
A complemento di quanto abbiamo detto ieri nell'introduzione a tutto il corso, vorrei ricordare una distinzione classica riguardo l'amore, una distinzione che ha avuto un certo peso nella storia del cristianesimo e che indubbiamente ha acceso molto il dibattito a partire dal secolo scorso. Qualcuno di voi si ricorda certamente questo classico della teologia cristiana dovuto a Nygren, questo testo che ha avuto anche trent'anni fa in Italia una specie di scoperta e una grande lettura e si intitolava Eros e Agape di Nygren. È stato pubblicato in quei classici della teologia di tutte le chiese cristiane dal Mulino e poi ripresa questa collana dalle Deoniane attualmente.
Eros e Agape. Nygren era un teologo protestante e ha approfondito molto dunque la distinzione dell'amore, rifacendosi però a una distinzione se volete già greca e ripresa poi dal mondo cristiano. Noi abbiamo detto ieri come con la parola amore indichiamo tutta una serie di amori, senza farne molta distinzione, il che qualche volta imbroglia il nostro linguaggio sull'amore. Questo bisogno certamente di distinzione si sentiva già nel mondo greco. Il mondo greco aveva distinto l'amore in tre termini:
1. Eros. Attenzione, noi purtroppo quando sentiamo questa parola abbiamo subito la sensazione di toccare qualcosa quasi di negativo perché Eros viene erotico e noi ormai con quest'aggettivo giudichiamo qualcosa sul quale bisognerebbe conservare un certo pudore e che appartiene alla sfera sessuale e neanche usiamo questo termine in modo positivo. Non a caso noi finiamo per dire riviste erotiche che non sono certamente un canto all'amore. Ma questo termine in greco, Eros, indicava l'amore passionale, l'amore spontaneo che ci abita e che diventa passione, sentimento forte, in cui certamente c'è la trattiva, in cui certamente soprattutto c'è il connotato di un investimento forte della persona, dell'essere verso un'altra persona. Forse la maniera migliore per indicare Eros potrebbe essere in italiano l'espressione amore passionale, ma ripeto senza connotazione negativa.
2. Filia. Non è difficile da ricordare Filia perché ogni volta che noi vogliamo dire amore di qualcosa entra questo termine. Filocalia, amore del bello, amore della calia. Filosofia, amore della sapienza, sofia e la sapienza. Ecco la radice viene di qui,è uguale a Filia. Filia è un amore di dilezione, è un amore elettivo e soprattutto voi sapete che la filia indica l'amore che noi diremmo di amicizia. Certo, indica una distinzione dall'eros, però sono delle distinzioni che non seguono dei confini netti. Però certamente la filia è un amore elettivo, è un amore gratuito, è un amore potremmo anche dire più razionale. L'amicizia è filia normalmente.
Infine c'è un terzo termine in greco. Attenzione, è importante dirlo, è quasi mai usato, rarissimo, rarissimo, che è il termine agape. Agape indica l'amore totalmente gratuito, è l'amore nella sua espressione più alta. È un amore al quale pochi uomini sembrano capaci di arrivare. Ecco, vi sottolineo dunque che questo amore agape è quello invece più intravisto all'interno del Nuovo Testamento. Poche volte si parla di eros, alcune volte di filia, normalmente il termine è agape. Quando Giovanni arriva a definire nella prima lettera che Dio è amore, non dice che Dio è eros, non dice che Dio è filia, dice Dio è agape. E il verbo agapam è il verbo costantemente usato per dire l'amore di Dio, l'amore reciproco, amatevi l'un l'altro, Dio ci ha amato, noi amiamo Dio. Ecco, è il verbo legato a questo termine dell'agape.
C'è un bel testo che dovremmo leggere, andate a Giovanni al capitolo 21, in cui c'è un gioco straordinario. Questo ci aiuta molto a capire la differenza di questi termini. Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro, Simone figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Vi dico semplicemente, qui non ci interessa il discorso, qui c'è un errore molto brutto che viene fatto dagli esegeti. Simone figlio di Giovanni, mi ami più di queste cose, non di costoro. Gesù non mette nessuna concorrenza, come può dire a uno, ma tu mi ami più degli altri? Farebbe ridere, non sarebbe Gesù. In realtà ci sono molti studi che hanno mostrato, Simone figlio di Giovanni, mi ami più di tutte queste cose che tu hai, la pesca, le tue cose, la tua professione.
Gli rispose Pietro, certo signore, lo sai che ti voglio bene. Attenzione, Gesù gli ha chiesto, Simone di Giovanni, mi ami il verbo agapam più di tutte queste cose? Pietro non gli risponde col verbo agapam, gli risponde col verbo fileo. Ti voglio bene. Gli dice Gesù, pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo per la seconda volta, Simone figlio di Giovanni, mi ami tu? Gli rispose, signore, tu lo sai che ti voglio bene. Vedete un'attenzione,un'incomprensione tra Gesù che gli dice, mi ami col verbo dell'agape? Con il verbo dell'agape. Pietro che arriva a dire no, ti voglio bene, ma non sono capace arrivare al termine dell'agape. Gli disse per la terza volta Gesù, Simone de Giovanni, mi vuoi tu bene? Gesù acconsente che Pietro possa soltanto volergli bene e non possa amarlo dell'amore dell'agape. Gesù gli basta. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse mi vuoi bene. Gli disse, Signore, tu sai, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene.
Cioè vedete l'amore di agape è un amore che già sta nell'ambito della grazia. È quasi qualcosa che è impossibile alle forze umane. Umanamente è difficile, ma con la grazia del Signore si può arrivare all'amore. Altrimenti noi possiamo solo cercare di voler bene ed è già tanto quando vogliamo bene. Questo è il significato di Giovanni XX1 all'interno di una teologia dell'amore che è particolarmente cara al quarto evangelista. Tutta la sua prima lettera sarà sull'amore, ma la seconda parte del Vangelo, dal capitolo XIII fino alla fine, è nient'altro che la narrazione dell'amore, la gloria dell'amore. Quindi indubbiamente è significativo.
Ecco, per dirvi ancora che nel Nuovo Testamento noi dunque abbiamo questi echi della divisione greca. Ma mi sento di farvi un cenno finale, anche se un po' sconfinante. Benedetto XVI ci ha fatto come dono, primo del suo pontificato, una enciclica sull'amore, sulla carità. Deus es caritas Dio è amore, la conoscete. È un testo intellettualmente superbo, straordinario. È un testo veramente ben fatto. D'altronde questo tema era un corso che lui svolgeva già da professore universitario e maturato con lui. Ci ha dato un testo enorme. Io l'ho commentato più volte, l'ho scritto anche sopra quel testo. Ed è un testo coraggioso proprio su questi temi.
Perché? Perché Benedetto XVI reagisce a una certa tradizione cristiana, quella che poi Nygren in qualche misura ha sviluppato e ha divulgato cinquant'anni fa, ormai forse anche di più, di un'opposizione tra Eros e Agape. In quel libro Eros e Agape c'è un'opposizione grande. L'amore cristiano è Agape. L'Eros è ciò che resta soltanto umano. Poi all'interno, voi capite, di un teologo protestante, luterano, dove permane soprattutto la grazia e l'uomo permane nella sua condizione di peccato, certamente c'è stato uno schizzare di queste due forme dell'amore un pochettino l'una contro l'altra. Ma oserei dire che la tradizione di tutta la Chiesa è così.
L'Eros è ciò che è umano e ciò che deve essere redento, salvato. L'Agape no, è il dono dell'amore che viene da Dio. È sempre puro, è sempre santo, è sempre gratuito. C'erano stati alcuni padri della Chiesa orientale, ma io occidentale, noi siamo estremamente prudenti, voi sapete l'Occidente è contenuto,ma alcuni padri orientali greci, come Massimo il Confessore, come Gregorio di Nazianzio. Come Gregorio di Nazianzio che avevano parlato di eros manicos. Dove vedete eros manicos è l'amore folle. Ma l'avevano messo in Dio, dicendo che in Dio non c'è solo l'agape, ma c'è addirittura un amore passionale, è un amore folle per noi uomini. Come se Dio fosse innamorato di noi, avesse bisogno di noi, ci amasse di amore passionale. Ma vi ripeto era stato qualche padre della chiesa dire questo, poi nessuno aveva osato. Certamente negli anni 70 chi aveva osato ricorrere a queste espressioni fondandosi sui padri della chiesa era Olivier Clément. Questo grande teologo francese ortodosso che nei suoi libri ha parlato, uno l'abbiamo pubblicato anche di noi, Occhio di Fuoco, dicendo che in Dio c'è un amore passionale.
Ma sapete è stata la scoperta o per dire la liberazione di concetti che giacevano sotto cenere a partire dal secondo secolo, a partire da origine. Cioè quando si è arrivati a dire che Dio soffre, che in Dio c'è la sofferenza e che questa sofferenza è soprattutto una sofferenza per amore, occorre pensare che allora in Lui c'è anche un amore passionale. Non c'è solo una dilezio di chi è lontano, ma c'è un essere coinvolto nell'amore.
E allora Benedetto XVI arriva a dire in Deus Caritas Est, attenzione, che c'è una certa possibilità di immanenza l'uno e l'altro tra eros e agape. E che l'agape di Dio alcune volte si manifesta come eros, come amore passionale per noi. E che all'interno del nostro amore c'è una componente di eros che va assolutamente salvata, che va assolutamente salvaguardata e che è voluta e benedetta da Dio.
Il discorso è indubbiamente molto bello e ci aiuta certamente a trascendere, a sorpassare quell'antinomia che aveva regnato nella storia in cui eros e agape in qualche misura si contrapponevano e qualche volta si negavano l'un l'altro. Se c'era l'uno non c'era posto all'altro. Invece è un bel testo quello di Benedetto XVI e c'è questa audacia, questa possibilità in cui insomma l'eros, questo amore passionale che ci abita, certo sempre nella sua legittimità e nella sua purità, ma è anche un sentimento che sta in Dio.
Ecco questo per completare il quadro di quanto dicevamo ieri sull'amore. A me è sembrato importante, prima che passiamo alla lettura dei testi, avere questo quadro unitario, queste distinzioni sull'amore, in modo da avere discernimento ogni volta che usiamo i termini e comprenderli nella loro vera portata.
In questo intervento, Enzo Bianchi ci accompagna in una riflessione profonda e articolata sul tema dell’amore, riprendendo una distinzione classica che ha attraversato secoli di pensiero filosofico, teologico e spirituale: quella tra eros, filia e agape. A partire dagli antichi Greci fino al cuore del Nuovo Testamento, e passando per il dibattito moderno rilanciato dal teologo protestante Anders Nygren, l’autore ci invita a riscoprire la ricchezza e la complessità del linguaggio dell’amore.
Non si tratta solo di una distinzione teorica: capire le sfumature di questi tre modi di amare aiuta a dare nome e profondità alle nostre relazioni, ai nostri affetti, al nostro cammino spirituale. Bianchi mostra come il linguaggio biblico, in particolare quello giovanneo, privilegi il termine agape, l’amore gratuito e divino, ma non esclude la presenza e il valore dell’eros, inteso non come desiderio egoistico ma come tensione appassionata verso l’altro.
In dialogo anche con l’enciclica Deus Caritas Est di Benedetto XVI, questo testo propone una visione integrata dell’amore umano e dell’amore di Dio, che non si escludono ma si illuminano a vicenda. Una lettura che ci aiuta non solo a comprendere meglio i testi biblici, ma anche a vivere con maggiore consapevolezza e verità le nostre relazioni quotidiane.