La festa di Tutti i Santi



Contenuto della catechesi 
Carissimi,
nell'autunno dell'ultima stagione, dopo tutte le raccolti, dopo tutte le mietiture avvenute sulla terra, nelle nostre campagne, la Chiesa ci chiede di contemplare la mietitura di tutti i sacrifici viventi offerti a Dio, la messa di tutte le vite consacrate e ritornate al Signore, la raccolta presso Dio di tutti i frutti maturi causati dall'amore e dalla grazia del Signore in mezzo agli uomini.
La festa di tutti i Santi che noi oggi celebriamo è la festa contro la solitudine, contro ogni isolamento che sta nel cuore dell'uomo. Oggi noi dovremmo cantare non siamo soli, siamo una comunione. Oggi dovremmo rinnovare il canto pasquale, perché se a Pasqua contemplavamo il Cristo vivente per sempre alla destra del Padre, oggi, grazie alle energie di resurrezione sprigionate dalla Pasqua, noi contempliamo quelli che sono con Cristo alla destra del Padre, i Santi.
A Pasqua cantavamo che la vita era vivente, risorta. Oggi la Chiesa ci fa cantare che i tralci hanno dato il loro frutto, che i tralci mondati e potati dal Padre sulla vita che è Cristo hanno portato una vendemmia abbondante e che questi grappoli, questi frutti della vita, sono insieme un unico vino, quello del Regno di Dio.
Se non ci fossero i Santi, se noi non credessimo alla comunione dei Santi del Cielo e della Terra, saremmo chiusi in una solitudine disperata e disperante. Non è certo un caso che il Credo ci faccia dire nella nostra confessione di fede non solo credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, ma anche credo la Chiesa, credo la comunione dei Santi, la remissione dei peccati e la vita eterna.
Gesù è venuto perché gli uomini, fatti sue pecore, abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. È venuto per stare con noi quale fratello, ma anche per portarci là dove è Lui. Dove sono io voglio che sia anche il mio servo. Non l'ha chiesto solo al Padre, ha detto io voglio, con un atto di volontà efficace. Ecco, noi oggi contempliamo questo mistero.
I morti con Cristo, in Cristo e per Cristo sono con Lui viventi, sono una comunione di Santi. E poiché noi siamo membra del corpo di Cristo ed essi membra gloriose del corpo glorioso del Signore, noi siamo in comunione gli uni con gli altri, Chiesa pellegrinante con Chiesa celeste, insieme per guidarci alla comprensione del grande mistero della communicante sinunum atque venerante sinprimis.
L'unità delle tre letture è evidente. Nell'Apocalisse contempliamo i Santi della Gerusalemme celeste attorno al trono, attorno all'agnello diventato pastore, i redenti della terra. Nella seconda lettura Giovanni proclama che noi già qui e ora siamo realmente figli di Dio. Infine nell'Evangelo c'è la parola di Gesù che dichiara beati, cioè pieni della gioia di Dio, i seguaci dell'agnello, quelli che sono simili a Gesù.
Ma comprendiamo il messaggio in modo più preciso in obbedienza alla scrittura. Giovanni il contemplativo in Apocalisse 7.1 vede un angelo che sale dall'oriente, un angelo che spunta da dove è sorto il sole che ci ha visitati, un angelo che tiene in mano il sigillo del Dio vivente. A partire dal capitolo sesto dell'Apocalisse per Giovanni sta ormai avvenendo un nuovo esodo, l'esodo messianico e definitivo. Ecco allora perché egli cerca di risalire a quello che è stato il primo esodo, l'esodo dall'Egitto.
Come nel primo esodo le case degli ebrei nella terra di schiavitù che era l'Egitto erano state marcate da un segno che le preservava al passaggio del flagello, così ora nell'esodo finale gli eletti, coloro che devono diventare proprietà di Dio, il suo tesoro particolare, la gente santa, il popolo di re e sacerdoti, devono essere segnati con il sigillo in quella terra di schiavitù che è il mondo. Dunque il grande sfondo di questa scena è quella dell'esodo.Ma c'è anche uno sfondo e un contesto di giudizio come appare dalla figura dell'angelo che segna, che appone il sigillo e che ricorda l'angelo della profezia di Ezechiele. In Ezechiele 7, 1, 10 c'è l'annunzio della fine. È la fine. Si tratta di un vero e proprio grido che insiste sulla fine ormai prossima, ormai vicina e che per Ezechiele è la fine di Gerusalemme, della città santa. Ora figlio dell'uomo riferisci, la fine. Giunge la fine per i quattro punti cardinali del paese. E poi ancora i versetti 5 e 6, così dice il Signore, sventura su sventura, ecco arriva, viene la fine. La fine viene su di te, ecco viene.
In Ezechiele 9, 4 il castigo è ormai ineluttabile. E allora ecco qui l'angelo che passa a segnare con un segno quelli che sono gli eletti. Dunque un contesto di esodo, ma per Giovanni anche un contesto di giudizio e di giudizio finale. Così avviene un censimento che inizia dalla casa di Dio, dal popolo di Israele costituito nelle sue dodici tribù a partire dalla tribù di Giuda, che è la tribù di Davide, la tribù del Messia. I segnati in Israele sono dodicimila per tribù, cioè una quantità piena ed immensa, dodici per mille. Sono i santi dell'antica alleanza, tutti figli di Israele santi, quelli che per fede morirono attendendo e intravedendo il Cristo e quindi morirono intravedendo e attendendo la Gerusalemme futura, di cui Dio è l'architetto e il costruttore.
È molto importante leggere questo testo dell'Apocalisse tenendo presente la lettera agli ebrei e di essa soprattutto il brano già letto parzialmente durante i vespri. I segnati che vengono dalle dodici tribù d'Israele sono i santi, ma significativamente quei santi che non conseguirono la promessa, come dice con forza l'autore della lettera agli ebrei. Essi non conseguirono la promessa. Ebrei 11,39 Sono i santi di cui si parla il capitolo primo della lettera agli ebrei, ma che ora e soltanto ora che l'agnello è sgozzato e risorto, ora ottengono la perfezione, ma insieme al popolo della nuova alleanza, nell'esodo messianico e definitivo.
Ecco perché con loro ci sono i nuovi segnati, non appartenenti ad Israele, una moltitudine immensa, dice Giovanni, che nessuno poteva numerare, una moltitudine ancora più grande di quella di Israele, ben più di 144.000, che ancora sotto il segno del contenimento. Questi sono una grande, immensa folla appartenente a ogni popolo, razza, lingua, nazione. Questa turba immensa è il popolo della nuova alleanza, i venuti dall'Oriente e dall'Occidente per entrare nel regno di Dio, secondo la parola di Gesù. Sono i santi provenienti dalle genti, dalla Ecclesia ex Gentibus, che con la sinagoga santa, i 144.000, stanno ormai davanti all'agnello.
Ma se i 144.000 hanno ottenuto la salvezza, è stato soltanto per noi. Senza di noi essi restavano come coloro che attendevano e non come coloro che conseguivano la promessa. Ecco allora che attorno all'agnello c'è l'unità dei due popoli, i santi della prima e della nuova alleanza, tutti purificati in bianche vesti, con le palme del trionfo in mano. Più avanti l'Apocalisse dirà che questa moltitudine in bianche vesti canta il cantico nuovo, il canto dell'esodo definitivo, parallelo al cantico nuovo di Mosè, innalzato dal popolo di Dio nel primo esodo, parallelo a quel cantico nuovo che il Deutero Isaia chiedeva al popolo di cantare al momento del secondo esodo, dell'uscita da Babilonia.
Lo sfondo dunque è quello dell'esodo, è quello del giudizio, ma è anche quello della celebrazione autunnale della festa dello Sukkot, delle tende. In questa festa autunnale dei raccolti si ricordava la costituzione di Israele in popolo eletto, in tesoro particolare, in popolo sacerdotale regale. E per questo si dimorava nelle tende, come nel deserto, quando Dio era in mezzo al suo popolo con tutta lasua forza, con tutto il suo braccio disteso. Anche durante questa festa Israele portava rami di palme in mano e adorava il Signore come re, che estende il suo dominio sull'intero universo. Ma ora per Giovanni, re dei re e Signore dei Signori, è l'agnello. Attorno sta l'assemblea gioiosa per dire l'Amen definitivo, eterno, in un vero e proprio atto sacerdotale. Dire l'Amen a Dio. E l'agnello che in mezzo a loro li porta alle fonti delle acque, non solo più all'acqua del deserto come aveva fatto Mosè, ma all'acqua della vita.
Dissetati da quest'acqua gli eletti non hanno più sete, mentre nel deserto gli ebrei patirono la sete. Non hanno più fame, a differenza degli ebrei che nel deserto soffrirono la fame. Non piangono più e non ripetono i pianti e i lamenti reiterati dall'Israele del deserto nei quarant'anni dell'Esodo. Ma soprattutto non tentano più Dio, non si ribellano più, come invece si ribellarono gli israeliti nel deserto a Masse e Meriba. Quella tentazione espressa nel tragico dubbio, Dio è in mezzo a noi, sì o no, di Esodo 17, 7, la grande tentazione dei credenti appena salvati da Dio è finita.
Perché è finito il tentatore, l'accusatore è stato precipitato e gli eletti sanno che Dio è in mezzo a loro e ne riconoscono la presenza in un agnello immolato, ma risorto e diventato costituito pastore. La grande tentazione, Dio è in mezzo a noi, sì o no, non è più operante. Perché questi eletti sono i figli della nuova alleanza, con la legge scritta nei cuori, non più sulla pietra, secondo la promessa di Geremia 31, 31.
E se costoro hanno pianto nel deserto del mondo, ora Dio asciuga le lacrime sui loro occhi. Se hanno avuto fame, ora sono saziati, se hanno avuto sete, ora sono colmati dall'acqua della vita. La visione che Giovanni qui ci presenta è una testimonianza. I padri della Chiesa, a partire da Gregorio di Nazianzo, hanno mirabilmente commentato questa pagina, dicendo che è possibile al credente un dialogo con i Santi, così come Giovanni dialoga con il Vegliardo.
E Gregorio di Nazianzo dice che questo Vegliardo, che è uno dei dodici Vegliardi della nuova alleanza, è il fratello di Giovanni, cioè Giacomo, già ucciso di spada da Erode, secondo la testimonianza di Atti 12, 2. Si tratta dunque di un apostolo già in cielo. Giacomo si rivolge a Giovanni per tessere un dialogo, per partecipare ad un'unica rivelazione. E Giovanni gli arriva a dire, tu sai chi sono costoro vestiti di bianco? E Giovanni testimonia:
- Sono coloro che sono passati attraverso la grande clipsis, la grande prova, fino a lavare le proprie vesti nel sangue dell'agnello.
- Sono davvero gli immolati con il Signore immolato, offerti con Gesù offerto al Padre, fatti vittima con la vittima e purificati nel sangue di Lui.
- Ora sono nella tenda, o meglio sotto lo shekinah di Dio.
- Sono nella dimora di Dio, il nuovo tempio, non più quello costruito da Mosè, ma una nuova tenda non fatta da mani d'uomo, dove Cristo è entrato per sempre con il suo sangue, la nuova dimora della nuova alleanza.
Sì, in questa pagina di Apocalisse noi assistiamo a un nuovo esodo, quello messianico e definitivo, che culmina in una nuova festa di Sukkot, la festa delle dimore eterne, le dimore datesi da Dio, preparatesi da Gesù. Io vado a prepararvi una dimora, poi tornerò da voi. Nella casa di mio Padre ci sono molte dimore.
Ecco i santi che oggi festeggiamo, santi cui noi possiamo parlare come Giovanni e Giacomo, santi che vivono attorno all'agnello, santi gloriosi, santi che vengono dall'Israele santo e dalla Chiesa che siamo noi, dalle genti di tutti i popoli. Per questo c'è la festa dei santi, è la festa non di uno solo, ma di tutti, e soprattutto di quelli che non hanno nome per noi, ma che hanno un nome per Dio, di fronte a Lui e sono da Lui conosciuti.
È importante che la Chiesa voglia oggi ricordarli con questa festa, perchénoi oggi dobbiamo chiederci chi si è accorto di loro sulla terra. Santi senza nome, santi che nel mondo sono sembrati presenti. Santi senza nome, santi che nel mondo son sembrati presenze inutili, santi che nel mondo son stati creduti dei peccatori, santi di cui gli uomini non si sono accorti. Sono i santi che han portato silenziosamente quel sigillo sulla fronte che noi non abbiamo saputo vedere, il segno del figlio dell'uomo, che poi il segno della croce.
E noi vogliamo proprio ricordare i vari santi, quelli che non hanno avuto l'aureola della canonizzazione, della santità ufficiale, ma che agli occhi di Dio sono santi e tutti quanti sono partecipi della sua vita. Ecco perché in questa festa noi siamo invitati a pensare a uomini e donne come noi, carichi di debolezze, di infermità e anche di peccato, ma che tuttavia sono santi perché hanno avuto la forza di sentirsi impotenti e incapaci a farsi santi e con costante perseveranza hanno sempre gridato a Dio giorno e notte che Lui li facesse santi. Hanno soltanto cercato di vivere nell'amore e nella misericordia e hanno ottenuto misericordia perché sono stati giudicati sull'amore con cui hanno vissuto.
Questa è la turba immensa di chi è passato di qui facendo il bene senza essere visto, senza orgoglio spirituale umano, senza disprezzare gli altri, ma pregando per tutti e soprattutto sentendosi più peccatore degli altri. Già di qui, e noi e i nostri padri non ce ne siamo accorti, molti di loro spandevano benedizione, aumentando la grazia degli altri, facevano comunione perché non erano divise e non erano volenterosi di dividere. Già qui tessevano quella comunione dei santi che ora vivono in pienezza presso il Padre. Erano già qui i figli di Dio.
E così si apre la nostra contemplazione sulla seconda lettura, in cui Giovanni afferma che noi siamo realmente figli di Dio e lo siamo già qui, già ora, già adesso. Certo, questa nostra qualità sarà rivelata nell'Apocalisse, alla fine, quando noi saremo nella condizione che l'Apocalisse intravede nel capitolo settimo. Ma già ora l'esser figli di Dio è una qualità reale, frutto dell'amore di Dio per noi. Noi siamo i figli di Dio, anzi in Cristo noi siamo il figlio stesso di Dio, perché siamo trasportati dalla nostra vita di fede nello spazio della triunità di Dio, nella vita divina senza fine, nella pericoresi dell'amore trinitario.
Certo, il mondo non conosce i figli di Dio, dice Giovanni, anzi normalmente li disprezza, li osteggia, li perseguita. In ogni caso, comunque e sempre, non ne tiene alcun conto. Ma questo avviene perché il mondo, cioè la mondanità vissuta dagli uomini, non ha conosciuto e non conosce Dio. Non ha conosciuto e non conosce il Cristo. Noi a volte ci meravigliamo del mondo che non si applaude, del mondo che non si riconosce, o ci meravigliamo che non ci riconoscano magari fratelli e le sorelle con cui viviamo e cui siamo legati anche da uno stesso ministero. Ma questa è una verità elementare, insegnata da tutto il Nuovo Testamento.
Come potrebbe la mondanità degli uomini pagani che non ha conosciuto Dio, come potrebbe la mondanità religiosa dei giudei che non ha accolto il verbo fino a ucciderlo, come potrebbe accogliere noi che non possediamo la luce e la potenza di Dio e della parola. È vero che Gesù ci ha detto voi siete la luce del mondo, ma se lo siamo, lo siamo per partecipazione al Cristo, perché Lui solo è la luce del mondo. Certo, le opere dipendono dalla fede, ma ci vuole una fede forte in Cristo e conservare questa speranza di vederlo così come Egli è. Se c'è questa fede, è una purifica se stesso.
I santi non sono coloro che non hanno peccato, sono coloro che hanno saputo vivere di questa fede e mantenerla. Il santo è colui che, se anche ha peccato, sa dire con tutti i santi misericordias tuas, Domine, in eternum cantabo. Canterò le tue misericordie, Signore, in eterno, anche all'inferno. E questo è già un germe del cantico nuovo che fanno tutti i santi intorno a Lui.
E ora, nella consapevolezza di essere uniti alla Gerusalemme celeste, proprio perché crediamo alla comunione dei santi, cantiamo le litagnie maggiore dei santi. Siano davveroun segno del nostro credo alla comunione dei santi. Siano una partecipazione a questa festa, che è la festa contro ogni solitudine.
Ieri.

Meditazione
Padre Enzo Bianchi

Recita
Don Franco Mastrolonardo

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