Da Qoèlet a Gesù: perché questo tempo non sapete riconoscerlo?



Come imposteremo? Lo imposteremo in questo modo, leggendo soprattutto parole di Coelet e di Gesù e mettendole in dialogo. Perché qual è il problema? Il problema è che si potrebbero dare due letture estremiste ugualmente, a mio avviso, non corrette. Proprio perché, come avete visto nei giorni scorsi, Coelet sta sempre in agguato, ci sorprende, dobbiamo lasciarlo parlare.
Quali sono le due letture non corrette?
1. Una, quella tradizionale che è stata data per tanti secoli in ambito cristiano, e cioè Coelet è pessimista, è negativo, poi arriva Gesù che è ottimista, positivo, Qoelet è la morte, Gesù è la resurrezione. Quindi una sorta di contrapposizione che potremmo definire con una sigla, il disprezzo di questo mondo che ci ha insegnato Coelet e la salvezza che ci ha portato Gesù. Prima lettura estremista.
2. Seconda lettura estremista, più in voga negli ultimi 50 anni, potremmo dire 60-70 anni, una lettura che vede invece tutte le somiglianze, solo le somiglianze, solo le analogie tra Coelet e Gesù. E quindi sembrerebbe che i due dicano la stessa cosa. E non è vero neanche questa, perché c'è una differenza, c'è un dialogo, ma c'è una differenza.
Coelet da sapiente ha la capacità di guardare con sguardo disincantato la realtà e di leggerla con la fede, di leggerla, avete visto ieri sera con Don Luca Mazzinghi, cosa significa la visione di Dio che ha Coelet. Gesù allo stesso modo viene per narrare, lo vedremo alla fine, un altro volto di Dio e si mette anche in dialogo con Coelet, con analogie e con differenze. Io vorrei darvi il gusto di cogliere queste analogie e queste differenze.
Io vi proporrò, come avete nella cartellina che avete tra mano, sei punti di riferimento, ma sono sei punti del tutto indicativi. Lascio a voi di completarli. Io vi offro un inizio e poi potrete completarli, potrete pormi domande alla fine, poi potrete completarli nel prosieguo del vostro cammino. In questo senso ricevo un'apertura finale perché tutto quello che avete visto nei passati tre giorni si apre alla luce della rivelazione cristiana. È come dire, se Coelet ha ripreso una lunga tradizione che aveva alle spalle e la riletta nel terzo secolo avanti Cristo, Gesù, tre secoli dopo, rilegge tutta questa tradizione che ha alle spalle e anche Coelet con cui entra in dialogo, entra in dialogo ponendo domande.
Ecco, sono due le cose che voi dovete sempre tenere presente mentre io parlo questa sera. I tanti testi di Coelet e del Vangelo che citerò e le tante domande che porrò, tante domande che non pongo io, ma che vengono dai testi biblici. Ci siamo? Partiamo allora con il primo punto che ci mette subito, come dicono quelli che parlano bene, in medias res. Ci porta subito al centro della questione.
Che senso ha la vita? Che senso ha? In ebraico, qualche volta mi sentirete citare l'ebraico, so che ieri sera Don Luca ha citato un po' in francese, un po' in ebraico, ma non è per sfoggio di cultura, è semplicemente per rendere l'idea. In ebraico la domanda che senso ha è espressa da due paroline che suonano così. Ma itron, che letteralmente ci dice il cardinale Ravasi nel suo commento al Coelet, significa che vantaggio c'è? Che cosa resta? Sentite come se lo chiede Coelet. Coelet, questa domanda se la pone per tre volte ed sono tre delle trentatré domande che lui si pone. Siamo all'inizio del libro, capitolo 1, versetto 3. Vi ricordate l'inizio? Soffio di soffi, tutto è soffio, vanità delle vanità, tutto è vanità. E subito dopo Coelet dice che senso c'è per l'essere umano in tutta la fatica con cui si affatica sotto il sole? La vita è faticosa, la vita è dura. C'è un senso a questa fatica, a questa lotta per la vita? Subito dopo Coelet al capitolo 2, versetto11 dice no, non c'è un senso sotto il sole. Vedremo poi più avanti che Qohelet dice che più noi cerchiamo e meno troviamo e quindi lui dice che fatica cogliere un senso generale. Potremmo dire attenzione, non prendetelo subito in senso, scusate il gioco di parole, nichilistico come se Qohelet volesse dire tutto è negativo. No, Qohelet è molto attento al reale e dice un senso globale, complessivo, un senso che tiene tutto in ordine, non lo trovo.
La seconda volta che si pone questa domanda è al capitolo 3, versetto 9 e questa volta non risponde. Quale senso, quale guadagno c'è per chi agisce nel suo affaticarsi? E infine, capitolo 5, versetto 15, che senso ha faticare per il vento? E sentite come, ve lo dirò solo una volta perché sennò diventa noioso, ma Qohelet spesso ripete alcune cose che gli stanno a cuore ma non le ripete mai in maniera uguale, le ripete con qualche variazione. Vi rileggo i testi:
- Che senso c'è per l'essere umano in tutta la fatica con cui si affatica sotto il sole?
- Che senso c'è per chi agisce nel suo affaticarsi?
- Che senso ha faticare per il vento?
In mezzo a queste tre domande Qohelet si dà anche una piccola risposta, abbiamo visto prima, non c'è alcun senso. Al capitolo 4, versetti 7 e 8 sentite cosa dice, Qohelet è sempre molto attento, a volte ci fa anche sorridere. Sono tornato a vedere un'altra assurdità sotto il sole. C'è uno che è solo, non ha neppure un figlio né un fratello, eppure non c'è fine a tutta la sua fatica, né il suo occhio è mai sazio di ricchezza. Ma si chiede, per chi mi affatico e privo me stesso della felicità? Anche questo è un soffio, e un impegno sciagurato.
E qui ci apriamo a Gesù. Gesù non cita mai, devo essere onesto con voi, Gesù non cita mai esplicitamente, espressamente Qohelet. Sapete che Gesù cita tante volte i Salmi, Isaia, Geremia, la Torah, ma non cita mai espressamente Qohelet. Però è facile trovare dei collegamenti, come dei fili rossi che li legano. Avete presente quella parabola in cui al capitolo 12 di Luca ci dice che c'è un uomo talmente ricco che non sa più dove mettere i suoi averi. Dice, cosa faccio? Distruggerò i miei granai, ne costruirò di più grandi perché non so più dove mettere i miei raccolti. Gesù dice, Luca 12, 20, ma udì una voce che gli diceva, stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita e quello che hai preparato, di chi sarà? E Gesù conclude, così è di chi accumula per sé stesso e non in vista del regno di Dio.
Cioè, il problema è che affaticarsi per accumulare, ma non solo accumulare denaro, affaticarsi per, come dicono a Milano, lavorare, lavorare, lavorare, fare, fare, fare, fare, affaticarsi alla fine poi, se uno non si ferma e non sa godersi, vedremo, le gioie della vita, è veramente qualcosa che non ha senso. Lo applico a me. Io che amo, come diceva Antonio, scrivere per professione, anche per diletto, scrivo, potrei scrivere costantemente, ma scrivere, scrivere, scrivere, bisogna anche vivere ogni tanto, sennò non troviamo un senso. Ecco, Gesù dice, in questo senso, state attenti e guardatevi da ogni accumulo, perché per quanto sia uno, sia nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede. Letteralmente, la vita non è in ciò che sia. Avrete sentito, sono sicuro, cito sempre Luca perché lo conosco meglio, don Luca Mazinghi, che è molto attento alle traduzioni, la vita non è in ciò che sia. Mi fermo qui su questotuo punto, ho scritto molto altro, vedo, ma penso che già questo sia una prima apertura. Prima domanda, che senso ha e che senso ha affaticarsi? Che senso ha correre? Che senso ha accumulare? Che senso ha fare, fare, fare e non essere capaci di gioire per la vita? Vi ricordate quel libro famoso di qualche decennio fa di Eric Fromm, Essere o Avere? Potremmo dire che forse anche non sapendolo Fromm ha messo insieme Coelet e Gesù. Che senso ha?
Seconda domanda, quale sapienza c'è nella vita? Parlare di senso equivale, o meglio, è parente del parlare della sapienza. E qui partiamo subito con due belle citazioni che si contraddicono, dove capite come qualche volta Coelet e Gesù non vanno d'accordo.
Coelet 8,17: L'essere umano si affatica a cercare, Coelet avete sentito che ha questo verbo faticare, aval come qualcosa di quasi martellante. L'essere umano si affatica a cercare ma senza trovare. E anche se il sapiente dicesse di sapere, neanche lui potrà trovare. Cercare, trovare, sapienza. D'altra parte Gesù cosa dice? Una delle frasi più famose, Matteo 7,7,8 che appena parto col primo verbo nella testa vi verrà la citazione completa. Chiedete, vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede ottiene, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto.
Il giorno e la notte. Coelet e Gesù. Innanzitutto prendiamo le mosse da un dato quotidiano per dire che Coelet ha una certa ragione. Pensate solo quante volte in casa ci capita, a me è capitato l'altro giorno, sono impazzito, cercavo un libro e non lo trovavo. In casa ho cercato un libro e non l'ho trovato. A un certo punto ero quasi disperato perché mi serviva quel libro. Poi mi sono messo a fare altro e dopo mezz'ora è spuntato quel libro. Mentre facevo altro e cercavo qualcos'altro che ancora non trovavo, ho trovato il libro precedente. Ma è sempre una catena. È come dire che c'è sempre qualcosa che ci manca. È così. Cerchiamo e non troviamo.
Mazinghi nel suo commento a Coelet scrive questo. È un'esperienza critica della realtà. L'esperienza della vita che il saggio sa valutare e discernere. La sapienza è un'arte del vivere, anche se spesso quest'arte ci sorprende perché troviamo quando non cerchiamo. Partendo da questo punto di vista, adesso ridiamo anche perché ogni tanto fa bene anche ridere. Ridere Coelet ci fa anche sorridere. Dice, noi vogliamo essere sapienti. Cerchiamo perché vogliamo trovare. Sempre De Benedetti che veniva citato prima diceva che Coelet costantemente cerca e anche se non trova non può fare a meno di cercare.
Sentite cosa dice Coelet in 7, 16, 17: Non essere troppo giusto, non essere sapiente oltremisura. Perché ti vuoi rovinare? Non essere troppo malvagio e non essere neanche troppo stupido. Perché vuoi morire prima del tempo? Quindi, diciamo che voler essere troppo sapienti porta a una certa rovina, così come voler essere troppo stupidi porta ugualmente a una certa rovina. Siamo all'interno di quella che la filosofia grega con cui Coelet dialogava definirebbe il giusto mezzo.
Ma sentite altre due frasi di Coelet che dicono questo suo desiderio di cercare. Ricordate la domanda quale sapienza, sapendo che però fatica a trovare. 7, 23, 24: Ho detto voglio diventare sapiente ma la sapienza è lontana da me. Ciò che accade è profondo, è profondo. Chi potrà mai trovarlo? Chi potrà mai comprenderlo? Nella sapienza biblica tradizionale, per esempio il libro dei proverbi, capitolo 8, versetto 17, si dice, io, è la sapienzache parla in una specie di autopresentazione, amo coloro che mi amano e quelli che mi cercano fin dall'aurora mi troveranno. Coelet invece non ha questo ottimismo. Dice, quando ho dato 8, 16, 17, quando ho dedicato il mio cuore a conoscere la sapienza, ho visto anche tutta l'opera di Dio. E diremmo, ecco, ha trovato la sapienza. Ma subito Coelet fa così, ci porta fino a un certo punto e poi ci riporta indietro. L'essere umano non può comprendere tutta l'opera che si compie sotto il sole. Tuttavia si affatica a cercare, ma senza trovare. E anche se il sapiente dicesse di sapere, neanche lui, in verità, potrà mai comprendere fino in fondo. Siamo di fronte a quello che in altro contesto diceva Socrate, vi ricordate? La sapienza di Socrate era, io so di non sapere. Cercare e non trovare.
E Gesù come si pone di fronte a questa prospettiva? Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Il problema che Gesù si pone è spostare l'angolo da cui si considera la questione della sapienza. Gesù è come se dicesse, vi ricordate le sue prime parole nel Vangelo secondo Giovanni? Che cosa cercate? Poi a metà del Vangelo di Giovanni, chi cercate? E alla fine del Vangelo di Giovanni, la Maddalena, il risorto, chi cerchi? Quindi il problema è cercare di focalizzare l'attenzione su che cosa, su chi noi cerchiamo. Come a dire che cosa ci brucia nel cuore, per cosa vale veramente la pena vivere. E allora Gesù si pone come il termine, l'oggetto della nostra ricerca.
C'è quella parola straordinaria che si trova in Matteo 11, 25, che è un'autorrivelazione di Gesù. Gesù dice, ti rendo l'odeo Padre, Signore del Cielo e della Terra, perché hai nascosto queste cose, hai nascosto la sapienza ai saggi e agli intellettuali e le hai rivelate ai piccoli. E poi dice, venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo. Prendete il mio gioco sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore. Il mio gioco infatti è dolce e il mio carico è leggero. Cioè la sapienza che Gesù ci pone è una sapienza che si condensa nel suo insegnamento, si condensa nella sua testimonianza. Dunque potremmo dire Gesù non è che ci rassicura, l'errore che potremmo fare sarebbe dire ecco Coelet cerca e non trova, Gesù tranquillo, andiamo a lui, cerchiamo, troviamo, è fatta. No, perché quando noi andiamo a Gesù e cominciamo a focalizzare la sua sapienza, a familiarizzarci con la sua sapienza, questa sapienza ci pone in difficoltà, questa sapienza ci pone in discussione, questa sapienza ci chiede di cambiare il nostro modo di pensare.
Potremmo dire siamo così sicuri che la sapienza che Gesù ci pone davanti sia più tranquillizzante di quella di Coelet? Io credo che Gesù ci ponga nell'incertezza, ci ponga certo nella troverete riposo in me, ma è un riposo che richiede anche la fatica di sintonizzarci sulla sua lunghezza d'onda. Quando Gesù dice non sono venuto a portare la pace sulla terra ma la spada, la divisione, un grande biblista di cui citavamo prima Ricordi a tavola con il Vescovo, Don Bruno Maggioni, diceva vale la pena perdere la propria pace piuttosto che perdere la pace che ci porta Gesù. Al limite perdiamo la nostra pace, ma cerchiamo di trovare la sapienza, la pace che ci viene da Gesù, una pace che però è spada, è divisione, è fin da subito, ce lo dice il Vangelo secondo Luca, segno contraddetto, segno di contraddizione.
Ci siamo fin qui? Mi seguite? Il terzo tema più veloce, noi veniamo da pochigiorni dalle elezioni politiche, Coelet e Gesù si sono occupati, va detto, anche di politica, a modo loro. Coelet soprattutto notava una cosa, notava che sulla terra c'è tanta ingiustizia. C'è tanta ingiustizia. Sentite le sue frasi che parlano molto meglio di quanto potrei dirvi. Ve le metto come una sorta di collana. Cominciamo a fare un po' di collana di testi di Coelet.
Coelet 3,16: Ancora ho visto sotto il sole, al posto del diritto c'è la malvagità. Al posto della giustizia c'è la malvagità. E Coelet su questo andrebbe d'accordo con tanti profeti, con Giobbe, con i Salmi che dicono con parole diverse questa stessa verità.
E proprio perché c'è ingiustizia Coelet si lascia andare a un sospiro che è bellissimo.
Coelet 4,1: Tornai a guardare tutte le oppressioni che si compiono sotto il sole ed ecco il pianto degli oppressi e non c'è chi li consoli. C'è da parte degli oppressori la violenza e non c'è chi li consoli.
Potremmo dire con una domanda, visto che questa sera ci occupiamo di domande, visto che i segni dei tempi di cui si parla in questa settimana biblica sono anche segni che ci richiedono di ascoltare le provocazioni del reale e le domande che vengono dal reale. La domanda che ci pone Coelet è:
- Chi consola il pianto degli oppressi?
- Chi consola le lacrime degli oppressi?
Anche perché, e qui lo citavamo prima ridendo, ma non c'è tanto da ridere, Coelet 10, 5, 6: c'è un male che ho visto sotto il sole. Si pone lo stupido in cariche elevate mentre i meritevoli restano in basso. Questo era Coelet, terzo secolo avanti Cristo.
Come fare per rispondere alla domanda di Coelet? Gesù rilancia la domanda. Avete presente un testo famosissimo? Luca 18, 8: Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte? Li farà a lungo aspettare? Io vi dico farà loro giustizia in fretta. Ma il figlio dell'uomo quando verrà troverà la fede sulla terra? Il problema è se alla sua venuta troverà una fede capace di tradursi in atti, in azioni.
Vi ricordate il giudizio finale secondo Matteo? Ero straniero, mi avete ospitato; ero affamato, mi avete dato da mangiare, eccetera.
E Gesù ci aiuta a fare un ultimo passo in quest'itinerario. Ci aiuta a fare un passo di libertà verso i potenti di turno. Cioè, anche di fronte alle lacrime degli oppressi ci vuole la franchezza, ci vuole quella grande virtù che nei Vangeli si chiama parresia. L'avrete sentita citare qualche volta. È la franchezza di chi chiama le cose come stanno, di chi sa denunciare l'ingiustizia, di chi sa denunciare l'oppressione.
Vi ricordate che Gesù di fronte ai potenti non è che arretra. Di fronte a Erode, tetrarca della Galilea, che vuole mettere le mani su di lui, dice: andate a dire a quella volpe questo e quest'altro. Di fronte a Pilato, vi ricordate quel dialogo straordinario che c'è nel Vangelo secondo Giovanni: sei tu il re dei giudei? Tu lo dici.
Gesù, potremmo dire, ci ha insegnato un modo nuovo di osservare anche l'ingiustizia che sta sulla terra quando ci ha detto che il suo regno non è di questo mondo. E sempre Maggioni commentava: il mio regno non è da questo mondo, non trae la sua origine dal mondo, viene da altrove e si modella in modo differente.
La soluzione, tutt'altro che tranquillizzante, che Gesù dà alla domanda di Coelet sta nel capire qual è il regno che Gesù è venuto a portare. Quel regno in cui siamochiamati a farci servi gli uni degli altri. I grandi di questo mondo, voi sapete che coloro che dominano sono considerati i capi, tra voi però non è così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servo e chi vuole essere il primo sarà il servo di tutti, perché il figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita, il riscatto per tutti. Marco 10, 42, 45.
La soluzione forse sta proprio qui, nel farci servi gli uni degli altri e nel praticare quello che altrove nel giudizio finale Gesù ci dice, cioè accogliere: ogni volta che avete fatto queste cose, dare da mangiare, dare da bere, accogliere, visitare, curare a uno di questi piccoli, l'avete fatto a me.
Il tempo scorre e cerchiamo adesso di fare una bella carrellata invece per vedere come Coelet e Gesù parlano della gioia, perché c'è la fatica del vivere, c'è la domanda che senso ha, c'è la domanda quale sapienza, c'è la domanda su chi consola il pianto degli oppressi, ma c'è anche in Coelet e in Gesù la gioia del vivere. E qui veramente si tratta solo di leggere i testi e di interpretarli. Leggere è meditare.
Attenzione anche qui: c'è chi ha detto che Coelet è stato il predicatore della gioia perché ci sono sette o otto brani in cui Coelet parla della gioia. È stato anche questo, non solo questo. Ma sentite questi testi che sono proprio un canto alla vita, forse non li avrete mai sentiti anche perché Coelet, sapete che viene, ve lo diceva la scaiola, è poco presente nella liturgia, quindi tre volte l'anno, due volte in settimana, una volta la domenica, praticamente non si sente nulla di Coelet.
Ascoltate questi testi, non sto neanche a dirvi adesso due, tre capitoli, poco importa. Ascoltiamo Coelet. Non c'è di meglio per l'essere umano se non mangiare e bere e godersi il frutto della sua fatica. Ma ho visto che anche questo viene dalla mano di Dio.
Variazione successiva. So che non c'è di meglio per gli esseri umani se non gioire e passarsela bene durante la vita. Ogni essere umano che mangi o beva si goda il frutto della sua fatica. Anche questo è dono di Dio.
Ancora Coelet ripete. Ho visto che non c'è di meglio se non che l'essere umano gioisca del suo lavoro, perché questa è la porzione che gli spetta. Anche perché chi potrà fargli vedere tutto ciò che accadrà dopo di lui? Cioè, tradotto, cerchiamo di gioire della vita qui e ora, perché poi, dopo, non sappiamo cosa ci sarà. Chi potrà fargli vedere ciò che accadrà dopo di lui?
Un altro testo più lungo, ma vado solo alla conclusione. Coelet ha questa lettura, vi dico questo versetto perché così ve lo portate a casa. Coelet 5, 19 fa un lungo brano nei versetti precedenti sulla gioia e lo conclude così: Vivendo la gioia, così l'essere umano non ricorderà troppo quanto è breve la sua vita, perché Dio lo terrà occupato con la gioia del suo cuore. Cioè, Coelet vede che Dio ci tiene occupati con la gioia perché così evitiamo di pensare quanto è breve la vita. Quindi Dio si prende cura di noi, ci dà la gioia perché così siamo allegri.
E infine, ho saltato un altro testo, potrete leggere bene due, ma potrei leggere bene l'altro quattro, me ne leggo due. Uno che secondo me andrebbe proclamato ai matrimoni, purtroppo nei matrimoni spesso si leggono tante altre cose, ma una bella prima lettura per i matrimoni è Coelet 9, 7, 10:
- Va, mangia con gioia il tuo pane,
- bevi con cuore lieto il tuo vino perché Dio ha già gradito le sue opere.
- Godi la vita con la donna che ami per tutti i giorni della tua vita di soffio che Dio ti dà sotto il sole.
- Tutto ciò che alle tue mani capita di fare, fallo con decisioneperché non ci saranno più dopo né attività, né risultati, né conoscenza, né sapienza dove tu stai andando laggiù? E infine, l'ultimo brano, Qoelet chiude la sua opera con un inno alla gioia del vivere e parallelamente con un ritratto della vecchiaia che avanza. È proprio una poesia questa. C'è un parallelo tra la gioia del vivere e la vecchiaia che avanza. Dolce è la luce e bella per gli occhi la vista del sole. Sì, se l'essere umano vivesse molti anni, in tutti gioisca e si ricordi che i giorni tenebrosi saranno molti. L'intero avvenire è un soffio. Gioisci, ragazzo, nella tua giovinezza e si rallegria il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui gli impulsi del tuo cuore e lo stupore dei tuoi occhi e sappi che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio. Attenzione a questa frase. Sappi che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio. Attenzione venti volte. Perché? Perché normalmente si è intesa questa frase dicendo se godrai troppo Dio ti punirà. E invece la tradizione rabbidica prima e poi quella cristiana che è arrivata fino a Ravasi nel suo commento dice questo. Vi leggo il testo prima la tradizione rabbidica e poi Ravasi.

Tradizione rabbidica:
- Ognuno dovrà rendere conto di sé per ogni cosa che il suo occhio ha visto e di cui non ha goduto.
- Cioè Dio ci chiederà conto se non siamo stati capaci di gioire. Non se abbiamo gioito troppo. E Ravasi nel suo commento, quindi un cardinale, mi metto sotto la sua autorità. Il giudizio di Dio non è castigo per quanto si è goduto ma piuttosto il contrario. Il destino dell'uomo nell'esistenza terrena è quello di raccogliere i frammenti di felicità che egli incontra. Chi non lo fa, chi non lo fa, cade sotto il giudizio divino. Chi non lo fa, non chi lo fa.
E qui, per quanto riguarda Gesù, potremmo dire abbiamo avuto tante testimonianze sulla vita bella, buona e beata di Gesù, sulla buona notizia del Vangelo, sul fatto che i suoi avversari non capendolo lo chiamavano un mangione, un beone, amico di pubblicani e peccatori, la gioia di vivere con cui Gesù sapeva apprezzare le realtà di questo mondo, sapeva contemplare gli uccelli del cielo e i fiori del campo, sapeva contemplare una donna che mette del lievito nella farina per farla lievitare, sapeva gioire dell'amicizia. Giovanni, Gesù voleva molto bene a Marta, Maria e Lazzaro. La vita di Gesù purtroppo l'abbiamo fatta diventare qualcosa di triste in realtà. Gesù non è che è stato triste, ha gioito, il Vangelo ha portato la buona notizia e poi sapeva che la gioia del vivere portava poi il prezzo di una coerenza che lo ha portato, vedremo anche, a vivere e morire in un certo modo.
Ma voglio chiudere questo punto con una citazione, lasciatemi fare una di un autore che amo molto, su cui sto scrivendo un piccolo libro a cui tengo parecchio, Dietrich Bonhoeffer, penso lo conosciate, teologo luterano morto martire in campo di concentramento, che ha scritto un testo dopo il quale la visione del cristianesimo non è più la stessa, Resistenza e resa, lettere dal carcere portate in Italia negli anni 60 da Paolo De Benedetti.
Credo che noi dobbiamo amare Dio e avere fiducia in Lui nella nostra vita e nel bene che ci dà, in una maniera tale che quando arriva il momento, ma solo allora, andiamo a Lui ugualmente con amore, fiducia e gioia. Ma per dirla chiaramente, che un uomo tra le braccia di sua moglie debba avere nostalgia dell'aldilà è a dir poco una mancanza di gusto e comunque non è la volontà di Dio. Dobbiamo amare e trovare Dio precisamente nella gioia che Egli ci dà e se a Dio piace di farci provare una travolgente felicità terrena, non bisogna essere più pi di Lui e guastare questa felicità con idee tracotanti e con una fantasia religiosa incontrollata incapacedi accontentarsi della gioia che Dio ci dà. Che meraviglia, che meraviglia. Il testo procederebbe, ma penso che basti già questo. Gioia, piacere, godimento della vita. Né Coelet, né Gesù l'hanno mai evitata, anzi l'hanno caldamente consigliata. Lasciamo stare il punto 5, visto che il tempo stringe.
Quale Dio ve ne ha già parlato Don Luca? So che Don Luca ha detto, a risposta a una domanda, vi risponderà poi Ludwig domani sera. Mi ha lasciato questa incombenza. Parlare di quale visione di Dio ha Coelet, l'avete visto con Don Luca. Parlare di quale visione di Dio ha Gesù, la conoscete. Potremmo dire che entrambi, sintetizziamo, portano un volto nuovo di Dio.
Ricordatevi solo questo, la conclusione per stare a Coelet, quello che vi ha detto ieri Luca, per stare a Gesù, la conclusione del Prologo di Giovanni. Dio nessuno lo ha mai visto, ma il figlio suo, che è rivolto verso il seno del Padre, lui lo ha rivelato. Exegetato in greco. Cioè, ciò che Gesù ha detto, fatto per raccontare Dio, noi siamo tenuti a dirlo, farlo e crederlo. Ciò che Gesù non ha detto, non ha fatto per raccontare Dio, noi non siamo più tenuti a dirlo, a farlo e a crederlo.
E infine, la chiusura. Abbiamo ancora dieci minuti, ci stiamo bene. Chiudiamo con il botto. Morte e resurrezione. Non possiamo non chiudere su morte e resurrezione, perché il proprio della fede cristiana. Coelet, diciamocelo chiaramente, era incerto sull'aldilà. Ma Coelet era fratello di molti già nella sapienza ebraica, perché nella sapienza ebraica biblica non c'era questa certezza così chiara e cristallina sulla vita dell'aldilà.
Vi leggo solo un salmo:
Fammi conoscere, Signore, la mia fine, la misura dei miei giorni qual è, che io sappia quanto sono fragile. Davvero un soffio è ogni uomo che sta in piedi. Salmo 39.
Coelet dubita. Cosa c'è dopo la morte? Non lo so. Dice, non c'è essere umano che sia padrone del proprio spirito vitale così da trattenerlo né alcuno che sia padrone del giorno, della propria morte. Addirittura è arrivato a dire una frase, il capitolo 3, 19, 20, due frasi che lo hanno reso sospetto e che gli hanno quasi impedito che il suo libro entrasse nella Bibbia.
Non c'è superiorità dell'essere umano sulle bestie perché tutto è un soffio. Tutti vanno in uno stesso posto. Dalla polvere tutto è venuto, alla polvere tutto ritorna. Sentite l'eco di Genesi. Ricordati che sei polvere e polvere ritornerai, ma Coelet fa una sorta di midrash, di commento e dice sì, però la stessa polvere in cui torniamo noi umani è la polvere in cui tornano anche gli animali. Non c'è superiorità.
A un certo punto si chiede chissà se dopo la morte il soffio dell'uomo sale in alto, cioè a Dio, e quello degli animali va in basso. Capite che questo gli ha procurato accuse un po' di eresia. E poi a un certo punto arriva a dire per tutti c'è un'unica sorte, per il giusto e il malvagio, per il puro e per l'impuro, per chi offre sacrificio e per chi non li offre. C'è un'unica sorte per tutti.
E poi, almeno l'ultima parola di Coelet, le ultime due parole con una sorridiamo. Finché si rimane tra i vivi c'è speranza. Vi ricordate il detto popolare:
Finché c'è vita c'è speranza. Meglio un cane vivo che un leone morto.
Almeno i vivi sanno che devono morire. I morti invece non sanno nulla. Il loro amore, il loro odio, le loro passioni, tutto è già finito. Ed essi non avranno parte a tutto ciò che si fa sotto il sole, mai più.
Ecco la chiusura di Coelet sulla vita e la morte. Tutto con la morte è finito. Ma è proprio così? Tutto con la morte è finito? O meglio, per Coelet è così? Per grande parte della sapienza biblica è così? Poi il pensiero biblico evolve, arriviamo al libro della sapienza che dice che i giusti che muoiono sono nella mano di Dio, nessun tormento potrà rapirlie quindi intravede un destino finale di beatitudine. Giobbe che in alcuni passi dice la possibilità, Gesù cosa dice? Dice che nulla alla fin fine va perduto, cioè Gesù ci dice qui, scusatemi devo riassumere ma andiamo alla sintesi. Gesù ha vissuto in un certo modo e a un certo punto vi ricordate che ha annunciato la necessità della sua passione, morte e resurrezione? Tre volte nei Vangeli Sinottici, ma una necessità che non era, ma una necessità del tipo di destino che gli cadeva addosso o Dio che voleva fargli del male, no, era una necessità umana nel senso che il giusto in un mondo ingiusto va fatto fuori e se il giusto continua a fare il bene anche di fronte a chi lo perseguita ingiustamente, allora questa necessità umana diventa necessità divina, nel senso che continua a fare la volontà di Dio e noi sappiamo che la resurrezione è stata la risposta di Dio al modo in cui Gesù ha vissuto ed è morto.
Perché Gesù è stato risuscitato da Dio? Perché Dio ha detto con la resurrezione che la libertà e l'amore che quest'uomo aveva più vissuto era più forte della morte. Vi ricordate che nel Cantico dei Cantici si dice forte come la morte è l'amore. La morte e l'amore sono immaginati come due pugili che se le danno di santa ragione e nessuno riesce a mettere K.O. l'altro. Ed è già un'acquisizione. Gesù dice che più forte della morte è l'amore. L'amore che Gesù ha vissuto è stato più forte della morte.
Vi ricordate cosa sentiamo nella preghiera eucaristica? Avendo, preghiera eucaristica quarta, per attuare il tuo disegno di salvezza si consegnò liberamente alla morte risorgendo, distrusse la morte e rinnovò la vita. Venuta l'ora di essere glorificato da te, oh Padre Santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. E mentre cenava con loro, prese il pane, rese grazie, eccetera. Quindi la morte è stata vinta dall'amore che Gesù ha vissuto. Quolet non poteva arrivare a questo. Gesù è arrivato a vivere un amore così forte che anche di fronte all'irredento della vita, anche di fronte alle lacrime degli oppressi, anche di fronte alla sapienza problematica, anche di fronte a tutto quello che abbiamo visto, è stato più forte della morte.
Nel suo primo discorso, nell'alba di Pasqua, scusate, nel giorno di Pentecoste, Pietro, Gesù dice che Dio ha risuscitato Gesù sciogliendolo dalle angosce della morte perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. L'amore e la libertà vissute da quest'uomo sono state talmente forti che non era possibile che neppure la morte lo tenesse in suo potere.
E allora concludiamo questo percorso molto rapido che vi ha dato delle pennellate con tre frasi, con tre pensieri. Uno per ogni minuto che ci resta:
1. Primo pensiero, un poeta, Rilke, grande poeta. O Signore, concedi a ciascuno la sua morte, frutto di quella vita in cui trovò amore, senso e pena.
2. Secondo pensiero, poi potrete interrogarmi su questo nelle domande perché suscita sempre un vespaio. Dietrich Bonhoeffer, una frase che non dimenticherete mai più. La fede nella resurrezione non è la soluzione del problema della morte. La fede nella resurrezione, che pure noi abbiamo, non è il colpo di spugna sul problema della morte. Qui neanche Gesù ha detto questo.
3. Infine, le parole di un grande filosofo, Paul Ricoeur, che in un'intervista, un filosofo francese, del 1969 diceva questo, interrogato così, che cos'è per lei la vita eterna? Rispondeva, sarebbe un mito se la pensassimo solo come un dopo, un al di là. È invece prima di tutto una categoria del presente. Io credo che facciamo delle esperienze. Tutto la categoria del presente. Io credo che facciamo delle esperienze di eternità tutte le volte che viviamo un'esperienza fondatrice. Ci sono degli istanti di una qualità talmente intensa che sono dei granelli di eternità in un tempo che passa. Credo dunque che tutte queste esperienze, attraverso un tempo che si disfa, sono esperienze di eternità.

E allora questo ci permette di rivolgerci verso la morte dicendo forse l'evento della mia morte può essere una sorta di porta su un'eternità che si radica nel presente e nella vita. La vita eterna non è la sopravvivenza ma la vita. Con il francese non è survi ma vi. La vita eterna è trovare un senso qui e ora. Un senso che Coellet e Gesù a loro modo, con diverse prospettive, ci hanno mostrato.
E io vi lascio appunto con una domanda: Qual è per voi il senso di eternità che date a ogni giorno della vostra vita?

Ludwig Monti

L’intervento di Ludwig Monti dal titolo “Perché questo tempo non sapete riconoscerlo” ha rappresentato la conclusione della XXIV Settimana Biblica di Rimini, incentrata sul dialogo tra il libro del Qoèlet e la figura di Gesù.

Intro e nucleo del contributo:

Monti affronta il confronto tra le domande aperte lasciate da Qoèlet e la risposta di Gesù. Il sottotitolo, tratto dalle parole di Gesù, richiama la capacità (o l’incapacità) di discernere i “segni dei tempi” nella storia e nella propria vita.
Nella sua introduzione, Monti mostra come Gesù, tre secoli dopo Qoèlet, riprenda molte inquietudini sapienziali, ma le trasformi in nuove domande e prospettive. L’uomo Gesù Cristo non dà soluzioni immediate: accoglie i dilemmi esistenziali di Qoèlet, li attraversa e spesso li rilancia, sapendo che si tratta di questioni che riguardano “a tutta la creazione e al mondo intero riguardo ad argomenti comuni a tutti”.youtube​settimanabiblica​
Il percorso di questa relazione non vuole proporre una sintesi risolutiva ‒ sarebbe tradire la complessità della realtà e della fede ‒ ma suggerire come la rivelazione cristiana apra alla ricerca di senso oltre il limite, accettando di restare “in cammino” tra domande e visioni differenti.
6 punti-indice (proposti da Monti):

Monti costruisce la sua riflessione attorno a sei punti-chiave per cogliere somiglianze e differenze tra Qoèlet e Gesù:

1) L’eredità sapienziale e la crisi del senso nel tempo presente
2) La ricerca della Sapienza: trovare, non trovare, continuare a cercare
3) La condizione umana, tra limite e desiderio d’infinito
4) La gioia come dono e rischio dell’esistere
5) Il volto di Dio tra silenzio, giustizia e misericordia
6) L’appello a riconoscere il tempo favorevole per vivere nel Vangelo


Sintesi della prospettiva:

Monti suggerisce che la sapienza biblica non elimina le inquietudini ma accompagna la fatica del discernimento. Gesù stesso accetta l’incertezza e invita a “riconoscere il proprio tempo”, non con formule semplici, ma con la responsabilità di chi si lascia interrogare dalla storia e dalla Parola.
Il messaggio finale è di apertura: come Qoèlet lascia domande e spazi vuoti, così il Vangelo offre un cammino, dove il senso si scopre solo vivendo nell’ascolto, nell’attesa e nella fede.


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