Parole di Qoelet, figlio di Davide, re a Gerusalemme. Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale guadagno viene all'uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? Una generazione se ne va e un'altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta a tornare là dove rinasce. Il vento va verso sud e piega verso nord, gira e va sui suoi giri, ritorna il vento. Tutti i fiumi scorrono verso il mare, eppure il mare non è mai pieno. Al luogo dove tutti i fiumi scorrono, continuano a scorrere. Tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo. Non si sazia l'occhio di guardare né l'orecchio è mai sazio di udire. Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà. Non c'è niente di nuovo sotto il sole. C'è forse qualcosa di cui si possa dire, ecco, questa è una novità. Proprio questa è già avvenuta nei secoli che ci hanno preceduto. Nessun ricordo resta degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito.
Vorrei iniziare dando voce a una figura molto lontana, ma per certi versi sorella, fratello in questo caso, di Qoelet. Una figura che voi tutti conoscete per fama e che potrebbe in qualche modo suggerire l'approccio nei confronti di questo testo e, come vedremo durante tutto il nostro lungo percorso, abbastanza sconvolgente, scandaloso persino, nei confronti del messaggio generale biblico. Si tratta di Kafka, il quale scriveva una frase, un brano molto celebre.
Se il libro che stiamo leggendo non si sveglia come un pugno che ci martelli sul cranio, perché dunque lo leggiamo? Buon Dio, saremo felici anche se non avessimo dei libri e quei libri che ci rendono felici potremmo a rigore scriverli da soli. Ma ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi. Un libro deve essere una piccozza per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi. E quel libro di Coelet è proprio così e lo dovremo anche scoprire seguendo il suo messaggio.
Un libro breve peraltro, sono nell'originale ebraico 2987 parole distribuite ora in 222 versetti per 12 capitoli. Pensate che per 85 volte in questo libro, cosa abbastanza inedita nell'Antico Testamento, c'è l'io. È lui che dice io penso, io dico, 85 volte.
Io vi propongo ora in questo primo commento al testo che avete ascoltato da Nancy Brilli, vi propongo due riflessioni:
1. Una più di ordine generale, di volta in volta cercheremo di fare queste considerazioni generali che introducono, che fanno conoscere anche questo libro ed evitiamo tra l'altro la prima parte celebre, Vanità delle Vanità, perché sarà il tema della nostra seconda tappa.
2. Una considerazione specifica sul capitolo primo che abbiamo ascoltato.
Laconsiderazione generale. Coelet è un enigma ermeneutico, interpretativo, sorto attorno al terzo secolo, probabilmente quarto, terzo secolo avanti Cristo. Tant'è vero che si sono registrate almeno quattro interpretazioni totalmente diverse e io naturalmente, dato che ho pubblicato uno studio, ne aggiungo una anch'io che è quella che ho voluto imporre ma che è condivisa da molti, che ho voluto imporre a questo incontro.
La prima interpretazione coelete è uno scettico, è l'anticipazione degli agnostici di oggi. Per questo piace tanto anche alla cultura laica e si potrebbe fare una lunga sequenza di autori che hanno attinto alle sue pagine. La rappresentazione sua sarebbe quella dell'incomprensibilità dell'essere e dell'esistere. Naturalmente questa è un'interpretazione azzardata, un tentativo di ricondurlo all'attualità. Coelet rimane sempre un credente, anche se abbastanza freddo, tant'è vero che l'unica volta che parla esplicitamente di Dio ricorda tu sei sulla terra, Dio è nei cieli, perciò poche parole.
Seconda interpretazione è quella che ha attribuito come epigrafe, come titolo a Coelet, una frase che è di Orazio, laurea mediocritas. Cioè scegliere la via di mezzo, non esagerare e a questo proposito, la via anche un po' degli stoici se volete, è significativo, voglio leggervi un versetto che come sempre è abbastanza, la parola di Kafka è abbastanza tagliente, 7.16. Non esagerare con la giustizia, né essere troppo sapiente, perché vuoi rovinarti? Non esagerare con la malvagità, però né con la stupidità, perché morire prima del tempo? È bene che tu prenda una cosa senza lasciare l'altra.
Terza interpretazione è quella di un saggio famoso che era intitolato in inglese, di un commentatore inglese, Coelet, The Preacher of Joy, il predicatore della gioia, perché effettivamente ci sono sette passi che sono tutti luminosi, di gioia, di godimento, indirizzati a questo ipotetico pubblico che lo ascolta. Non dimenticate che la parola Coelet è una parola femminile, in realtà che indica una funzione, e letteralmente sarebbe colui che presiede un'assemblea, che domina un gruppo di sapienti, un po' come voi, un gruppo che ascolta. Ebbene, a costoro, lui per sette volte, io ve ne leggo una sola, capitolo nono, 7.79, sentite? Va, mangia felice il tuo pane, bevi con cuore lieto il tuo vino, perché è questo che Dio vuole che tu faccia. Candida sia in ogni tempo la tua veste, il profumo non manchi mai sul tuo capo, godi la vita con la donna che ami, in tutti i giorni, notate la finale però, in tutti i giorni di questa vita che ti sono concessi sotto il sole, in tutti questi giorni vuoti. Godere sì, ma questa finale.
Ultima interpretazione, che è quella che è la mia, quella del testo che è stato appena ripubblicato, ed è, io purtroppo con la traduzione qualche volta preferirò la mia, come è giusto che sia, perché sono convinto che sia migliore, come sempre, ed è l'interpretazione libro della crisi. Ma notate bene, non della crisi come si vive nella cultura contemporanea, nella società contemporanea, una crisi complessa di cui ci parlerà Enrico Mentana,ma è invece la crisi della sapienza, cioè delle strutture di fondo del pensiero, che erano nobili, che lui riconosce nobili, che però lui sente che sono ormai incrinate, sono cariate e stanno quasi per precipitare. Soprattutto esamina la storia e vede che si sta progressivamente liberata da ogni interpretazione possibile che la sapienza antica offriva.
Quattro, come vedete, interpretazioni molto diverse. Secondo, questo era il discorso generale, secondo discorso più specifico sul brano che avete ascoltato. Evidentemente il tema è chiaro, nitido, la ciclicità. Una concezione, lo diremo poi, assolutamente non biblica. Concezione nell'antichità diffusa, pensate anche nella modernità, Vico.
Ebbene, vediamo due tipologie, due orizzonti lui vede, entro cui fa degli esempi per rappresentare questa ciclicità. La prima è il cosmo, l'universo, la natura, partendo dalla terra, come dice una terra letteralmente eternamente ferma, tra parentesi, povero Galileo, fu uno dei testi che furono portati dal tribunale contro di lui il 5 marzo del 1616. Terra eternamente ferma.
E che cosa dice Poelot? Su questa terra però che cosa c'è? Le generazioni che continuamente si succedono. In ebraico generazione si dice dor, che vuol dire qualcosa di circolare. È un tema questo che è anche presente in un autore posteriore biblico che respira qualche cosa pur essendo antitetico a Coele, perché è un ottimista. Come delle foglie, è Siracide del capitolo quattordicesimo, come delle foglie spuntate su un albero verdeggiante, l'una cade e l'altra sboccia. Così sono le generazioni di carne e di sangue. L'una muore, l'altra viene all'esistenza. La terra ferma e questo movimento sopra di essa.
Secondo, sempre nella natura, il fuoco. Se vogliamo stare con la classicità dei filosofi ionici, coi quattro elementi:
1. Terra,
2. Fuoco,
3. Aria,
4. Acqua.
Fuoco, il sole. Il sole sorge e tramonta, è il ritmo circadiano. Ed è bellissima questa frase nell'originale ebraico però, nella traduzione secondo me dovrebbe. E anela laddove si rinascerà. Ansima per ricominciare ancora da capo questo cerchio continuo e incessante.
Terzo, il vento, l'aria. Quattro volte in quel brano, non lo si vede nella traduzione, risuona il verbo girare. E pensate, questo è una specie di mulinello continuo, che il vento, una spirale infinita, simbolica, gira e rigira i suoi giri il vento ritorna. Sentite anche foneticamente questo ritorno.
Quarto, l'acqua. E l'acqua, avete sentito, l'acqua scende, i fiumi vanno al mare per poi riprendere ancora la corsa precedente attraverso le nubi e i fiumi che ritornano. Questa era la prima ciclicità, quella del cosmo. Quei quattro elementi, abbiamo visto, terra, fuoco, sole, aria, vento, acqua.
Secondo, la storia. E Coelet su questo è implacabile. La reiterazione perenne, perpetua della storia. C'è una frase che anchequi la traduzione è piuttosto pallida all'originale, io ve la dico più vicina all'originale, versetto 8. Tutte le parole sono logore e l'uomo non può più usarle. Pensate nella modernità nostra, le parole ormai sono ridotte a chiacchiera. Ancora, l'occhio e l'orecchio che non sono mai sazi eppure sempre hanno stesso suono, stessa visione. E alla fine la conclusione sferzante, non c'è assolutamente nulla di nuovo sotto il sole. Sotto il sole è un po' la sua sigla, lo ama questa espressione. C'è forse qualcuno di cui, qualcosa di cui si possa dire ecco questa è una novità? E qui è proprio una negazione profonda della visione biblica.
Pensate continuamente, la Bibbia si parla, cieli nuovi, terra nuova, la nuova alleanza, cuore nuovo, spirito nuovo, il Signore che dice in Isaia, ecco io faccio una cosa nuova. E qui abbiamo veramente un'interpretazione della storia completamente diversa rispetto a quella biblica che come ben sapete e lo vedremo poi ancora è direzionale, è progettata verso il futuro. È una visione messianica appunto.
Io concludo, concluso la mia riflessione su questa pagina ben chiara credo, e finisco dando voce come è iniziato a Kafka, ora darò voce a due voci antitetiche. Una sostiene che Coelet ha ragione, l'altra dice no Coelet guarda che stai sbagliando. Borges è il primo, famoso scrittore argentino che conosceva Papa Francesco anche. Borges scrive, sentitelo. Ripeto, lui amava Coelet, lo dice. Ripeto ciò che ho fatto innumerivoli volte nel cammino assegnatomi. Non posso eseguire un gesto nuovo. Tesso e ritesso sempre la favola scontata. Ripeto un ripetuto endecasillabo. Dico quello che già altri dissero. Sento le stesse cose nella stessa ora ogni giorno e ogni notte. È proprio Coelet in pieno.
E invece la negazione la si ha invece in un poeta che è stato religioso, anche mio amico, Turoldo, che ha scritto proprio mie notti con Coelet, una delle sue ultime opere. Sentite perché anche cogliere perché ha torto. Coelet, guardando semplicemente la realtà. E il già detto è ancora da ridire, o Coelet. Mai la stessa onda si riversa nel mare. E mai la stessa luce si alza sulla rosa. Né giunge l'alba che tu non sia già un altro.
Tutto ha il suo momento e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo:
- C'è un tempo per nascere e un tempo per morire.
- Un tempo per piantare e un tempo per sradicare quello che si è piantato.
- Un tempo per uccidere e un tempo per curare.
- Un tempo per demolire e un tempo per costruire.
- Un tempo per piangere e un tempo per ridere.
- Un tempo per fare tutto e un tempo per danzare.
- Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli.
- Un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
- Un tempo per cercare e un tempo per perdere.
- Un tempo per conservare e un tempo per buttare via.
- Un tempo per strappare e un tempo per cucire.
- Un tempo per tacere e un tempo per parlare.
- Un tempo per amare.
- Un tempoper odiare.
- Un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica? Il filo continua, il filo tematico che abbiamo già visto nel primo capitolo. Questo terzo capitolo è celebre e avete sentito una sorta di rosario, di litania. È una sfilata di tempi e momenti eventi antitetici, una processione quasi, che attraversa ininterrottamente la storia. È come se, lui dice, la storia fosse un disco uniforme che ripete inesorabilmente e costantemente le stesse note.
Il gioco dei numeri è significativo, che non poteva essere evidente. Sono 14 coppie, tecnicamente si dice, di polarismi e estremi, poli. 14 coppie che alimentano, generano, nutrono sempre la storia. Ma se guardiamo più attentamente, e lo potete vedere, 14 coppie vogliono dire 28 componenti. E qui entra in gioco, gli orientali amano molto questo, un altro gioco numerico. 28 è 7 per 4. 7, sappiamo bene, è il numero perfetto, una sorta di totalità. E dall'altra parte 4 sono i quattro punti cardinali. Il che vuol dire che veramente egli vuole abbracciare integralmente tutto l'essere, tutto l'esistere, tutta la storia.
E questa è una colata, avete sentito, prosegue quella forma litannica che giunge fino a quella sferzata finale, che io vi leggo adesso in una traduzione che io penso più vicina all'originale. Che valore ha tutto ciò che si fa con fatica? Se tutto si cancella quasi con le antitesi. E la sua biografia umana universale è piuttosto, come vedete, adesso io ve la ripropongo ancora, ma non c'è bisogno, tanto è trasparente.
Vedete, si comincia con l'elemento radicale:
1. Nascere e morire.
2. Homo faber, col lavoro, piantare e sradicare.
3. Uccidere e curare.
4. Demolire e ricostruire.
5. Lacrime e riso.
6. Lutto e danza.
- Altre due coppie parallele. Ce n'è una un po' enigmatica che vorrei spiegarvi, ed è quella del gettare sassi e raccoglierli. Cosa significa questa enigmatica espressione? Ci sono anche qui, in questo caso, quattro interpretazioni, interpretazioni diverse, perché non si conosce bene questa formula, varie accezioni anche.
Prima di tutto la prima, la più curiosa ma fondata, è quella che rimanda al censimento del bestiame. Questo censimento del bestiame veniva fatto, anche degli schiavi per esempio, veniva fatto con pietruzze colorate. Per cui la prima volta getti e vedi quanto bestiame hai, quante schiavi hai.
Un'altra interpretazione è quella che vede gettare i dadi, pietruzze, nella divinazione o nel gioco, e vengono risultati diversi, antitetici. Altri pensano che sia invece il gesto ostile di inaridire il campo del nemico con sassi, con pietrisco. C'è nella Bibbia proprio questa espressione, rovinerete ogni campo fertile col mandolo di sassi. E ancora, vangare la vigna e sgomberarla dai sassi. E come vedete, quindi ci sono i sassi buttati che rendonoinfeconda e tu li riporti via per invece rendere. Poi passa il tempo e ritornano ancora i sassi, il pietrisco e la storia si ripete. E da ultimo alcuni pensano che sia invece una parabola, un simbolo edilizio, cioè l'uso diverso delle pietre quando si sta costruendo. Alcune si usano, altre si buttano. Comunque vedete anche qui sempre un'antitesi che alla fine si cancella o comunque considera i due atti come due atti che si ripetono e anche un po' insensati.
Ancora l'abbracciarsi e il distacco. Pensiamo che cosa significhi per questo l'amore e la crisi di coppia, l'incontro e l'abbandono. Ancora cercare e perdere, conservare e buttare, cucire e rattoppare lo strappo. È una scenetta quasi di vita quotidiana domestica o forse anche si fa riferimento al lutto. Quando si è a lutto si doveva spezzare, infrangere una parte della veste e poi dopo quando era finito il lutto la ricomponevi. Anche questo è dei gesti sempre uguali e poi nella finale, l'apice, ci sono i contrasti, le coppie più forti. Tacere e parlare, la parola.
Tra parentesi vi ricordo che io ho citato prima quella frase, tutte le parole sono logore e l'uomo non può più usarle. Ma in realtà il traduttore si trova un po' in difficoltà, in questo caso lui forse intende due cose contemporaneamente. Perché in ebraico davar, devarim, vuol dire sì parole, ma vuol dire anche atti, azioni. E allora vedete è condannata anche l'azione, l'agire, non solo il parlare. E lui lo disse con una parola sola, devarim.
Ancora, siamo agli ultimi più forti:
- Amare e odiare, le scelte fondamentali.
- E da ultimo, e qui ne siamo molto consapevoli ai nostri giorni, guerra e pace.
La storia che è scandita sempre da questi due elementi. Tra l'altro però è stato fatto notare che è interessante che lui ha lasciato per ultimo la parola del 28. Quale parola? La parola shalom, pace. E questo almeno è, la prima parola era la nascita, e l'ultima parola è la pace. Anche questo forse un filo di speranza c'è.
- E a questo punto allora possiamo concludere, dopo aver letto questi due brani molto omogenei, aver scoperto una dimensione di Coelet, il suo giudizio sulla storia, il suo giudizio sul tempo, tempo iterativo, tempo vuoto. Pensate che cosa vuol dire dal punto di vista anche filosofico questa riflessione e dal punto di vista esistenziale quante persone hanno proprio un'infinità di giorni davanti a sé. E lo sentirete l'ultima volta, se verrete l'ultima volta, quando fa il canto della giovinezza e l'elegia della vecchiaia e rappresenta il vecchio che si alza la mattina, ha davanti una giornata intera e dice io non ne ho voglia, non provo gusto. E questa è una verità che Coelet ben rappresenta.
Ebbene, la conclusione ultima di questo brano è, dicevo, provocatoria, perché la Bibbia è l'esatto contrario. Non dice che le cose sono... Questo qui lo diceva casomai la cultura anche classica, la stoica per esempio, che diceva non c'è speranza e quindi non c'è il futuro. Tutto è un ciclo che si ripete. La storia biblica invece è, dicevo, una storia messianica. Lo sapete anche voi, è una storia escatologica. L'ultimo libro della Bibbia è l'Apocalisse e questaApocalisse che rappresenta tutto il peso ciclico se vuoi della storia con la violenza, con la miseria... di Coelet, se vuoi, della storia, con la violenza, con la miseria. Questo grande canto, questa palinodia per soli coro e orchestra, che è l'Apocalisse, finisce però negli ultimi due capitoli, con i nuovi cieli, la nuova terra, la Gerusalemme. Non c'è più lutto, lamento, affanno, che sono i cittadini che in questo momento passano anche per le vie di tutte le città del mondo. Lutto, lamento, affanno, la morte. Dio che passa in mezzo a queste strade e ha il gesto di cancellare, una citazione di Isaia questa, che fa l'Apocalisse, cancellare le lacrime dagli occhi delle persone. E questa veramente, per Coelet, questa speranza, è un ciclo senza sbocco. Non ha via d'uscita. Non ci sono sorprese per lui. Non c'è quindi anche speranza.
E a questo punto vorremmo tutti noi ascoltare Enrico Mentana, con la sua lettura che dà del tempo, della storia, così come nell'orizzonte in cui siamo immersi, come lo vede lui, che tra l'altro è un fine interprete della realtà attraverso proprio la sua professione che noi abbiamo seguito, io ho seguito anche da quando era ancora a Milano.
Ebbene, io però finisco e lascio a voi questa provocazione, che è forte come quella di Kafka che ho citato all'inizio. Leggete qualche libro che vi inquieta. Leggete qualche libro che non sia soltanto consolatorio o comunque sia una parabola che i grandi classici, pensate che cos'è per esempio, se volete anche i grandi dell'Ottocento, Dostoevsky, Tolstoi, per fare solo due esempi, sono segnati da questo tormento.
Ebbene, questo tormento ce lo ripropone citando Coelet e citando il libro che non avete scelto, che io pensavo fosse tra quelli vincitori o quasi, cioè Giobbe, e che presenta uno scrittore francese che voi tutti conoscete, Georges Bernanos. Georges Bernanos con il suo, lo conoscete tutti, il diario di un curato di campagna, i dialoghi delle carmelitane, il dramma e così via. Lui scrive un libro minore, che io ho letto con interesse, anche se è un saggio fondamentalmente, è un'aspra requisitoria contro il franchismo, contro la dittatura quindi, in quel periodo, perché lui si era schierato contro il franchismo.
E il titolo è molto suggestivo, I grandi cimiteri sotto la luna, 1938. Georges Bernanos, Bernanos muore nel 1948.
E ascoltate queste sue parole, con le quali vorrei chiudere, perché sono ancora, dicevo, come quelle di Kafka. A tanta gente occorre un certo numero, come è vero questo, di luoghi comuni che ripetono scambievolmente e incessantemente come pappagalli, coi movimenti affettati, gli impettimenti e le strizzatine d'occhio di quell'uccello. Ma non si possono nutrire i pappagalli col vino aromatico inebriante del libro di Giobbe e di Coelet.
Il tema centrale è proprio il Qohelet e "il tempo", titolo: "Non c’è niente di nuovo sotto il sole". L'appuntamento fa parte delle nuove edizioni delle Lectio Petri ed è promosso dal Cortile dei Gentili che collabora con ambienti universitari gregoriani.
Il tema centrale è proprio il Qohelet e "il tempo", titolo: "Non c’è niente di nuovo sotto il sole". L'appuntamento fa parte delle nuove edizioni delle Lectio Petri ed è promosso dal Cortile dei Gentili che collabora con ambienti universitari gregoriani.
Il cardinale Gianfranco Ravasi avvia la sua riflessione sul Qohelet partendo proprio dalle parole celebri che hai riportato: «Vanità delle vanità, dice Qohelet, vanità delle vanità, tutto è vanità...». Ravasi sottolinea come queste parole non siano solo una constatazione esistenziale, ma rappresentino il principio di una lunga indagine critica e spirituale. Il libro di Qohelet si manifesta subito come un testo “scandaloso”, controcorrente rispetto al messaggio prevalente della Bibbia, un luogo dove l’enigma del senso della vita viene espresso con disincanto, quasi provocazione.
Per mettere in risalto la forza di questo spirito, Ravasi avvicina Qohelet a Kafka. Il famoso autore praghese suggeriva che un libro, per essere veramente utile, debba colpirci «come un pugno sulla testa», come qualcosa che ci svegli interiormente. In questo senso, Qohelet è come una “piccozza” che rompe il ghiaccio dentro di noi—un testo che disturba, interroga, non lascia tranquilli.
Ravasi osserva che Qohelet è brevissimo: solo 2987 parole ebraiche suddivise in 12 capitoli, eppure denso di contenuti esistenziali. È il libro biblico dove ricorre più spesso l’“io”; c’è una soggettività che si affaccia 85 volte, in modo quasi inedito nell’Antico Testamento.
Nella sua introduzione, Ravasi presenta le principali chiavi di lettura del libro:
Qohelet come lo scettico, anticipatore degli agnostici moderni, amato dagli autori laici per il suo sguardo sulla precarietà dell’esistenza, ma che resta un credente, seppur distante.
La via di mezzo (laurea mediocritas), vicina agli stoici e agli equilibristi: non esagerare con la giustizia né con la malvagità.
Il “predicatore della gioia”, capace di sette lampi di felicità, che invita a godere dei semplici doni della vita nonostante la sua riconosciuta vacuità.
Infine, secondo Ravasi stesso, il Qohelet è il «libro della crisi»: una crisi profonda della sapienza tradizionale, della capacità antica di interpretare la storia e il cosmo. Sente che le antiche strutture stanno per crollare, mentre il presente appare privo di orizzonte.youtube
Specifica poi Ravasi che il filone principale del primo capitolo è la ciclicità del tempo, presentata con immagini cosmiche e naturali: generazioni che si susseguono, il moto del sole, il vento che gira, i fiumi che scorrono senza mai riempire il mare. Questa visione ciclica viene descritta come non biblica, perché la Bibbia, al contrario, punta sull’“evento nuovo”, su una direzione progettuale della storia, come la promessa dei cieli nuovi e della terra nuova.
Nel cuore del discorso, Ravasi cita anche Borges, affascinato dal Qohelet, e padre Turoldo, che invece ne corregge il pessimismo, spiegando che il mondo non si ripete mai davvero, che “mai la stessa onda si riversa nel mare”.
Infine, il capitolo terzo (celebre litania sul tempo) è letto da Ravasi come una processione di coppie antitetiche (nascere/morire, piangere/ridere, amare/odiare...). Si sottolinea anche la forza simbolica e numerica delle strutture del testo biblico.
Ravasi conclude con una provocazione—il messaggio biblico è escatologico, progettato verso la speranza e la novità, mentre Qohelet offre una palinodia, una visione ironica e pessimistica, che deve però essere accolta come stimolo, come “piccozza” per la nostra interiorità.
Questa intro restituisce le premesse della relazione di Ravasi: la radicalità del testo, l’accostamento con autori inquieti come Kafka, l’enigmaticità e la crisi che Qohelet rappresenta, le varie interpretazioni offerte e il confronto finale con il messaggio biblico orientato alla speranza. Se vuoi, posso aggiungere collegamenti diretti tra queste interpretazioni e altri autori citati (Kafka, Borges, Turoldo).
https://www.youtube.com/watch?v=UaKG1boeOYM