In tre quarti d'ora affrontare l'argomento della figura di Dio nel Coelet è presuntuoso, quindi vi darò un antipasto e poi toccherà a voi approfondire la questione. Avete già avuto due ottime introduzioni al libro del Coelet, domani avrete un seguito con il rapporto col Nuovo Testamento fatto da Ludwig.
Prima di parlare del Dio del Coelet, una premessa, perché il Coelet ha avuto tante interpretazioni, l'avete già sentite. Io non dico che ho trovato quella che a me pare quella buona, però siccome la propongo un'idea me la sono fatta. E se dovessi dire in due parole qual è il succo del testo, intanto il metodo che il Coelet usa è un metodo empirico, ho cercato e ho esplorato, ho visto. Quindi il Coelet parte da un'analisi della realtà, che sarebbe già un messaggio fondamentale perché noi non sappiamo analizzare la realtà, non la sappiamo più leggere.
Da quest'analisi il Coelet ricava tre elementi:
1. Polo negativo: la parte negativa di quest'analisi, tutto è un soffio. Erroneamente tradotto con vanità, ma è una cosa che il Coelet non ha mai detto, gliel'hanno fatta dire, tutto è un soffio. Quindi la morte porta via tutto e dopo la morte non c'è niente e chissà se chi verrà dopo di noi sarà stupido, intelligente, questo è il polo negativo. Vale la pena di impegnarsi, di lavorare tanto, tutto è un soffio e un inseguire il vento.
2. Polo positivo: la gioia, riscoperta di recente nel Coelet, è buffo perché la Bibbia a volte ce l'abbiamo sotto il naso ma non si riesce a leggerla, eppure è lì. La gioia, una gioia se volete limitata, semplice, mangiare, bere, godersi la vita con la donna che si ama, questo evidentemente il Coelet lo dice agli uomini, oggi bisognerebbe rivolgerlo anche alle donne, ma comunque godersi la vita con la persona che si ama. Una gioia molto semplice.
3. Figura di Dio: c'è un terzo punto, spesso ignorato dai commentatori, perché o ci si ferma sul Coelet pessimista o su quello ottimista, nell'uno e nell'altro caso si va fuoristrada, perché il Coelet non è nell'uno e nell'altro, è casomai un realista e quindi è diversa la faccenda. C'è un quarto punto, o se volete la terza cosa che il Coelet scopre col suo metodo, il polo negativo, tutto è un soffio, il polo positivo, cioè la gioia, e il terzo punto è la figura di Dio. Solo parlando del Dio del Coelet si può capire chi è il Coelet. Se non mettete l'accento qui vi perdete per la strada. Questo è proprio il punto che unisce il negativo col positivo, la figura di Dio.
Dunque, una pura statistica. Il Coelet è l'unico libro della Bibbia ebraica insieme a quello di Esther dove non appare mai il nome di Dio, Yahweh, Adonai, il tetragramma. Non lo trovate. Quindi già qui c'è un'assenza. Quando Coelet parla di Dio usa solo il generico nome ebraico Elohim, che significa semplicemente Dio. E spesso anche con l'articolo Ha Elohim, il Dio, che qualcuno traduce la divinità. Quindi il nome di Dio nel libro non c'è. E questo termine Elohim, Dio, compare nel libro, a parte due volte nell'epilogo, ma l'epilogo l'ha scritto qualcun altro dopo il Coelet, compare nel libro, cioè fino a 12.8, 38 volte in tutto, in 12 capitoli, quindi sono più di tre ricorrenze a capitolo. Questo è già interessante. E il termine chiave del libro, Hevel, il soffio, compare nel libro 38 volte. A mio parere la cosa non è casuale. Dunque, tante volte tutto è un soffio, tante volte il Coelet parla invece di Dio. Questo è un puro dato statistico, inconfutabile perchéè una questione di numeri. Un altro dato statistico sono le assenze. Il tetragramma Yahweh Adonai non c'è nel libro, quindi il Dio dell'Esodo, il Dio di Israele non c'è, c'è Dio in maniera così generica. Non appaiono mai i nomi dei grandi personaggi di Israele, Abramo, Isacco, Giacobbe, il Dio dei padri. Non appare il vocabolario della benedizione. Pensate, la radice barach, benedire, compare nella Bibbia ebraica 327 volte, nel Kohelet mai, nemmeno una volta. Il verbo salvare, yashad, da cui Gesù, Yeshua, 205 volte in tutta la Bibbia ebraica, nel Kohelet mai. Il termine classico dell'amore, chesed, l'amore, quello dei salmi, lodate il Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre, il termine straclassico per indicare l'amore, 245 volte nella Bibbia ebraica, nel Kohelet mai. Il termine sacerdote, Kohen, 750 volte nella Bibbia ebraica, nel Kohelet mai. E si potrebbe continuare, quindi c'è una lista di assenze che sorprendono. Il vocabolario della salvezza, della benedizione, del culto, nel Kohelet non c'è.
Un'altra cosa, Dio nel Kohelet non parla mai, non apre bocca. Questa non è una novità perché non è l'unico libro della Bibbia in cui Dio non parla, ma noi siamo abituati ai profeti dove Dio parla continuamente, o l'Esodo, la Genesi, dove Dio continuamente parla, nel Kohelet no. Si parla di Lui, ma non è Lui che parla. E con una sola eccezione, di Dio si parla sempre in terza persona, Lui. Una sola eccezione la vedremo in Kohelet 12.1, ricordati del tuo Creatore. Questa è l'unica volta in cui appare il possessivo a proposito di Dio e l'unica volta in cui appare il termine Creatore.
Ora su questa base, molti autori, vi risparmio la lista perché è lunga, hanno detto che il Kohelet è un ateo oppure che il suo Dio non è il Dio della Bibbia. Nella migliore delle ipotesi è un Deus absconditus, cioè c'è però. Queste sono opinioni abbastanza frequenti nei commentatori, anzi sono dal punto di vista numerico quelle senz'altro prevalenti.
Un esempio di un autore che non accetto il sospetto di essere poco devoto. Tutti avete sentito parlare di David Maria Turol do e non ha bisogno di presentazioni, grazie a Dio. Nei suoi canti ultimi, forse ricorderete Turol do morì di un tumore allo stomaco e prima di morire scrisse i canti ultimi che sono poesie sul Kohelet. Nella prefazione a questi canti ultimi, Turol do dice che il Signore ha voluto che nella Bibbia ci fosse anche il libro di un solo vero ateo, il Kohelet. E lo dice apertamente, Kohelet è un ateo. Però è nella Bibbia e questo dice apre diverse porte. Questo è Turol do.
Ci sono dei motivi per affermare questo, non solo le assenze di Dio, ma anche testi che mettano un po' in crisi. Ne leggo uno che passa inosservato perché la nostra spesso pochissima conoscenza della Bibbia ci porta uno a non leggerla e due quando la leggiamo a non farci attenzione perché non abbiamo memoria biblica. Sarebbe interessante parlando ai religiosi e alle religiose ricordare Sant'Antonio Abate, il fondatore del monachesimo, che accettava come novizi solo quelli che sapevano a memoria i quattro Vangeli. Quindi provate con le suore, no? Anche con i preti, evidentemente. La nuova suora per entrare nel noviziato deve sapere a mente i quattro Vangeli, poi cominciamo a ragionare. Il resto della Bibbia, evidentemente, ma cominciamo almeno dai Vangeli a mente. Il problema è che non lo sappiamo, ma nemmeno i quattro Vangeli, per cui un testo non ce l'abbiamo in mente e quindi ci resta molto difficile leggere la Bibbia perché semplicemente non la leggiamo. Oppure così nella liturgia, ma nella liturgia c'entra da un orecchio e esce da un altro e poi la liturgia è tutto un taglia e cuci e quindi alla fine perdiamo di vista l'insieme.
Allora, provo a leggere l'inizio del capitolo 4, solo il primo versetto. D'ora in poi uso una traduzione personale perché ho il vizio dei professori universitari che non sono contenti finché non hanno fatto la loro traduzione,quella ufficiale non gli va bene. E come dico ai miei studenti se non vi va bene la mia fatene una vostra e allora ragioniamo, no? Allora stanno subito zitti. Mi volsi poi a guardare tutte le oppressioni che si compiono sotto il sole ed ecco c'è il pianto degli oppressi e non c'è chi li consoli. C'è da parte degli oppressori la violenza e non c'è chi li consoli. Allora ho proclamato felici i morti perché sono già morti più dei vivi perché quelli sono ancora vivi ma più felice degli uni e degli altri è chi non è ancora nato perché non ha visto tutte le cose malvagie che si compiono sotto il sole. Questa frase ripetuta due volte e non c'è chi li consoli in ebraico ve'en lahem menachem e non c'è un consolatore menachem è anche un nome in ebraico un consolatore. È una frase che si ripete con la stessa grammatica nel libro delle lamentazioni. Gerusalemme è stata distrutta e non c'è chi li consoli. Se avete mai letto le lamentazioni lì in riferimento all'esilio.
Ma che vuol dire non c'è chi li consoli? Pensate al capitolo 40 di Isaia che leggiamo ad ogni avvento che la chiesa ci mette davanti l'inizio dell'avvento. Consolate, consolate il mio popolo dice il vostro Dio. Leggetelo in ebraico. Nachamu, nachamu et ammì. Consolate, lo stesso verbo. Ora non c'è un consolatore. Significa non c'è Dio. Dio non c'è. Dov'è Dio? Non c'è. Dov'è il consolatore? Non c'è. C'è la violenza dei malvagi. Il mondo è sommerso dalla violenza. E dov'è il consolatore? Se uno si ferma qui il testo è chiaro.
Quindi è l'argomento di Tommaso d'Aquino. Se avete aperto la summa Tommaso non era un cretino. Nella seconda questio della summa prima di parlare di Dio Tommaso deve risolvere qualche piccola obiezione preliminare. E scrive nella summa Videtur quod est malum in mondo ergo Deus non est. Questo si capisce anche senza tradurlo. C'è il male nel mondo dunque non c'è Dio. Risolvetemi questo piccolo problema. Tommaso se la cava perché ricorre filosoficamente ad Agostino e definisce il male come privatio boni la privazione del bene. Quindi il male non esiste perché è il bene che non c'è. Dunque non si può dire malum est perché è un nonsenso logico. Non c'è il bene bisognerebbe dire. Quindi l'argomento cade ma diventa un po' filosofica la faccenda. Ma non è questo il coelet. Il coelet non entra in questo tipo di discussione.
Quindi in apparenza coelet sente Dio lontano. Ma vediamo più esattamente. Se andiamo a esaminare i testi in cui il coelet parla di Dio ci accorgiamo che le cose non stanno così. Il coelet è molto semplice. Quando parla di Dio usa principalmente due verbi:
- il verbo dare, natam in ebraico che è anche il nome di un profeta,
- e il verbo fare.
Per undici volte il coelet parla di Dio che dà e per sette volte di Dio che fa. In due casi il coelet parla del giudizio di Dio, vedremo, in un caso del tuo creatore e in quattro casi dell'atteggiamento, l'unico atteggiamento che l'uomo può avere per Dio, che è il temere Dio. Questa è la sintesi a livello proprio lessicale della teologia del coelet. Dunque un Dio che fa, un Dio che dà, un Dio che giudica, ma vedremo come, un Dio che crea, un Dio che deve essere temuto. Questa è la sintesi di quello che potrebbe essere il capitolo di un libro.
Allora cos'è che Dio dà? Prima di tutto Dio dà all'uomo la vita, anche se questa vita è evidentemente breve ed è una vita che passa via anche troppo presto, però questa vita per il coelet è un dono di Dio. Guardate ad esempio un testo sulla gioia che forse avete già letto, 8.15. Allora io approvo la gioia, perché non c'è niente di meglio per l'essere umano sottoil sole se non mangiare, bere e darsi alla gioia. È questo il bene che lo accompagna nelle sue fatiche nei giorni di vita che Dio gli dà sotto il sole. Quindi Dio dà all'essere umano la vita. Di questo Kohelet è profondamente convinto, la vita viene da Dio e a Dio ritorna.
Il libro del Kohelet termina con una frase che da un lato è tragica, dall'altro è bellissima. Immagina la morte dell'uomo come uno spezzarsi di un filo, una brocca che si rompe, capitolo 12, versetto 6. Prima che si spezzi il filo d'argento e si rompa la lampada d'oro e si infranga la brocca sulla fonte e si schianti la carrucola nel pozzo e ritorni la polvere alla terra così come era prima e il soffio vitale ritorni a Dio che lo ha dato. Dunque c'è un venire da Dio e un tornare a Dio. Non guardateci troppe cose in questo soffio vitale che ritorna a Dio. Non è l'anima il soffio vitale come noi siamo quasi naturalmente portati a intendere. È la vita che Dio dà e a Dio ritorna. Ma se questa vita viene da Dio e a Dio ritorna, forse allora non è proprio tutto un soffio. Perché c'è comunque un creatore che al di sopra di questa vita così fugace.
E poi un'altra cosa Dio ha dato all'uomo, la vita, e poi ha dato il compito di cercare e di capire il senso di questa vita. Un compito difficile, dice il Coelet, questo è il testo di 1.13. Allora mi sono sforzato di cercare ed esplorare con sapienza tutto ciò che si fa sotto il cielo e questo è un brutto lavoro che Dio ha dato agli esseri umani perché si affannino in esso. Brutto lavoro perché il primo risultato di questo lavoro è negativo, tutto è un soffio. Però Dio ha dato all'uomo il compito di cercare ed esplorare.
Quindi Dio dà all'uomo, all'essere umano, un compito preciso, cerca. La sapienza biblica è un'intera ricerca dall'inizio alla fine. Noi cristiani siamo troppo abituati alle certezze, ai dogmi di fede, ai pensieri chiari e distinti di cartesiana memoria. Ma la fede è un'altra cosa, la fede è un cammino di ricerca. E Coelet l'aveva capito. Cercare ed esplorare può essere un brutto lavoro, ma è il compito che Dio ha dato all'uomo.
E Coelet lo ripete in modo più positivo più avanti al capitolo 10, al capitolo 3, versetto 10. Stessa cosa, ma in maniera più positiva. Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli esseri umani perché si affannino in essa. Egli ha fatto bella ogni cosa al tempo opportuno. Ha posto anche nel loro cuore il mistero del tempo, senza però che essi riescano a comprendere l'opera che Dio ha compiuto da cima a fondo. Dunque Dio ha dato all'uomo il compito di cercare e ha messo nel cuore dell'uomo un senso del tempo, misterioso se vuoi, ma reale. Quindi l'uomo sa che c'è qualcosa per cui vale la pena di cercare, anche se non riesce a capirlo. Qui cominciate a capire che lo scarto non è un problema di Dio, è un problema dell'uomo. Dunque il problema per il Kohelet non è Dio, è l'uomo che non riesce a capire tutto pur sforzandosi di farlo.
E poi Dio dà all'uomo un'altra cosa. Dunque la vita, il compito di cercare e poi soprattutto per tre volte nel libro dà all'uomo la gioia. Pur limitata, ma Dio la dà all'uomo. Questo l'avete già probabilmente letto, ma basterebbe rileggere il capitolo 3, versetto 13.
Ma ogni essere umano che mangi o che beva o si goda il benessere per tutta la sua fatica, anche questo è dono di Dio. In ebraico mat tat Elohim. Mat ta è un nome che conoscete, Matteo, Mattia, Mattatia. Dono, Matteo, dono del Signore, Mattia, dono del Signore. Dunque dono di Dio. Dono di Dio che cosa? Il mangiare, bere, godersi la vita. Quindi Dio dà all'uomo questa gioia, limitata quanto si vuole, ma reale e comunque viene da Dio. Questo è il punto.
Il problema è che l'uomo spesso pretende la gioia o la insegue con le sue forze. E inveceil Kohelet dice la gioia esiste ma è un dono, quindi si riceve. Non si cerca di averla per forza, se tu cerchi di averla ti scappa di mano, se tu la cogli da Dio diventa reale. Questo è il dare di Dio. Dunque, lo ripeto ancora, la vita, il compito di cercare ed esplorare il senso della vita è la gioia.
Sono in tutto questi sul dare undici testi, se uno li conta tutti. Non li ho detti tutti naturalmente. Poi per sette volte, Coelet parla del fare di Dio. Dio cosa fa? Partiamo da un testo della fine del libro che è emblematico, il capitolo 11, versetto 5, dove Coelet fa un paragone straordinario, un testo poco noto.
Come tu non sai per quale via lo spirito vitale entri nelle ossa nell'utero della donna incinta, così tu non sai qual è l'opera di Dio che fa tutto. Quindi cos'è l'opera di Dio che fa tutto? È analoga al crescere del feto nell'utero materno. È un'opera creatrice, positiva. Questo è un paragone assolutamente positivo. Nessuno nel mondo antico poteva pensare che la crescita di un bambino è negativa. Oggi magari sì, ma allora certamente no.
Dunque l'agire di Dio è un agire creatore che dà vita, che fa tutto. Dio dunque è una persona che fa tutto, ma lo fa bene. E questo Coelet lo aveva già detto nel testo che ho letto prima, l'ho appena letto, quello di 3.10.11, lo rileggo ancora, l'ho appena letto un minuto fa.
Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli esseri umani perché si affannino in essa. Egli ha fatto bella ogni cosa al tempo opportuno. Dunque questo non è un testo di un pessimista, chiaramente. È il testo di un credente che sa che comunque c'è un tempo per ogni cosa e questo tempo Dio lo conosce. E quindi Dio ha fatto bella ogni cosa al tempo opportuno.
Il problema qual è? Il problema è che l'uomo non riesce a valutare il criterio dell'agire divino. Questo è un tema in realtà biblico perché basterebbe pensare a Isaia 55, testo notissimo perché è la quinta lettura della veglia pasquale, tutti i cristiani lo conoscono, quando Isaia scrive:
- Le mie vie non sono le vostre vie, oracolo del Signore.
- I miei pensieri non sono i vostri pensieri, tanto il cielo sovrasta la terra quanto le mie vie sovrastano le vostre vie, eccetera.
Quindi già il mondo ebraico ben conosce che c'è uno scarto tra quello che noi crediamo di sapere e quello che invece Dio veramente è. Ma Coelet radicalizza questo scarto e lo applica al fare di Dio. È un testo molto interessante, 7.13.14. È interessante perché, sapete, è il primo testo del Coelet che trovo citato in un testo papale.
Io sono andato a guardare anche sul sito del Vaticano per vedere quante volte i papi nei loro documenti citano il Coelet. Mai. Ma nemmeno Benedetto XVI che citava aiosa. Si troverete qualche citazione qua e là in margine, ma un bel testo citato e commentato non esiste. Un po' come il Cantico dei Cantici, sono quei testi ignorati per tante ragioni.
L'uscita nella Moris Letizia, Papa Francesco, Coelet 7.14, l'uscita per esteso. E questo è particolarmente interessante. Potrei anche dire che so chi gliel'ha suggerito, perché conosco quelli della Pontificia Commissione Biblica, ma questo è un altro capitolo. O perlomeno ipotizzo chi glielo ha suggerito.
Ma a parte questo, leggo il testo. Vedi l'opera di Dio? Chi può raddrizzare ciò che Egli ha fatto storto? Nel giorno felice sta felice, nel giorno triste guarda. Dio ha fatto questo al pari di quello perché l'essere umano non possa trovare nulla di ciò che sarà dietro di lui. Questo è un testo bellissimo. Dunque, se Dio ha fatto qualcosa che a te pare storto, chi sei tu per dire cheè storto? In altre parole, non applicare a Dio i criteri umani. Non è giudicabile come giudicheremmo le nostre azioni, che è l'errore classico che facciamo noi, no? Dio dovrebbe fare così, no? E ci sono quelli che danno lezioni anche al Padre Eterno. Dio dovrebbe fare così e quindi se non lo fa non è Dio.
E il Coelet dice: guarda l'opera di Dio, lascia pedere se è storta o diritta, come sembra a te, perché ovviamente dal punto di vista dell'uomo. Nel giorno felice sta felice, nel giorno triste guarda, rifletti, vedi. Dio ha fatto questo e quello perché l'essere umano non possa trovare nulla di ciò che sarà dietro di lui. Dunque il fatto che nel mondo ci siano contraddizioni, dice il Coelet, è un modo per farti capire che tu non hai capito, che tu sei una creatura e dunque non pretendere di poter capire tutto. Se c'è un difetto non è in Dio, è nella comprensione dell'uomo.
E questo Coelet lo ripete una seconda volta in un altro testo del capitolo 8, 8, 16 e 17, sempre sul fare di Dio. Quando ho dato il mio cuore a conoscere la sapienza e a vedere l'affannosa occupazione che si compie sulla terra perché né di giorno né di notte i suoi occhi vedono il sonno, ho visto anche tutta l'opera di Dio. Che cioè l'essere umano non può trovare tutta l'opera che si compie sotto il sole. Tuttavia l'umanità si affanna a cercare ma senza trovare. Anche se il saggio dicesse di sapere, neppure lui potrà trovare. Quindi c'è un fare di Dio che è assolutamente reale ma per quanto l'uomo si affanni non può arrivare a capire tutto l'insieme del fare di Dio. Però Dio fa nel Coelet, non è affatto un Dio assente.
E poi ricordate che il testo che ho letto all'inizio, 11.5, Dio fa tutto come la crescita dell'embrione. Questo per quanto riguarda il fare.
Due volte il Coelet parla del giudizio di Dio e qui il discorso cambia. Perché quando noi pensiamo al giudizio di Dio pensiamo a Dio che manda i fulmini, che giudica, che condanna l'empio, il malvagio, eccetera. Il Coelet due volte parla del giudizio di Dio. La prima volta in senso ironico. Sentite il testo. Coelet 3.16: Ancora ho visto sotto il sole. Al posto del diritto là c'è il delitto. Al posto della giustizia là c'è la malvagità. Mi sono detto: il giusto e il malvagio li giudicherà Dio perché c'è un tempo opportuno per ogni faccenda e per ogni azione. Là, là significa nell'altra vita. Mi sono detto a proposito dei figli dell'uomo che Dio li distingue per far vedere che essi, guardate come li distingue, per far vedere che essi di per sé non sono altro che bestie. Infatti la sorte dei figli dell'uomo è come la sorte delle bestie. C'è una medesima sorte per loro. Come muoiono quelli così muoiono queste. Uguale per tutti il soffio vitale. Non c'è superiorità dell'essere umano sulle bestie perché tutto è un soffio. Tutti vanno nello stesso posto. Dalla polvere tutto è venuto. Alla polvere tutto ritorna. E chissà se il soffio vitale degli esseri umani vada in alto mentre il soffio vitale delle bestie scenda in basso verso terra.
Quindi il giudizio di Dio, dice il Coelet, bah, ci sarà anche ma non si vede. Quindi Coelet, e questo è veramente forte, non si basa sul fatto che Dio giudicherà questo e quello in un'altra vita, in un'altra dimensione. Coelet dice: se anche fosse noi non lo sappiamo. E anzi l'esperienza ci insegna che l'uomo dal punto di vista della vita fisica è come le altre bestie. Muoiono tutti allo stesso modo. Questo è un testo talmente forte che quando i rabbini misero le vocali al testo consonantico, per chi di voi lo sa, il testo consonantico ebraico viene prima di quello vocalizzato, quello vocalizzato è di epoca cristiana, cambiarono le vocali di questo testo per far diventare la frase da interrogativa affermativa. Perché erano scandalizzati pure loro da buoni farisei che il Coelet negasse l'aldilà. Ma è quello che il Coelet di fatto sta facendo in linea contutto l'Antico Testamento, almeno fino a quell'epoca. Ogni tanto vedo che la gente si meraviglia, ma è solo perché non ha mai letto l'Antico Testamento. Basterebbe recitare il Salmo 88 a Compieta il venerdì sera per accorgersi che dopo la morte non c'è nulla e la Chiesa ce lo mette in bocca tutte le settimane. Non i morti lodano il Signore. Quindi punto, fine, basta. Quando sei morto, sei morto.
Per cui il giudizio di Dio il Coelet non lo prende in considerazione. Voi direte, eh sì, ma il resto della Bibbia. È vero, però è interessante questa prospettiva perché il Coelet è come se ci dicesse non contare troppo su un Dio giudice perché quella è una soluzione di ripiego. Sarebbe troppo facile un Dio alla maniera di Dante, con tutto che io conosco Dante parecchio bene e mi piace, che manda gli uni all'inferno e gli altri in paradiso e nel mezzo il purgatorio. Molto semplice alla fine. Però è Dante che decide chi metterci, non è Dio. Quindi attenzione. All'inferno non ci mette quelli che gli stavano simpatici. E tra l'altro, come ben sapete, all'inferno mette gente che al suo tempo era ancora viva.
Per cui immagino leggere la Divina Commedia ai tempi di Dante. Come io sono all'inferno. Quel tipo di Dio lì è vero che ce l'abbiamo in mente ma è un po' pericoloso. L'altra volta che Coelet parla del giudizio di Dio è un testo anche questo intrigante. Su questo mi sono divertito. È il testo di Coelet 11.9 Quando il Coelet di nuovo parla della gioia e dice:
- Gioisci ragazzo nella tua giovinezza.
- Lascia che ti rallegria il tuo cuore nei giorni della tua gioventù.
- Segui gli impulsi del tuo cuore e l'incanto dei tuoi occhi.
- E sappi che su tutto questo Dio ti porterà in giudizio.
Ah, ma che vuol dire? Questo testo scandalizzava i rabbini. Nel Talmud c'è scritto che questo testo contraddice la Torah perché questo testo nega quel che dice Mosè in numeri 11. Non seguirete l'incanto dei vostri occhi e la seduzione del vostro cuore. Le figlie di Baal. Non di Baal. Non mi ricordo il nome del luogo. Comunque lì è un episodio del libro dei numeri. E i rabbini dicevano ma qui Coelet dice il contrario della Torah. Dunque attenzione. Sarà un libro sacro o non sarà un libro sacro? E sembra che questa frase finale giovane, segui il tuo cuore, segui i tuoi occhi, ma sappi che Dio ti porterà in giudizio. Intanto non è un ma ma è un e. Quindi non è avversativo ma congiuntivo. Ma a parte quello sembra quasi che Coelet dica divertiti ma non peccare. Questo lo dirà il Siracide ma in un altro contesto e con un altro spirito.
Cosa vuol dire sappi che su tutto questo Dio ti porterà in giudizio? Qui bisogna essere un po' rabbini nel senso buono del termine e ricordarsi che nel Talmud sta anche scritto che nel mondo avvenire Dio non giudicherà l'essere umano per le cose cattive che ha fatto. Perché se facesse questo siamo tutti figli della Genna dal primo all'ultimo. Noi cristiani salveremmo la Madonna se siamo cattolici, se siamo protestanti neanche quella. Per cui alla fine non si salva nessuno. Del resto era quello che diceva il Diesire cum vix justus sit sit securus. A stento si salva il giusto. Figuriamoci che macello fa il Padre Eterno alla fine. Se Dio facesse così.
Ma i rabbini dicevano no, Dio ci giudicherà sui beni che ci ha dato e di cui noi non abbiamo goduto. Ah, tutt'altro discorso. E il Coelet dice al giovane godi della tua giovinezza prima che venga la vecchiaia, gli anni tristi in cui dovrai dire non ci trovo più gusto con particolari anche divertenti. Diventerà pesante la cavalletta e il cappero inefficace. La cavalletta è una metafora che indica una parte dell'uomo maschio e il cappero è un noto afrodisiaco dell'antichità, il viagra. Quindi la cavalletta va giù e il viagra non la tira su. Prima che vengano... No, voi ridete ma è così. Girolamo traduceva, che aveva capito al volo, cum libido senum refrixerit. Chissà il latino ha capito. Cum libido senum refrixerit. Quindi quando sei vecchio pensaci prima. Dunque godi la tua vita prima che vengano glianni tristi. Perché quando arriverà la morte, quella è il giudizio di Dio sulla tua vita. Dio ti porterà in giudizio. Hai vissuto bene. La tua vita. Dio ti porterà in giudizio, hai vissuto bene, hai vissuto una vita felice, vieni servo buono e fedele. Non hai vissuto e non c'è il replay nella vita. Game over, non c'è la second life, non è come nei videogiochi. Divitecene una e quella ti dice vivi questa. Perché il giudizio di Dio non è l'aldilà, è la morte stessa il giudizio di Dio. Quando sei morto e non hai vissuto, troppo tardi te ne accorgi, ma non c'è un ritorno.
O quanta gente c'è che arriva a 70-80 anni e si lamenta di una vita che ha buttato via e piange su se stessa e diventa acida nei confronti di sé e del mondo intero. Perché? Perché ha sprecato la vita, te ne accorgi tardi ma non c'è un replay. A volte il Signore è misericordioso e ti dà qualche gioia alla fine, ma qualche volta te le dai da te le grane perché litighi col mondo intero e alla fine muori disperato.
Mi viene in mente sempre in questa situazione un bel testo di un poeta americano che forse molti conoscono, un poeta dell'inizio del novecento, Edgar Lee Masters, famoso per la sua antologia di Spoon River. Vi ricordate chi l'ha letto? Immagina il cimitero del suo paese, Spoon River. I morti parlano attraverso le lapidi che hanno composto loro stessi. Quindi leggendo la lapide capisci chi c'è dentro. È un testo molto bello, poetico tra l'altro.
A un certo momento in questa visita si trova una lapide dove c'è una barca, una nave anzi a vela, con le vele ammainate nel porto. George Gray, se la volete cercare su internet, con le vele ammainate nel porto. Quindi il morto dice voi pensate che questa sia l'immagine della mia vita. Ho fatto un bel viaggio per mare e ora alla fine ho sciolto le vele e sono in porto felice o attraccato al porto. No? Vi sbagliate. Questa è tutta la mia vita. Non ho mai preso il largo, sono sempre stato attaccato al molo. Non ho mai sciolto le vele e non ho mai vissuto.
E poi in inglese termina la poesia: "My life is a boat longing for the sea and yet afraid." Perché in inglese è un battello, una nave che anela al mare e pur lo teme. E questo è il coelet in 11.9. Giovane godi della tua vita perché altrimenti starai sempre fermo in porto. E verrà il giorno in cui ti accorgi troppo tardi che la vita era di là e tu sei rimasto di qua. Quindi è un libro anche moderno. E questo è il giudizio di Dio.
E poi per finire, poi basta, per finire del tuo creatore ho già parlato perché in questo contesto coelet dice ricordati del tuo creatore cioè ricordati che la vita che hai è un dono che Dio ti ha fatto e che va vissuto. Quattro volte coelet suggerisce l'unico atteggiamento possibile nei confronti di Dio. Voi direte il culto, la preghiera. Coelet col culto e la preghiera va poco d'accordo. C'è un solo passo in cui ne parla coelet 4.17.5.6 in cui dice al tempio se proprio ci vuoi andare fa attenzione. Vacci poco e stai zitto. Se ci vai vai per ascoltare. Non offrire sacrifici come gli stupidi i quali del resto neppure sanno di commettere il male.
Ora attenzione è l'unico motivo per cui gli ebrei andavano al tempio. Offrire sacrifici. Non si andava al tempio a pregare come si immagina noi. Si andava al tempio a offrire sacrifici. E coelet dice lascia perdere. Vacci stai zitto. Siano poche le tue parole perché Dio è in cielo e tu in terra. In ebraico è una frase castica. Elohim bashamayim ve atta ba aretz. Dio nel cielo, tu sulla terra. Quindi poche le tue parole.
Il che per certi aspetti verrà ripreso con altri toni da Gesù quando dirà quando pregate non sprecate parole come fanno i pagani. Anche se il contesto in Gesù è evidentemente diverso. Poi coelet se la prende con i visionari o se fosse stato vivo oggi con quelli che vedono Dio nei sogni e nelle visioni. Oggi diremmo le apparizioni. In genere non Dio ma la Madonna in versione cattolica.Ma per coelet sono sogni. Il sogno viene dalle molte preoccupazioni. Un discorso idiota dal molto parlare, dai molti sogni, dalle molte assurdità, tante parole, ma tu temi Dio. Quindi l'unico atteggiamento vero, serio per l'uomo è temere Dio, che significa nel contesto del linguaggio biblico rispettarlo, accoglierne il mistero, prendere Dio per quel che è veramente, non pensare che Dio si pieghi alla mia volontà perché ho pregato tanto o perché ho fatto i sacrifici o perché ho in sogno ho visto chissà che cosa.
E qui il coellet è polemico. Teniamo presente che il coellet qui ce l'ha con quella corrente che stava nascendo allora, la corrente apocalittica, che si riverserà in un libro che nella Bibbia non c'è ma che nell'ebraismo era ben noto, il libro di Enoch, che è pieno di sogni e di visioni. Il cuore del libro di Enoch è Enoch che va in cielo, da lì vede tutte le cose celesti e poi le viene a ripetere a noi poveri mortali qui sulla terra. È citato anche nel Nuovo Testamento il libro di Enoch.
Il coellet ce l'ha con questa tendenza a spostare le cose in un altro mondo che poi viene rivelato per queste vie a noi sulla terra. Quindi prende Dio per quel che è. Ascolta, ascolta, avvicinarsi per ascoltare è meglio che offrire sacrifici. Quindi se proprio vai al tempio, ascolta. Ascolta che? Ascolta Dio, ma concretamente, non è che Dio parla fisicamente, ascolta la sua parola. Nel tempio si legge la parola di Dio, questo lo sapevamo. Quindi ascolta, vai al tempio e ascolta.
E poi un altro testo in cui Coelet parla del timore di Dio. Questo è molto bello. Scusate se allungo due minuti. 7.15 Tutto questo ho visto nei giorni della mia vita fugace. C'è un giusto che si rovina nonostante la sua giustizia e c'è un malvagio che vive a lungo nonostante la sua malvagità. Quindi c'è uno scarto nella realtà tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è. Il giusto non dovrebbe morire presto e viceversa il malvagio sì, eppure succede il contrario. Questo scarto commentatori moderni l'hanno chiamato assurdo.
Assurdo nella definizione che ne dà Camus nel mito di Sisifo, se avete mai letto Camus qualche volta nella vita con la peste è andata di moda ora con la pandemia. Camus definisce l'assurdo, l'absurdo è in sé stesso una contraddizione tra ciò che vorrei che fosse e ciò che invece la realtà è. E questo scarto continuo che sperimentiamo è quello che sperimenta Coelet.
E allora cosa fare di fronte a questo scarto? Ah, qui diventa ironico. Non essere troppo giusto, non essere eccessivamente saggio, perché ti vuoi rovinare. Quindi lascia perdere, no? E poi non essere troppo malvagio, non essere stupido, perché vuoi morire prima del tempo. Ora attenzione, tra giusto e malvagio c'è una via di mezzo, non essere troppo giusto, non fare il primo della classe, quello perbenino, il santarellino che non sbaglia mai, ma non essere neanche troppo cattivo, perché non ne vale la pena. Quindi siamo tutti un po' nel mezzo, no? Né troppo buoni né troppo cattivi, qui è ironico il Coelet, ma ce l'ha contro quella tendenza proto-farisaica per cui se io osservo i comandamenti sono a posto con Dio.
O anche proto-cattolica, se voi volete, perché alla fine anche noi abbiamo ragionato così. D'altra parte non ti dare alla cattiveria perché non ne vale la pena. Quindi qui Coelet è un po' ironico. Però poi aggiunge, non essere eccessivamente saggio, perché troppo saggio dà fastidio, ma non essere stupido. Quindi tra cattivo e buono c'è una via di mezzo, siamo noi. Tra saggio e stupido non c'è una via di mezzo. Troppo saggio no, ma stupido nemmeno. Quindi la stupidità per Coelet è esclusa, come in tutta la Bibbia, in tutta la teologia sapienziale.
Il libro dei proverbi dice meglio incontrare un'orsa privata dei suoi cuccioli che uno stupido in preda alla stupidità. E per citare un autore contemporaneo, Mario Cipolla, le leggi fondamentalidella stupidità umana, il problema è che le persone normali non tengono abbastanza conto del numero di stupidi in circolazione. stupidi in circolazione, che è sempre esponenzialmente più elevato. Per esempio il Kohelet scrive al capitolo 10: C'è un piccolo male, versetto 5, un piccolo male che ho osservato sotto il sole, un piccolo sbaglio, una sciegagà dice il Kohelet, una sciocchezza, che viene dai potenti. Si mette lo stupido in una carica elevata, mentre le persone meritevoli restano nell'ombra. Gli schiavi vanno a cavallo e i principi a piedi come fossero schiavi. Questo non succede mai. Si mette lo stupido in cariche elevate, mentre le persone meritevoli restano nell'ombra. La stupidità è negativa per il Qohelet.
Però aggiunge il Qohelet, guardate, cosa c'entra questo col timore di Dio? Dunque non essere troppo giusto, non essere troppo saggio, non essere troppo malvagio, non essere stupido e poi continua, versetto 18: È bene che tu ti attenga a questo e che tu non stacchi la mano da quello, perché chi teme Dio riuscirà in entrambe le cose.
Dunque il criterio per Qohelet non è etico, essere buoni, essere cattivi. Non è di per sé neanche intellettuale, essere saggi, essere stupidi, anche se la stupidità per lui è esclusa. È teologico, temi Dio. Cioè se tu hai Dio al centro della tua vita, se tu rispetti Dio per quel che è, tutto andrà bene e non ti poni più il problema di come agire, perché il tuo agire nasce dal tuo essere. Questo ha anche un valore da un punto di vista teologico. La morale nasce dalla fede, non il contrario. Per il Kohelet, prima Dio, poi tutto il resto.
E del resto questo non lo dico certo io. Ricordo quando la Pontificia Commissione Biblica anni fa pubblicò il documento Bibbia e morale, se almeno qualcuno che fa teologia l'ha letto, il documento si apre così, dicendo che la morale per la Chiesa, pur non essendo secondaria, è tuttavia seconda. Interessante, perché prima viene la fede, se no è inutile parlare di morale. Sono i nostri sbagli classici.
Per Qohelet prima viene Dio, temi Dio, quindi metti Dio al cuore della tua vita e dunque evita quei giudizi umani che fanno di Dio non più un Dio ma un idolo. È vero che Dio nel Kohelet non parla mai, ma c'è da chiedersi se ci vuole più fede di fronte a un Dio che è in questa realtà così negativa o di fronte a un Dio per cui va tutto bene e tutto sia giusto. Il Qohelet ha un Dio problematico davanti, però è un Dio presente.
Ed è dunque l'ultima volta che è lunedì parla, può dire ricordati del tuo creatore. Bene, ho abusato della pazienza perché ho parlato 50 minuti, però direi che per la figura di Dio nel Kohelet può bastare. Grazie di tutta la vostra attenzione.
Luca Mazzinghi
L’intervento di don Luca Mazzinghi alla Settimana Biblica di Rimini sul Qoèlet, intitolato spesso “Il Dio di Qohelet” o “Un sapiente di Israele alla ricerca di Dio”, si concentra su uno dei temi più delicati e profondi dell’intero testo: la figura di Dio nel libro di Qoèlet.
Introduzione e senso fondamentale:
Don Mazzinghi apre sottolineando che il Dio di Qoèlet è un “Deus absconditus”: il Dio nascosto, nel senso pieno del termine. La relazione invita ad approfondire cosa significa cercare un Dio che sembra silenzioso, distante, raramente nominato esplicitamente, eppure capace di manifestarsi anche nella crisi, nell’assenza e nella fragilità umana.
Il libro biblico, nella lettura di Mazzinghi, insegna che persino nel silenzio di Dio può celarsi una presenza e una parola rivelatrice. Non sempre il silenzio è una maledizione: può essere occasione di incontro e rivelazione per strade sorprendenti, anche quando non sempre comprensibili logicamente.
Qoèlet testimonia, secondo il biblista, un Deus “povero”, vicino non per la sua onnipotenza ma per la sua incarnazione: nella fratellanza, non nella potenza, si rivela una salvezza vera.
Punti chiave della relazione:
Nel tempo limitato dell’intervento, Mazzinghi offre un “antipasto” e invita i partecipanti a proseguire la riflessione, sottolineando come il Dio del libro non sia oggetto di trattato teologico, ma si lasci intravedere nei limiti, nei dubbi e nei percorsi umani.
La relazione mostra la distanza ma anche il dialogo tra il Dio di Qoèlet e quello delle grandi tradizioni bibliche, spiegando come la figura di Dio nel testo biblico sia “problematica”, a volte imprevedibile, mai banale, sempre da cercare e da accogliere con sincerità.
Il biblista chiude il suo contributo invitando a interrogarsi sul proprio rapporto con Dio, non solo come fede “di soluzione”, ma come cammino aperto verso una presenza che ci salva nella fraternità e nella concretezza della vita.