
L'amore verso i poveri
“Ti ho amato”, dice il Signore a una comunità fragile, esposta al disprezzo e alla violenza. Parole che risuonano come promessa di fedeltà: a chi ha poca forza, a chi è povero agli occhi del mondo, Dio dice “io ti ho amato”. Questo messaggio apre l’Esortazione e ci conduce al cuore dell’amore di Cristo per i più piccoli, un amore che Papa Francesco ha contemplato e approfondito nella sua Enciclica Dilexit nos, nella quale ha mostrato come Gesù si identifichi con gli ultimi e riveli la dignità di ogni essere umano, specialmente quando è debole, misero o sofferente. Contemplare questo amore ci spinge a partecipare all’opera di liberazione di Cristo, a lasciarci coinvolgere dalla sua compassione.
Negli ultimi mesi della sua vita, Papa Francesco stava preparando un’esortazione apostolica dedicata alla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, immaginando che Gesù dicesse a ciascuno: “Io ti ho amato”. Ho raccolto questa eredità con gratitudine, condividendo il suo desiderio che tutti i cristiani percepiscano il forte legame tra l’amore di Cristo e la chiamata a farsi prossimi ai poveri. In questo invito si manifesta il cuore stesso di Cristo e la via di santità alla quale ogni discepolo è chiamato.
Gesù, a Betania, accolse il gesto di una donna che versò sul suo capo un olio prezioso. Quel gesto semplice e tenero, fatto quando la sua testa era già gravata dal peso della passione imminente, mostra che nessun atto di amore è dimenticato, soprattutto se rivolto a chi soffre e a chi è solo. L’amore per Gesù si unisce naturalmente all’amore per i poveri. Non è un orizzonte di beneficenza: è il luogo della Rivelazione. Nei poveri, il Signore ha ancora qualcosa da dirci.
Quando Papa Francesco scelse il suo nome, ricordò che un Cardinale lo abbracciò e gli disse: “Non dimenticarti dei poveri”. Era lo stesso invito che la Chiesa primitiva rivolse a Paolo: non dimenticare i poveri. San Francesco d’Assisi comprese questo invito nell’abbraccio di un lebbroso che gli cambiò la vita. Da quella scelta nacque una rinascita evangelica. La sua figura continua a ispirare e a muovere gli animi di credenti e non credenti, ricordando che scegliere i poveri genera rinnovamento nella Chiesa e nella società, perché ci libera dall’autoreferenzialità e ci apre al grido dell’altro.
Il grido dei poveri attraversa la storia. Dio lo ascolta, come ascoltò il grido del suo popolo in Egitto e scese per liberarlo. Ascoltare quel grido significa entrare nel cuore stesso di Dio. Ignorarlo significa allontanarsi da Lui. I poveri non sono un concetto: hanno volti, nomi, storie. C’è chi non ha mezzi di sostentamento, chi è emarginato, chi è prigioniero della solitudine, chi subisce povertà morale, spirituale o culturale. Le disuguaglianze producono nuove forme di povertà, spesso invisibili e per questo più insidiose. E intanto, nel mondo, cresce la distanza tra pochi ricchi e moltitudini di persone che lottano per sopravvivere.
Non possiamo accettare una cultura che scarta senza accorgersene, che si commuove per un istante davanti all’immagine di un bambino senza vita sulla riva di un mare e poi dimentica. Non possiamo abituarci a un mondo dove milioni muoiono di fame mentre pochi vivono nell’abbondanza. La povertà non è frutto del destino. Per molti non è scelta. È conseguenza di ingiustizie e disuguaglianze, di un sistema che valorizza il merito solo dei vincenti e disprezza chi resta indietro.
Anche i cristiani possono essere tentati da ideologie che oscurano il Vangelo. Ma dimenticare i poveri significa uscire dalla corrente viva della Chiesa. La povertà è inscritta nel cuore della nostra fede, perché Dio stesso ha scelto i poveri.
Dio è amore misericordioso. È sceso per condividere la nostra condizione, assumendo la povertà della nostra carne. Nella mangiatoia e sulla croce si manifesta il mistero di un Dio che ama gli umili e si fa uno di loro. Da qui nasce l’espressione “opzione preferenziale per i poveri”: non è esclusione di altri, ma affermazione della compassione di Dio verso chi è fragile e oppresso. È un invito a noi, Chiesa, a scegliere la stessa parte.
Nelle Scritture, Dio si rivela amico e difensore dei poveri, denuncia le ingiustizie e chiede a Israele di non separare il culto dall’amore per gli oppressi. Tutto il cammino della redenzione è segnato dai poveri. Questa predilezione trova pienezza in Gesù. Fin dalla nascita, Egli ha condiviso la condizione degli esclusi. Non c’era posto per Lui nell’alloggio, fu rifugiato in Egitto, rigettato a Nazaret, crocifisso fuori dalla città. Gesù è il Messia povero, dei poveri e per i poveri.
Non era proprietario di nulla, lavorava come artigiano, viveva della Provvidenza. Annunciò il Regno leggendo le parole del profeta: “Lo Spirito del Signore è su di me, mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona notizia”. I suoi segni di amore erano liberazione: guariva malati, risanava lebbrosi, apriva gli occhi ai ciechi, annunciava speranza agli ultimi. Per questo proclamò: “Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio”. La Chiesa che vuole essere di Cristo deve essere la Chiesa delle Beatitudini, la Chiesa che cammina povera con i poveri.
Gesù ribaltò la mentalità di chi vedeva nella povertà un castigo. Nella parabola del ricco e del povero Lazzaro rivelò che Dio ascolta il grido degli ultimi. Dalla nostra fede in Cristo povero nasce la preoccupazione per lo sviluppo integrale degli abbandonati. Non si può amare Dio senza amare il prossimo, e soprattutto i poveri. L’amore per loro è la prova concreta dell’amore per Dio. Per questo Gesù ha raccomandato gesti gratuiti: invitare chi non può restituire, condividere con chi non ha. La parabola del giudizio finale lo dice con forza: ogni gesto fatto a uno dei più piccoli è fatto a Lui.
Le prime comunità cristiane lo compresero bene: la carità non nasceva da progetti astratti ma dall’esempio di Gesù. Nessuna riflessione ecclesiale può attenuare questa chiarezza. I primi cristiani condividevano i beni, si prendevano cura delle vedove, organizzavano collette per le comunità povere. Erano convinti che la generosità verso i poveri fosse una benedizione, non un peso.
Papa Francesco, nei primi giorni del suo pontificato, esclamò: “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Questo desiderio esprime l’essenza stessa della fede cristiana: la Chiesa riconosce nei poveri l’immagine del suo fondatore e cerca in loro Cristo. Nella storia, la fede si è nutrita di gesti concreti: i diaconi della Chiesa primitiva erano incaricati di servire i poveri; San Lorenzo indicò in essi i veri tesori della Chiesa; Francesco d’Assisi li abbracciò come segno di conversione.
I Padri della Chiesa hanno visto nei poveri una via privilegiata per incontrare Dio. Giovanni Crisostomo predicava con forza che non si può onorare Cristo sull’altare se lo si trascura nella strada. Ambrogio ricordava che i beni condivisi sono giustizia, non generosità superflua. Agostino vedeva nei poveri la presenza sacramentale di Cristo e invitava a una conversione concreta, fatta di condivisione e amore preferenziale per i piccoli.
Questa carità non è opzionale. È il criterio del vero culto. È il luogo in cui la fede diventa credibile.
La compassione cristiana si è manifestata in modo particolare nella cura dei malati. Fin dalle origini, la Chiesa ha visto nei sofferenti la carne ferita di Cristo. Dai tempi di Cipriano di Cartagine alle grandi opere di San Giovanni di Dio e di San Camillo de Lellis, l’amore per i malati ha reso visibile la misericordia di Dio. Innumerevoli donne consacrate hanno servito negli ospedali e nelle case di cura con discrezione e tenerezza, rendendo la cura un luogo di dignità e speranza. Quando la Chiesa si china su un lebbroso, su un bambino denutrito, su un morente dimenticato, realizza la sua vocazione più profonda: amare Cristo là dove è più sfigurato.
La vita monastica ha custodito questa eredità. Basilio Magno e Benedetto da Norcia hanno insegnato che preghiera e carità, silenzio e servizio sono un unico tessuto spirituale. I monasteri furono luoghi di accoglienza per pellegrini e poveri, centri di cultura condivisa, laboratori di fraternità. La povertà scelta diventava solidarietà concreta. Così la contemplazione generava misericordia.
Anche la liberazione degli oppressi è stata parte viva della missione cristiana. Ordini come i Trinitari e i Mercedari nacquero per riscattare gli schiavi, offrendo per loro i propri beni e, a volte, la propria vita. Questo testimonia che l’amore di Dio non è un’idea astratta ma un atto di liberazione concreta.
Tutta la storia della Chiesa, fin dalle origini, mostra che l’amore per i poveri non è un tema accessorio, ma una via maestra. Quando la Chiesa dimentica i poveri, smarrisce se stessa; quando li abbraccia, diventa credibile, luminosa, viva. Nei poveri Cristo continua a parlarci, a toccarci, a convertirci.
A tutti i cristiani rivolgo l’invito a rimettere al centro l’amore per i poveri come scelta di vita, come via di santità, come volto concreto della sequela di Gesù. Non si tratta di un compito per pochi, ma di una chiamata per tutta la Chiesa. Là dove qualcuno tende la mano a un povero, il Vangelo respira. Là dove si accoglie chi è escluso, la Chiesa ritrova il suo cuore. Là dove si ama chi è fragile, si riconosce il volto stesso di Cristo.
Recita
Don Davide Arcangeli
Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri
Proponiamo una sintesi dell'Esortazione Apostolica "Dilexi Te" di Papa Leone XIV sull'amore verso i poveri