Quale gioia? (Il Giubileo nella Bibbia)



Testo della catechesi
«..Roma è chiamata ad accogliere tutti, perché tutti possano riconoscersi figli di Dio e fratelli tra loro.. la speranza della fraternità.. sì, la speranza del mondo sta anche nella fraternità, ed è vero pensare che la nostra città nei mesi scorsi è diventata un cantiere per questa finalità, con questo senso complessivo: prepararsi ad accogliere uomini e donne di tutto il mondo, cattolici e cristiani, delle altre confessioni, credenti di ogni religione, cercatori di verità, di libertà, di giustizia.. e di pace. Tutti pellegrini di speranza e di fraternità. Ma dobbiamo domandarci: questa prospettiva, ha un fondamento? ..la risposta ce la dà la santa madre di Dio, mostrandoci Gesù.. la speranza di un mondo fraterno è Lui.. perché tutti possiamo diventare ciò che siamo! ..(ma) prendiamo coscienza di quale sia il cantiere decisivo, il cantiere che coinvolge ognuno di noi. Questo cantiere è quello in cui ogni giorno permetterò a Dio di cambiare in me ciò che non è degno di un figlio.. il Signore ci benedica tutti noi, ci perdoni i peccati e ci dia la forza per andare avanti, per andare avanti nel nostro pellegrinaggio..». 

«Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni.. quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo.. esso sarà per voi santo» (Lv 25,8-12). È da queste parole, tratte da uno dei libri più ostici dell’intera Bibbia, che parte il Giubileo cristiano, il quale però, precisa il biblista Gianfranco Ravasi nel suo libricino intitolato Il significato del Giubileo (scritto in occasione di quello del 2015, dedicato alla misericordia), «è un evento di sua natura di dialogo interreligioso, perché ha come punto di partenza un testo ebraico.. il capitolo 25 del Levitico».

Quello del 2025 si apre però con la bolla Spes non confundit, “la speranza non delude” (rimando al capitolo quinto della Lettera ai Romani), con la quale papa Francesco il 9 maggio 2024 ha indetto il 28° Giubileo dell’era cristiana. E, siccome «Tutti sperano.. Possa il Giubileo essere per tutti occasione – augura il pontefice – di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni». Speranza che, scrive poco dopo, «porta a sviluppare una virtù strettamente imparentata con (essa): la pazienza. Siamo ormai abituati a volere tutto e subito, in un mondo dove la fretta è diventata una costante. Non si ha più il tempo per incontrarsi e spesso anche nelle famiglie diventa difficile trovarsi insieme e parlare con calma. La pazienza è stata messa in fuga dalla fretta, recando un grave danno alle persone. Subentrano infatti l’insofferenza, il nervosismo, a volte la violenza gratuita, che generano insoddisfazione e chiusura. Nell’epoca di internet, inoltre, dove lo spazio e il tempo sono soppiantati dal “qui ed ora”, la pazienza non è di casa». Speranza e pazienza che dicono bene come la vita, cristiana nello specifico, sia da intendersi come un cammino, «che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù». Ecco la ragione che sottostà ad ogni Giubileo!

«L’Anno Santo 2025 si pone in continuità con i precedenti eventi di grazia. Nell’ultimo Giubileo Ordinario – prosegue papa Francesco – si è varcata la soglia dei duemila anni della nascita di Gesù Cristo. In seguito, il 13 marzo 2015, ho indetto un Giubileo Straordinario con lo scopo di manifestare e permettere di incontrare il “Volto della misericordia” di Dio..». Misericordia del quale il cardinal Ravasi, nel testo già citato, premette: «..è noto che nella Bibbia la misericordia ha come organo simbolico le viscere materne, il grembo, in ebraico rahamîm, un vocabolo la cui radice indica anche l’amore radicale e totale di una madre», aggiungendo poi come ogni sura, ogni capitolo del Corano, inizi con: «Nel nome di Dio clemente e misericordioso», due parole queste ultime, in arabo rispettivamente rahman e rahim, che evocano la stessa immagine dell’utero materno. Precisa quindi che l’ebraico conosce un’altra parola capace di rievocare il medesimo sentimento: hesed, «di solito reso con “fedeltà, bontà, amore”.. (ma che) in realtà, vuole esprimere la rete di relazioni esplicite e implicite che uniscono due persone che si amano.. Hesed diventa, perciò, il vocabolo emblematico per designare l’alleanza tra Dio e il suo popolo e risuona ben 245 volte nell’Antico Testamento». Nel greco del Nuovo Testamento invece, quale parola simile troviamo? Splanchnízomai, anch’esso riferito alle viscere materne, «spesso applicato a Gesù, ed éleos, che ricalca il tema della vicinanza affettuosa a chi è in difficoltà, la “compassione”, cioè la sintonia nel patire ma anche nel gioire, provando lo stesso pathos». Perché questa introduzione al tema della misericordia? Perché è la cifra del Giubileo stesso, «istituzione (che) – prosegue il cardinale – vorrebbe generare non solo atti di culto ma soprattutto un rinnovamento radicale della comunità umana nelle sue stesse strutture socio-economiche». Siccome il rischio di pensare (per poi dover eventualmente constatare) che tutto si riduca ad una grande giostra mediatica, cultuale ed economica, è alto, proviamo ad attingere dalle fonti scritturistiche di questo grandioso fenomeno, facendo tuttavia un percorso a ritroso: dal Giubileo del 2025 a quello biblico, passando ovviamente per il più noto, quello inaugurato da Bonifacio VIII nel 1300, forse ispirato dallo zio, il beato Andrea Conti, un francescano morto appena due anni dopo. 

Concediamoci quindi il lusso di accennare ai diversi giubilei della storia, o almeno ai più iconici, procedendo però a ritroso e sottolineando, tra l’altro, il fatto che queste tappe storiche sono state e saranno un’opportunità per celebrare la santità. Se quello del 2025 è occasione per far salire all’onore degli altari i laici Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, nel 2015 Francesco dichiarava un Giubileo in occasione del 50° anniversario della fine del Vaticano II, mentre nell’anno che ha aperto il terzo millennio Giovanni Paolo II celebrò anche la Giornata Mondiale della Gioventù a Roma, nel 1983, invece, il pontefice polacco sottolineava il 1950° anniversario della morte e risurrezione di Gesù. Oggi tuttavia, pur sapendo che l’anno “zero” non è quello stimato dal monaco Dionigi il piccolo, i 33 anni di Gesù rimangono fortemente simbolici, oltre che ormai ancorati all’immaginario collettivo e alla devozione popolare. Se nel 1975 Paolo VI dedicò l’Anno Santo alla riconciliazione (primo Giubileo ad essere trasmesso in mondovisione), in quello del 1950 Pio XII proclamò il dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo. Il 1933 fu la volta di un altro Giubileo straordinario, per la ricorrenza questa volta dei 1900 anni dalla morte di Gesù. Nell’aprile dello stesso anno, l’allora insegnante tedesca Edith Stein, futura santa Teresa Benedetta della Croce, scrisse a Pio XI una lettera che tuttavia non ebbe mai risposta.. in essa scriveva: «Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è.. una macchia nera nella cronaca di questo Anno Santo, che sarebbe dovuto diventare l’anno della pace e della riconciliazione?». Se in quello del 1900 fu presente il giovane seminarista Angelo Roncalli, il 1875 vide tra i pellegrini giunti nell’Urbe don Giovanni Bosco, mentre nel Giubileo del 1750 Benedetto XIV istituì la Via Crucis al Colosseo, consacrando l’anfiteatro a luogo emblematico del martirio dei primi cristiani. Cinquant’anni prima fu aperto da Innocenzo XII ma concluso da Clemente XI, mentre l’anno giubilare del 1575 fu l’occasione, per Gregorio XIII e l’intera cattolicità, di rinnovare quanto deciso al Concilio di Trento. L’affluenza dei pellegrini per questo Anno Santo venne stimata in circa 400.000 persone, al tempo in cui la futura capitale d’Italia contava appena 80.000 abitanti. In quello del 1550 due giganti della santità vi lasciarono traccia: Ignazio di Loyola e Filippo Neri. Nel 1475 a indirlo fu Paolo II, che tuttavia morì prima dell’inizio, ragion per cui a presiederlo fu Sisto IV. Con la bolla Ineffabilis Providentia si stabilì che, a partire da quel Giubileo, i restanti fossero  celebrati ogni 25 anni, fissando in tal modo una scadenza fino a quel momento irregolare: da cento, a cinquanta, quindi a trentatré, infine a venticinque. È proprio durante questo anno che venne inaugurata, in vista del Giubileo successivo, la “cappella palatina”, chiamata in seguito “Sistina”. In quello precedente, definito il “Giubileo dei santi”, la canonizzazione di Bernardino da Siena moltiplicò l’affluenza dei pellegrini a Roma; in quella domenica di Pentecoste del 24 maggio, ad assistere alla celebrazione c’erano tra costoro altri futuri santi: sicuramente Giovanni da Capestrano e Diego d’Alcalà (cui deve il nome la celebre metropoli californiana), con ogni probabilità anche Rita da Cascia, senza dimenticare che in quell’anno lasciò il segno, attraverso la sua arte, Giovanni da Fiesole, conosciuto post mortem come “Beato Angelico”. Affluenza che fu buona anche nel secondo Giubileo cristiano della storia, quello del 1350, indetto da Clemente VI durante la sua triste “cattività avignonese”, nonostante la peste e il terremoto che colpì l’urbe l’anno prima: oltre un milione e mezzo di pellegrini si riversarono infatti in città. Clemente VI che abbreviò come accennato la cadenza giubilare, inizialmente posta all’anno “Centesimo” (come lo aveva chiamato Bonifacio VIII), ai cinquant’anni, cambiando il nome in Giubileo, col chiaro intento di riferirsi al prototipo veterotestamentario. Sempre nel 1350, giunta a Roma, la futura santa Brigida rimase enormemente delusa dalla città, dai romani e dal clero, che rimproverò senza mezzi termini a causa del mercanteggiare delle indulgenze.   

Ed eccoci finalmente al primo Giubileo cristiano, indetto dal già citato Bonifacio VIII il 22 febbraio del 1300 con la bolla Antiquorum habet. Se è vero che tale evento fu anche uno strumento politico-simbolico per riaffermare la centralità cristiana di Roma (che in quel contesto diventava di fatto la nuova Gerusalemme, meta di pellegrinaggio e redenzione), con la sua Spes non confundit papa Francesco ci tiene però a precisare come questo momento sia stato in realtà preparato già dalla «grande “perdonanza” che San Celestino V volle concedere a quanti si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, a L’Aquila, nei giorni 28 e 29 agosto 1294, sei anni prima.. La Chiesa già sperimentava, dunque, la grazia giubilare della misericordia. E ancora prima, nel 1216, Papa Onorio III aveva accolto la supplica di San Francesco che chiedeva l’indulgenza per quanti avrebbero visitato la Porziuncola nei primi due giorni di agosto. Lo stesso si può affermare per il pellegrinaggio a Santiago di Compostela: infatti Papa Callisto II, nel 1122, concesse di celebrare il Giubileo in quel Santuario ogni volta che la festa dell’apostolo Giacomo cadeva di domenica». Bonifacio VIII decise quindi che ai romani che avessero visitato in quell’anno, per ben trenta volte (!?) le basiliche degli apostoli Pietro e Paolo, sarebbe stata concessa un’indulgenza plenaria, concedendo però lo sconto del 50% ai pellegrini giunti da fuori l’Urbe, ai quali sarebbero state sufficienti quindici visite. Quanti pellegrini fecero capolino a Roma nel 1300? Si parla di due milioni, tra i quali diversi VIP: Giotto, che affrescò la loggia delle benedizioni in Vaticano, il suo maestro Cimabue e, con ogni probabilità, Dante Alighieri, che in alcuni canti della Divina Commedia fa riferimento proprio a quel Giubileo.

Questi artisti ci impongono una riflessione, dato che è proprio con l’affresco di Giotto al Laterano, raffigurante Bonifacio VIII che inaugura il primo Giubileo cristiano della storia, che inizia a cambiare anche il volto artistico e architettonico della città eterna, plasmata in buona parte dagli eventi giubilari. Iconico in tal senso è Ponte Sisto, voluto da Sisto IV che, costruendolo per agevolare la viabilità dei pellegrini (fino a quel momento l’unico accesso al Vaticano era costituito da Ponte Sant’Angelo), inaugurava un’opera prettamente giubilare. Come non citare poi la fissazione del percorso delle “Sette chiese”, tanto care a Filippo Neri. «Il rapporto tra Giubilei e grandi imprese architettoniche e artistiche – scrive a tal proposito Timothy Verdon sul mensile Luoghi dell’infinito del gennaio 2025 – diventa comprensibile all’interno di un altro rapporto, di carattere teologico: quello tra la fede cristiana e la visibilità». Già, perché meta ultima di ogni credente è la visione beatifica di Dio. È tale ragione, prosegue lo storico dell’arte statunitense, che «spinge milioni di persone ad affrontare il pellegrinaggio a Roma, dove alla fine del viaggio vogliono vedere qualcosa: vengono per gustare, già su questa terra, la beatitudine radicata “nell’atto che vede”.. È la logica, questa, del sistema dei grandi segni che accompagnano la vita dei fedeli – il sistema sacramentale».

Occorre però risalire alla fonte del Giubileo, al suo humus biblico.. lo facciamo lasciandoci aiutare dal già citato Ravasi, che precisa anzitutto come, nonostante venga celebrato ufficialmente a partire da Bonifacio VIII, «un papa dai contorni non proprio luminosi – stando almeno alla lettura che ne faceva il contemporaneo Dante», tale vocabolo risalga «al suono del corno di montone.. (nell’) Antico Testamento il termine jobel compare ventisette volte: sei volte non c’è ombra di dubbio che significhi il corno d’ariete.. nelle altre ventuno riguarda l’anno giubilare». Jobel, ancora, che risuona in primis nel capitolo venticinquesimo dell’ostico libro del Levitico. La traduzione greca della Bibbia però, la celebre Settanta, ha tradotto jobel con áphesis, “remissione, liberazione”, ma anche “perdono”. Áphesis è tra l’altro il termine che utilizza Gesù nel Vangelo di Luca; non solo, “giubileo” non compare mai nell’intero Nuovo Testamento! I Settanta hanno in pratica tradotto un termine squisitamente liturgico con uno etico, morale ed esistenziale, passando direttamente al suo contenuto: la remissione dei debiti e la liberazione degli schiavi. 

Tornando al corno d’ariete, invece, è interessante notare che venisse suonato «all’inizio di un anno particolare, nel decimo giorno del mese di Tishri.. cioè durante il giorno del Kippur, dell’“Espiazione” del peccato d’Israele.. nella lingua fenicia.. per certi versi la sorella maggiore dell’ebraico – sottolinea ancora Ravasi – , la stessa radice, ossia le tre consonanti che sono alla base della parola jobel, cioè jbl, indica il “capro”, una componente significativa proprio del Kippur». In definitiva, scandendo il corno un tempo sacrale, non v’è dubbio che alla sua base stia il termine “giubileo”, le cui fondamenta bibliche hanno tuttavia molteplici rimandi, a partire dal riposo della terra che, «Stando allo schema sabbatico, con cui era misurato il tempo.. ogni sette anni si faceva riposare.. (ma anche, stando a Lv 25) dopo sette settimane di anni, cioè nel cinquantesimo». Ma a tal proposito il cardinale evidenzia come la cosa sia piuttosto improbabile, dato che «far riposare la terra per due anni di seguito (il quarantanovesimo e il cinquantesimo), in una civiltà di tipo agricolo, non avrebbe permesso la stessa sopravvivenza. Quindi, o l’anno giubilare coincideva con il settimo anno della settima settimana, oppure il Giubileo, più che un’istituzione concreta era soprattutto un auspicio, una carica utopica, uno sguardo oltre il consueto modo di vivere». Interessante il fatto che, aprendo una parentesi sui giorni nostri, il più celebre dei pistacchi, quello della località siciliana di Bronte, venga lasciato “riposare” per un anno, durante il quale non viene raccolto alcun frutto. Ma perché? Perché tale riposo permette alla pianta di accumulare energia e produrre successivamente un raccolto di maggior qualità. Lasciar riposare la terra però, oggi come ai tempi biblici, significa ammettere che essa è anzitutto un dono, e per tutti, nessuno escluso. 

Altro tema giubilare della Sacra Scrittura è la remissione dei debiti e la restituzione delle terre al proprietario primitivo. Per capirne la ragione occorre ricordare che nella Bibbia non esiste il moderno concetto di proprietà privata, perché la terra era delle tribù e delle famiglie, per cui ognuno godeva del suo territorio.. ma «tutte le volte che si perdeva la propria terra, si veniva meno, in un certo senso, alla divisione voluta da Dio. Ogni mezzo secolo si ricostruiva quindi la mappa della terra santa così come si pensava che l’avesse voluta Dio (per le tribù d’Israele)», eccezion fatta per quella di Levi che, occupandosi unicamente del servizio al tempio, si sostentava grazie ai contributi che le altre tribù stesse offrivano in esso. Quanto ai debiti, il meccanismo era il medesimo: «Dopo cinquant’anni si decideva di tornare al punto di partenza, facendo sì che tutti si ritrovassero a un livello di assoluto, ideale, utopico “comunismo”». 

Altro caposaldo scritturale è la liberazione degli schiavi, di cui parla Ezechiele al capitolo quarantaseiesimo (46,17). Quindi il noto tema del pellegrinaggio, fatto proprio soprattutto dalla tradizione cristiana. Ravasi evidenzia come, non essendo questo tema esplicito, in realtà l’intera Bibbia si muova sulla categoria del viaggio, da un giardino ad una città, dal paradiso terrestre alla Gerusalemme celeste. E questo accade, come detto, fin dalla prima pagina, che «è un anti-pellegrinaggio, perché anziché rimanere nel santuario del paradiso terrestre, ossia della comunione con Dio, l’uomo e la donna escono, abbandonano l’orizzonte luminoso del giardino per entrare nella terra deserta e solitaria che vedrà presto i primi delitti». Ma con Abramo, nella stessa Genesi, si avrà subito la figura del pellegrino per eccellenza, chiamato ad andarsene dalla propria terra, verso una che non conosce (cfr. Gn 12,1). Il secondo libro biblico, quello dell’Esodo, sarà fondato sul viaggio, e Israele si considererà sempre un popolo nomade, essendo tra l’altro le sue principali festività “di pellegrinaggio”: Pasqua, Settimane (o Pentecoste) e Capanne. Il viaggio diventa dunque una definizione dell’essere umano stesso, nonché miglior metafora della vita, l’uomo è infatti come «ombra che passa», per dirla col Salmo 39 (39,7). Non solo, «l’ultima parola della Bibbia – è ancora il biblista lombardo a parlare – è un verbo di movimento: “Vieni, Signore Gesù!”». 

Il quinto tema è quello del regno di Dio nella storia, proposto da Gesù stesso che, citando Isaia nella sinagoga di Nazaret (cfr. Lc 4), interpreta il «Giubileo come manifestazione del regno, cioè di quel diverso ordine di rapporti che egli è venuto ad annunciare e a costruire.. (recuperando) la storia e opera di trasformazione del mondo entro cui viviamo». La sesta tematica è rappresentata dal tempo, che noi suddividiamo «in secoli di cento anni; gli ebrei invece.. in cinquanta anni. L’anno giubilare, quindi, scandiva il tempo». Il porporato milanese ci ricorda a tal proposito che, utilizzando il Nuovo Testamento due vocaboli per definirlo, chrónos e kairós, rispettivamente il tempo quantitativo e quello qualitativo, il Giubileo tende a coniugarli, intersecando – attraverso l’incarnazione di Gesù – il tempo con l’eternità, la finitezza con l’infinito, la terra con il cielo. L’ultimo tema è quello dell’utopia, vocabolo inventato da san Tommaso Moro in uno scritto del 1516 che porta proprio questo nome. Si chiede a riguardo lo stesso Ravasi: «È pensabile che gli ebrei.. fossero pronti ogni cinquant’anni ad azzerare tutti i debiti e a far sì che tutti ritornassero allo stesso livello di prima? ..a restituire tutte le terre ai proprietari originari? I profeti lamentano che si faceva esattamente il contrario». La risposta tacita è ovviamente “no”, ragion per cui quella del Giubileo è in primis una carica eversiva, la cui portata è davvero rivoluzionaria, un richiamo all’impossibile, un’u-topia, appunto, letteralmente un “non-luogo”, non ancora presente perché meta prima che punto di partenza, obiettivo primo che status, fine prima che inizio.  

Lo stesso autore sottolinea quindi che nel Levitico «Si parla di “tromba”, ma la traduzione non è corretta. Si tratta del “corno”dell’acclamazione; infatti il termine usato non è jobel ma quello rituale più generico che si usa nella liturgia sinagogale anche oggi, cioè shofàr, il corno di montone».  

Interessante che la tradizione giudaica post biblica abbia composto, circa cento anni prima della nascita di Cristo, Il libro dei Giubilei, chiamato anche Piccola Genesi e considerato canonico solamente dalla Chiesa ortodossa etiope, testo secondo il quale l’intera storia mondiale sarebbe scandita dai Giubilei e, per arrivare all’era messianica, occorrerebbero ben 85 Giubilei, in pratica 4.000 anni!

Torniamo adesso alla Spes non confundit di papa Francesco, focalizzata sul futuro, da «Guardare.. con speranza», bolla che anticipa «un’altra ricorrenza fondamentale per tutti i cristiani: nel 2033, infatti, si celebreranno i duemila anni della Redenzione compiuta attraverso la passione, morte e risurrezione del Signore Gesù». Il pontefice è in particolar modo attento alle categorie sociali più deboli: i detenuti, per i quali si auspica con Levitico 25,10 quel cinquantesimo anno di liberazione, che attinge dall’ebraico deror, con ogni probabilità assunto dalla letteratura mesopotamica, che con anduraru indicava l’amnistia del re. Detenuti per i quali ha aperto una porta santa nel carcere romano di Regina Coeli. Poi gli ammalati, «specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale». Quindi i giovani che «purtroppo, vedono spesso crollare i loro sogni. Non possiamo deluderli: sul loro entusiasmo si fonda l’avvenire.. Ma è triste vedere giovani privi di speranza; d’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia.. Per questo il Giubileo – sottolinea con forza il successore di Pietro – sia nella Chiesa occasione di slancio nei loro confronti: con una rinnovata passione prendiamoci cura dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni! Vicinanza ai giovani, gioia e speranza della Chiesa e del mondo!». E prosegue: «Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti.. Ai tanti esuli, profughi e rifugiati», come pure agli anziani: «Un pensiero particolare rivolgo ai nonni e alle nonne, che rappresentano la trasmissione della fede e della saggezza di vita alle generazioni più giovani». Senza dimenticare coloro che evangelicamente “avremo sempre con noi”: «Non dimentichiamo: i poveri, quasi sempre, sono vittime, non colpevoli.. Facendo eco alla parola antica dei profeti, il Giubileo ricorda che i beni della Terra non sono destinati a pochi privilegiati, ma a tutti..». Terra che, stando ancora alla Scrittura, appartiene a Dio e noi tutti vi abitiamo come “forestieri e ospiti” (Lv 25,23). 

Papa Francesco fa poi un lunghissimo passo indietro, ricordando a tutti noi che durante il Giubileo del 2025 si compiono i «1700 anni dalla celebrazione del primo grande Concilio ecumenico, quello di Nicea.. – e prosegue – L’Anno giubilare potrà essere un’opportunità importante per dare concretezza a questa forma sinodale, che la comunità cristiana avverte oggi come espressione sempre più necessaria per meglio corrispondere all’urgenza dell’evangelizzazione: tutti i battezzati, ognuno con il proprio carisma e ministero, corresponsabili affinché molteplici segni di speranza testimonino la presenza di Dio nel mondo. Il Concilio di Nicea ebbe il compito di preservare l’unità, seriamente minacciata dalla negazione della divinità di Gesù Cristo e della sua uguaglianza con il Padre – parentesi: oggi siamo davvero così distanti da tutto ciò? Torniamo alla Spes non confundit – (a Nicea) Erano presenti circa trecento Vescovi, che si riunirono nel palazzo imperiale convocati su impulso dell’imperatore Costantino il 20 maggio 325. Dopo vari dibattimenti, tutti, con la grazia dello Spirito, si riconobbero nel Simbolo di fede che ancora oggi professiamo nella Celebrazione eucaristica domenicale. I Padri conciliari vollero iniziare quel Simbolo utilizzando per la prima volta l’espressione “Noi crediamo”, a testimonianza che in quel “Noi” tutte le Chiese si ritrovavano in comunione, e tutti i cristiani professavano la medesima fede.. Ma Nicea rappresenta anche un invito a tutte le Chiese e Comunità ecclesiali a procedere nel cammino verso l’unità visibile, a non stancarsi di cercare forme adeguate per corrispondere pienamente alla preghiera di Gesù: “Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Al Concilio di Nicea – conclude Francesco – si trattò anche della datazione della Pasqua. A tale riguardo, vi sono ancora oggi posizioni differenti, che impediscono di celebrare nello stesso giorno l’evento fondante della fede. Per una provvidenziale circostanza, ciò avverrà proprio nell’Anno 2025. Possa essere questo un appello per tutti i cristiani d’Oriente e d’Occidente a compiere un passo deciso verso l’unità intorno a una data comune per la Pasqua».

Dopo il lunghissimo passo indietro ecco quindi un tuffo nel futuro: «“Credo la vita eterna”: così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. Essa, infatti, “è la virtù teologale per la quale desideriamo.. la vita eterna come nostra felicità”. Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: “Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione”.. aprendo così il ciclo del tempo alla dimensione dell’eternità, alla vita che dura per sempre: questo è il traguardo a cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno (cfr. Rm 6,22)». Altro tema connesso alla vita eterna è quello del tanto temuto giudizio di Dio, rispetto al quale, «Se è giusto disporci con grande consapevolezza e serietà.. al tempo stesso è necessario farlo sempre nella dimensione della speranza, virtù teologale che sostiene la vita e permette di non cadere nella paura».

Quanto invece all’indulgenza e alla riconciliazione il papa auspica che le tante chiese giubilari siano luoghi fisici da intendere come sorgenti di speranza in cui potersi riconciliare con Dio e i fratelli: «L’indulgenza, infatti, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine “misericordia” fosse interscambiabile con quello di “indulgenza”, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini». Occorre pertanto lasciarsi abbracciare dal Padre in modo sacramentale, rappresentando la Riconciliazione «un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno». Pur sapendo che «il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto “ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio”. Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo». 

Passiamo ora ai principali simboli giubilari, quali sono?

Anzitutto la porta. Se Babilonia significa letteralmente “porta di dio” (bab-ilu), per sineddoche la porta indica l’intero tempio e, per estensione, le varie chiese, basiliche e cattedrali giubilari delle diverse diocesi. Se la sua apertura segna l’inizio di ogni Anno Santo, è anche vero che ogni porta, precisa lo studioso di simboli tedesco Manfred Lurker nel suo Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, «è associata all’idea della soglia o frontiera fra due zone, il fuori e il dentro, l’oggi e il domani, il profano e il sacro.. – e prosegue – (biblicamente) la porta chiusa è simbolo della mancata possibilità di salvezza. (ma) Culmine del simbolismo biblico della porta è l’autoproclamazione di Gesù: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo” (Gv 10,7ss)». Quanto a quella “giubilare”, nella Spes non confundit papa Francesco scrive: «..stabilisco che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano sia aperta il 24 dicembre del presente anno 2024, dando così inizio al Giubileo Ordinario. La domenica successiva, 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della mia cattedrale di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni della dedicazione. A seguire, il 1° gennaio 2025, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore. Infine, domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro domenica 28 dicembre dello stesso anno. Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per l’occasione». 

Quindi il pellegrinaggio. Nella stessa bolla il pontefice argentino afferma: «Non a caso il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità». 

Infine la pietra, dalla fortissima simbologia che percorre l’intera Bibbia: dal divieto del suo culto (Lv 26,1; Ez 20,32; Is 57,6) all’assurgere a simbolo della potenza divina (Gn 28,11-19; Gdc 6,21; Ez 28,14); dalla prima, posta a fondamento della terra da Dio stesso (Gb 38,4ss), all’apocalittica «pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve» (Ap 2,17). Ma è ancora una volta la centralità di Gesù a farla da padrona, lui che, “pietra scartata dai costruttori, è diventata testata d’angolo” (Mc 12,10; At 4,11), sarà «pietra di scandalo» per chi non crede (1Pt 2,7ss). La città santa di pietre importanti ne custodisce tre, sulle quali si fonda in qualche modo la fede delle grandi religioni monoteistiche: da quelle erodiane del tempio di Salomone a quella sepolcrale di Gesù, passando per la pietra della cupola della roccia, da cui Maometto ascese al cielo e attorno alla quale è stata costruita in seguito la moschea di Omar: «Tutte le grandi religioni – commenta ancora una volta il Ravasi – partono da una pietra simbolica per andare oltre, verso l’alto». 

Ma alla fine della fiera, a cosa mira davvero il Giubileo? Detto altrimenti, qual è il suo ideale?

Lasciamo rispondere a due personaggi vissuti a distanza di 1600 anni l’uno dall’altro. Il primo è sant’Ambrogio che, commentando la vicenda biblica di Naboth (un contadino sopraffatto dal re Acab e dalla moglie Gezabele, cfr. 1Re 21), scrisse: «Quando aiuti il povero, tu non gli dai del tuo, ma gli rendi il suo. Infatti la proprietà.. che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi»; il secondo è un dj londinese dei giorni nostri, il quale, intervenendo qualche anno fa in una nota radio italiana, disse che, da appassionato di biciclette vintage, se n’era viste rubare diverse.. sfortuna? Nient’affatto: non solo non le ha mai legate, ma non ha neppure denunciato alcun furto!? Alla domanda sul perché, la risposta è stata davvero commovente: «se ho avuto la fortuna di diventare ricco, diversamente da chi di volta in volta mi ha rubato le bici, voglio pensare che il suo furto sia stato semplicemente un riprendersi ciò che la “vita” non gli ha dato». Giubilare! 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Libreria suoni di Logic Pro
M.Da Rold. Jubilate Deo. Coro "Note in crescendo" diretto dal M° Fabio Pecci
Jubilate Deo. Taizé.

 

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