive agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio. Tra le persone che accoglie in casa ecco il nostro schiavo, che, fuggito dal padrone Filèmone – forse per uno sgarbo subìto –  incontra colui che gli avrebbe fatto incontrare Gesù Cristo, l’unico vero liberatore. In questo momento entrambi sono due fuorilegge: Onesimo per essere fuggito dal suo “proprietario”, Paolo per averlo accolto! Quest’ultimo rimanda lo schiavo dal suo padrone allegandovi uno scritto, ecco perché “biglietto”. Così facendo, però, l’Apostolo si prende un bel rischio, Filèmone infatti avrebbe potuto disporre a suo piacimento dello schiavo fuggito, decidendone la vita o la morte. Ma intercedendo per lui e chiedendone l’affrancamento, Paolo fa un regalo a Filèmone, rimandandoglielo non più come schiavo, ma come un fratello! La lettera che l’accompagna è allora il più bel biglietto “di regalo” che egli potesse ricevere.. L’Apostolo dunque non predica contro l’abolizione della schiavitù (forse in quel contesto storico-culturale non avrebbe avuto alcun successo), ma la disinnesca dall’interno: essa non è infatti la liberazione dalle costrizioni esteriori, ma la possibilità di realizzare l’uomo nuovo, paradossalmente libero perché “sottomesso” solo a Dio. Sono note, a riguardo, le parole che don Lorenzo Milani scrisse alla madre in una lettera del 14 marzo 1944: «quando uno liberamente regala la sua libertà è più libero di uno che è costretto a tenersela. Chi regala la sua libertà si libera del peso di portarla». Tornando a Paolo, aggiungiamo che egli scrive a Filèmone perché Onesimo, libero o schiavo, gli sia rimandato per affiancarlo nel servizio del vangelo! Gli chiede insomma di liberarlo affinché possa predicare la libertà sperimentata in Cristo. Ma noi che idea abbiamo di Dio: crediamo davvero che “abbia posto la sua tenda in mezzo a noi” per liberarci, o continuiamo a pensare che infondo infondo goda nel limitare la nostra libertà? È celebre la tripartizione di quest’ultima in libertà di, libertà da e libertà per: se la prima coincide con il fare quello che vogliamo, la seconda consiste nell’allontanarci da quanto ci opprime (ad esempio dalle varie forme di dipendenza), mentre l’ultima – per dirla col filosofo ed economista inglese John Stuart Mill – è il vero segreto della felicità. La lettera a Filèmone – occorre sottolinearlo – è indirizzata però anche «alla comunità che si raduna nella (sua) casa..», a ricordargli che sia lui sia il suo schiavo sono invitati nel regno di Dio, che sperimentano e di cui sono testimoni proprio mentre la comunità di Colossi celebra la cena del Signore in quella casa! È soprattutto e a partire da quel momento che Onesimo, e Filèmone con lui, sperimentano davvero la Pasqua, cioè il “passaggio” dalla schiavitù alla libertà, ma soprattutto dalla morte alla vita.. in Cristo Gesù.      

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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