
Testo della narrazione
Quel mattino avevo una voglia pazza di vederlo.
Chi? Il mio amante naturalmente, non certo quel buono a nulla di mio marito. Il mio matrimonio? Un fallimento. O forse dovrei dire: la mia vita - un fallimento! O forse no. Il fatto è che a quel tempo vivevo una grande confusione: mi sembrava di essere sicura di molte cose, ma poi a volte, improvvisamente, mi si smontavano tra le mani e mi ritrovavo ad annaspare. Così era stato per il mio matrimonio, ma non era che l’ultimo atto di una storia che si perdeva nel tempo.
Sono cresciuta in una famiglia numerosa, avevo sempre dovuto lottare per ottenere un po' di attenzione. Mio padre, un uomo rigido e severo, non era incline a gesti di tenerezza, e mia madre, sopraffatta dalle fatiche quotidiane, non aveva tempo per parole gentili o carezze.
Ma la mia situazione non era diversa da quella di tante altre amiche. Ero una ragazza normale come tante: educata al timore di Dio e al rispetto della Legge, come tutte le nostre generazioni, da secoli e secoli.
Certo: avevo anch’io i miei peccati e le mie mancanze e per questo c’era “iom kippur”, il giorno dell’espiazione, che celebravo come tutti quanti. Un po’ come la vostra confessione di oggi.
Ogni tanto però mi prendeva come un senso di disperazione, quando lo celebravo: mi sembrava fosse inefficace per me.
Ma chi avrebbe osato dirlo? Certo è che in capo a pochi giorni ero sempre daccapo. Il cerchio che non si spezza
Però avevo la sensazione di essere come in un cerchio da cui non si usciva mai definitivamente fuori: si peccava e c'era il giorno della espiazione; c'era il giorno della espiazione e poi si tornava a peccare.
E la cosa drammatica era che questo rincorrersi di tradimenti e richieste di perdono lo sentivo anche dentro di me:amaramente dovevo constatare che anche quando mi mettevo con tutto l'impegno, non riuscivo ad essere quella che volevo. C'era un guerra dentro di me, una battaglia che sempre perdevo: confesso che in qualche momento mi sentivo disperata, una sventurata. Ma cancellavo prontamente queste spiacevoli sensazioni. Alla fine sarei riuscita a convertirmi!
Un matrimonio senza amore
Infine mi sposai. Chi decise del matrimonio? I nostri genitori? Io e mio marito? Le circostanze? Se avete la pazienza di ascoltarmi, capirete che non è molto importante decidere tra queste risposte. Il nostro matrimonio fu come quello di tanti: molta eccitazione per la preparazione della festa, un senso piacevole di novità i primi mesi e poi la vita quotidiana che inesorabilmente fa passare la poesia e le speranze. Un matrimonio senza amore che si rivelò presto una prigione. Lui era brusco, distante, e spesso crudele. Ogni mio tentativo di avvicinarsi a lui veniva respinto con parole fredde o silenzi gelidi. Col passare degli anni, la solitudine divenne insopportabile. Comincia a sentirmi invisibile, come se non fossi mai esistita davvero.
Il matrimonio era esattamente il contrario di quanto speravo, tutto qui. Come per quasi tutti, tranne pochi fortunati. E io mi sentivo sola! Tradita nelle mie aspettative, nei miei desideri, nei miei sogni. Mi sembrava di essere io la persona sbagliata, di non essere abbastanza.
Deludente. Anche sul piano sessuale, passata l'eccitazione e la curiosità delle prime volte, tutto fu molto vuoto: rapporti vissuti a scappa e fuggi, in cui io ero lontana mille miglia. Ma non voglio rivangare queste cose: correrei il rischio di farvi venire il desiderio di dare qualche buon consiglio, come tanti ce ne davano allora. Sì, perché quelli non sono mai mancati. Da mia madre, dalle mie amiche, perfino dal maestro della sinagoga.
L’incontro con l’altro
Ma, riprendendo il filo del discorso, vi stavo dicendo che quella mattina avevo una voglia pazza di vedere il mio amante. Chi era? Non é importante. Vi ho già detto che non intendo coltivare la vostra curiosità e non sono qui a raccontarvi un romanzo rosa! Voglio solo dire che mi affascinava, mi attraeva, lo trovavo tremendamente desiderabile. Mi sembrava che la vita si arricchisse, quando stavo con lui. Diventavo esperta, mi si aprivano gli occhi e vedevo che fino a quel momento ero stata come nell'ignoranza. Mi si apriva davanti un mondo nel quale io finalmente non avevo confini. La vita di prima, adesso, mi appariva come una gabbia, fatta di mille divieti, in cui io dovevo solo obbedire a tanti padroni: da mio marito, su su fino ai comandamenti di Dio. Fino al quel momento ero stata ingannata, tenuta nella bambagia: lui invece era uno che la sapeva lunga. Insomma era eccitante e non come quel pesce lesso di mio marito! Mi faceva sentire desiderata e mi venivano le vertigini: mi sentivo importante! Naturalmente non ne parlai con nessuno! Se non con una mia amica che capiva benissimo, perché anche lei aveva un marito impossibile. Gli altri mi avrebbero rimproverata e c'erano già abbastanza grilli parlanti nella mia vita. Tuttavia avvertivo una sottile inquietudine e senso di vuoto, specie nei momenti in cui restavo da sola. Anzi a volte ero proprio arrabbiata. Perché non l'avevo incontrato prima? Perché questo amore doveva essere proibito e vissuto di nascosto? Avremmo voluto gridarlo ai quattro venti, ma era impossibile! Sapevamo bene cosa dice la legge di Mosè: Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adultero e l'adultera dovranno essere messi a morte». Il comandamento, la Parola di Dio, si ergeva dinanzi a noi minacciosa e invalicabile. Nonostante ci incontrassimo in luoghi segreti e ben nascosti, avevo sempre la sensazione che ci fosse qualcuno che ci guardava, anzi che ci spiava. Mi venivano in mente le parole di un salmo imparato da bambina: «I suoi occhi sono aperti sul mondo, le sue pupille scrutano ogni uomo.. E avevo paura. A volte mi dicevo che una relazione così era un’assurdità, che mi sarei dannata, che ero una poco di buono.! Ma volevo anche gridare a tutti: «È una colpa volere un'ora di felicità? Voler essere amata da qualcuno? E più conoscevo questo uomo e meno potevo farne a meno. E lo stesso era per lui: mi diceva che gli avevo rapito il cuore' e che ero per lui come una coppa di vino drogato.”
La scoperta e la condanna
Quel mattino avevo una pazza voglia di vederlo. Ma qualcosa andò storto. Irruppero come un'orda di forsennati e la mia vera morte si consumò già lì, in quell'essere afferrata da mani estranee, nel rimbombare di voci minacciose, nello sguardo accusatore, penetrante i miei vestiti e la mia anima. Se il mio amante fu tanto lesto quanto vigliacco o se fu favorito nella sua fuga dalla complicità maschilista, in fondo cosa importa? Scaraventata sulla spianata del tempio dalle mani della giustizia, la mia totale solitudine era la mia tomba, prima ancora che piovessero addosso le pietre. Ci fosse stato il mio amante ad abbracciarmi, in quel momento, saremmo morti insieme, aggrappati al nostro impossibile amore!
Di nuovo tradita e fallita. Era questa la cosa che mi bruciava di più! Pregai Dio che tutto finisse in fretta. Che tanto la mia vita era sempre stata per la morte. Che ero una maledetta. Rassegnazione e rabbia: ribellione contro il mio destino
Ma una voce mi accusava implacabile: Era un brano della Bibbia: «Se non obbedirai alla voce del Signore tuo Dio e non cercherai di eseguire tutti i suoi comandi, il Signore lancerà contro di te la maledizione finché tu sia distrutto e perisca rapidamente».
Se poi pensavo ai miei genitori, alle mie figlie e a quanti mi stimavano, morivo di vergogna.
Quel maestro chiamato Gesù
Ma la cosa più ignobile fu che, invece di lapidarmi subito, vollero prolungare la tortura, strumentalizzandomi biecamente per certi conti in sospeso che avevano con uno dei maestri che insegnavano sotto il portico di Salomone e così cominciarono a discutere se lui era d'accordo o no nell'applicare la legge di Mosè. Quel maestro si chiamava Gesù. Era forestiero, della Galilea.
Si era trovato di fronte ad un impossibile bivio.
Se avesse semplicemente confermato Mosè, avrebbe lasciato che mi lapidassero. la Toràh era salva e Lui non avrebbe avuto grane con i custodi del Diritto, ma io sarei morta miseramente. Altrimenti, per salvare me, quel Gesù sarebbe incappato nell'accusa di essere un sovversivo. E magari ammazzavano anche lui.
Quel giorno, dinanzi a Lui, giustizia e misericordia sembravano opposte come non mai o destinate a perdere ciascuna del suo rigore, per concedere qualcosa all'altra, in quel gioco di compromessi e chiaroscuri che avvilisce la serietà della vicenda umana. Ma in quel momento non capivo nulla di tutto questo, terrorizzata com'ero. Sentii solo che le grida divenivano più rare e dotate di meno virulenza, finché ci fu un totale silenzio.
Lo sguardo di Gesù
Ora gli occhi di tutti non erano più fissi su di me. L'attenzione si era spostata su quel Maestro, colto alla sprovvista, che doveva rispondere alla domanda implacabile dei farisei: Cosa ne pensi di questa donna colta in flagrante adulterio?
Lui non aveva battuto ciglio. Si era posto nel mezzo del cerchio, idealmente raffigurato, tra me e i miei futuri carnefici. Il suo silenzio, il suo modo di muoversi e di tacere avevano creato una tensione sospesa, come un tempo fermo. Io ero raggomitolata a terra, terrorizzata, con le mani che coprivano il viso e la testa, cercando invano di proteggermi da quelle pietre che immaginavo già pronte a trafiggermi.
Poi, mentre tutto sembrava ammutolito, il silenzio mi colse di sorpresa. Lentamente allargai le dita davanti agli occhi e lo vidi. Il Maestro stava compiendo un gesto che sembrò strano a tutti: si era chinato a terra, le gambe incrociate, e con il dito scriveva sulla sabbia. Le sue mani si muovevano leggere, quasi disegnassero una verità invisibile.
Non riuscii a vedere cosa scrivesse, perché, in un istante, il suo sguardo si sollevò e incrociò il mio. Quel momento rimase inciso nella mia anima. Nel suo sguardo c'era fermezza e purezza, la cristallina verità che non lasciava spazio a compromessi. Nulla in Lui ammiccava al mio peccato, eppure non c'era condanna. Se avesse voluto, avrebbe potuto scagliarmi contro una cava intera di pietre: Lui aveva ogni diritto, perché non era come gli altri.
Dopo un attimo eterno, il Maestro si rialzò. La sua figura sembrava colmare lo spazio tra cielo e terra. Poi, con voce ferma e pacata, si rivolse agli uomini intorno.
Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei.
Le sue parole pesarono più delle stesse pietre pronte a essere lanciate contro di me.
In quell'istante sospeso, un brivido di consapevolezza attraversò la folla. Il silenzio si fece denso, e lentamente uno dopo l' altro, colti da una colpevole inquietudine, si allontanarono, confusi e turbati.
Un tu a tu con Gesù
Ormai non c'era nessuno, se non io e lui, e là, sulla pubblica piazza. mi prese per mano, mi aiutò a rialzarmi e a rimettermi in ordine. Stavo cominciando a riavermi, quando Lui mi guardò negli occhi: nel Suo sguardo c'erano la fermezza e la purezza cristalline della verità. Fu la prima volta che cominciai a ridimensionarmi sul serio, a vedere chi ero io, stando di fronte a Lui. Mi sentivo piccola e brutta e adesso stavo male, ad una profondità prima nemmeno scalfita dalle pur pesanti accuse degli scribi e dei farisei.
«Nemmeno io ti condanno, va e d'ora in poi non peccare più».
Non penso di aver afferrato molto di quanto disse allora. Era stato tutto troppo repentino: realizzai soltanto che dovevo essere morta e invece ero viva. Ma con una grande confusione in testa. Tornare a casa non ne avevo voglia: affrontare mio marito era una fatica impossibile. Non ero certo pronta a farmi picchiare o a sostenere urla e minacce. Mi rifugiai nell'atrio delle donne per alcune ore. Intanto cominciai a desiderare di saperne di più su questo maestro, calato all'improvviso nella mia vita: chi era, cosa voleva, perché mi aveva salvato la pelle? Quella sera stessa cominciai a capire quello che in seguito mi divenne così chiaro da lasciarmi stupita, felice e spaventata: quella mattina, sulla spianata del Tempio, quell'uomo mai visto e conosciuto aveva giocato la Sua vita per salvare la mia. Nel Suo sguardo avevo visto chi ero io dinanzi a Lui. Adesso cominciavo ad intuire chi ero io per Lui: così preziosa" che non aveva esitato a pagare con la vita la Sua scelta di farsi solidale in tutto con me, di condividere la mia povera condizione di figlia peccatrice. Da una fuga ad un'altra avevo finito per trovarmi intrappolata nella più atroce e vergognosa delle morti, schiacciata dalle pietre, dai miei fallimenti e dal mio cuore abbandonato.
Lì era avvenuto il miracolo di trovare quell'uomo che invano avevo cercato altrove: uno che mi amasse da morire!
Recita
Federica Lualdi
Musica di sottofondo
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Una rielaborazione narrativa a partire dalla storia dell'adultera che troviamo nel vangelo di Giovanni.
Il testo è liberamente tratto da
Paolo Bizzetti, Anamnesi di una scampata, Edizioni Lipa