Testimoni: Raoul Follereau (17 Agosto)



Raoul Follereau (17 Agosto)
Oggi celebriamo la memoria di un grande uomo, il giornalista, poeta e filantropo Raoul Follereau, nato a Nevers, nella Borgogna francese, il 17 agosto 1903. Lo ricordiamo quindi proprio nel giorno in cui vide la luce di questo mondo. Cresciuto in una ricca famiglia di industriali, nel 1918 incontrò la sua futura moglie, Madeleine Boudou, che lo accompagnerà durante il suo “sogno”. Iniziò a scrivere molto presto: Le livre d’amour, pubblicato quando aveva appena 17 anni, è forse il suo libro più famoso, capace di vendere 10 milioni di copie, tradotte in ben 35 lingue. Dopo aver studiato diritto e filosofia, nel 1935, in qualità di inviato speciale del giornale La Nation, durante un safari africano fece un secondo e ancor più sconvolgente incontro, capace di segnarlo per la vita.p

Ovvero?
Il salesiano Teresio Bosco (1931-2019), grande divulgatore di biografie umanamente edificanti (da Martin Luther King a don Pino Puglisi, da san Massimiliano Kolbe a Gino Strada, da Gandhi all’ex calciatore inglese Tony Adams, passando ovviamente per tutti i salesiani più noti), non poteva privarci di quella di Follereau, che inizia proprio con l’episodio citato: «La nostra jeep aveva appena sorpassato il villaggio africano, allorché fummo costretti a fermarci presso uno stagno.. in quel momento emersero dalla foresta alcuni visi spauriti.. Domandai alla guida: “Chi sono quegli uomini?”, “Lebbrosi” – mi rispose.. “Perché stanno là?”, “Perché sono lebbrosi” – e sentenzia – Quel giorno compresi che esisteva un delitto imperdonabile.. la lebbra».   

Cos’è in concreto?
Si tratta di un’infezione cronica che si mostra con sintomi molteplici, ma, se curata, rende chi ne è affetto rapidamente non contagioso. Oggi in buona parte del mondo la lebbra è molto rara. Sebbene non sia così contagiosa come vuole la credenza popolare, raramente porta alla morte, nonostante ciò continua ad essere uno stigma sociale. 

Come mai?
Forse perché fino al 1940 era considerata incurabile, più probabilmente per via di ciò che causa: volto sfigurato, pelle tumefatta, arti amputati.. Fatto sta che il suo impatto sociale è psicologicamente pesante. Se nel 2020 i nuovi casi segnalati di lebbra ammontavano in tutto il mondo a circa 130. 000 (il 73% dei quali rilevati in India, Brasile e Indonesia), rimane vero che può svilupparsi ad ogni età, con prevalenza in persone tra i cinque e i quindici anni o oltre i trenta. 

Nella Sacra Scrittura si parla spesso di questa malattia..
Nel Dizionario di teologia biblica il francese Pierre Grelot esordisce affermando che «Nella stessa categoria della lebbra.. (nega’, parola che significa anzitutto “piaga, colpo”), la Bibbia raggruppa sotto nomi diversi parecchie affezioni cutanee particolarmente contagiose, e persino la muffa delle vesti e dei muri (Lv 13,47; 14,33)». Aggiunge poi che, siccome Dio è con tale “piaga” che colpisce i peccatori, essa è «per principio, un segno del peccato». Quanto alla guarigione, il biblista precisa che può avvenire in forma naturale o per miracolo: «Gesù, quando guarisce i lebbrosi (Mt 8,1-4; Lc 17,11-19), trionfa della piaga per eccellenza.. Purificando(li).. e reinserendoli nella comunità, egli abolisce con un atto miracoloso la separazione tra il puro e l’impuro». È proprio tale separazione che Follereau non accetta e critica ferocemente ai cristiani suoi contemporanei!

Tornando al filantropo francese, cos’altro sappiamo di lui?
Dopo aver scoperto le persone “di serie C”, i lebbrosi, da lui definiti “sottospecie umana condannata senza appello e senza amnistia”, tornò in Francia e, ad aspettarlo, c’era un altro e non meno serio problema: le truppe di Hitler stavano invadendo Parigi, mentre la polizia nazista andava cercando politici e intellettuali invisi al regime. Follereau era uno di questi, lui che già in passato non aveva esitato ad attaccarlo con la sua penna: “Hitler l’Anticristo”, infatti, fu solo il titolo di uno dei suoi tanti articoli..

Come affrontò la situazione?
Rifugiandosi, come molti altri della resistenza francese, in un convento, nel suo caso alla periferia di Lione e nelle vesti di giardiniere, nelle quali nel 1939 accolse lo sfogo di suor Eugenia Ravasio, superiora generale delle “Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli”, appena tornata da un’isoletta della Costa d’Avorio. Anche lei, come Raoul durante il suo safari africano, era rimasta sconvolta alla presenza dei lebbrosi. Il finto giardiniere non se lo fa ripetere due volte: due indizi fanno una prova. Inizia a rastrellare la Francia con una serie infinita di conferenze, denunciando la triste condizione di cui è a conoscenza: «Ragazzi di dodici anni senza mani, con la faccia sfigurata, che dormono nel sudiciume. Donne giovani impazzite per la fame. E noi giochiamo alla guerra..». Non si accontenta del predicozzo, chiede aiuto.

Viene ascoltato?
Dal 1942, in pieno conflitto mondiale, dà vita ad una serie di iniziative: L’ora dei poveri, cui quattro anni dopo segue il Natale del Padre de Foucauld, quindi fonda l’Ordine della Carità, poi Fondazione Raoul Follereau. Ma è solo nel 1953 che, con i soldi raccolti, riesce finalmente a inaugurare una vera città dei lebbrosi – in quell’isola della Costa d’Avorio – a misura umana, liberando di fatto tanti fratelli e sorelle segregati da questo stigma sociale.

Riuscì dunque a realizzare il suo sogno..
Nient’affatto, l’impresa era appena cominciata. Una volta compreso che l’isola di Adzopé era solo uno dei tanti luoghi di emarginazione del globo, decide di fare il giro del mondo (primo di trentuno!), e ciò che lo aspetta non è facile da digerire: «Nel XX secolo del cristianesimo – scrive – ho trovato lebbrosi in prigione, in manicomio, rinchiusi in cimiteri dissacrati, internati nel deserto con filo spinato attorno, riflettori e mitragliatrici. Ho visto le loro piaghe brulicare di mosche, i loro tuguri infetti, i guardiani col fucile. Ho visto un mondo inimmaginabile di orrori, di dolore, di disperazione». Tornato in patria ricomincia, con più solerzia di prima, la sua personale crociata: “l’amico dei lebbrosi” – così ormai lo chiamano – denuncia, scrive articoli e libri, si prodiga in infinite conferenze e mette in piedi un’iniziativa dietro l’altra. 

Un’impresa titanica.
Certo, ma gli è chiaro da subito che vincere la lebbra non sarà sufficiente fino a che ben altri tipi di lebbra continueranno a governare il cuore umano: l’indifferenza, l’egoismo e l’ingiustizia. «Non venitemi a dire che siamo cristiani – e lui lo era davvero – , a parlarmi di pace, libertà, fraternità, democrazia! Ho vergogna! Ho vergogna di mangiare, di dormire senza incubi, mentre milioni di esseri agonizzano e marciscono nella più immonda miseria, nella più atroce solitudine!». Decide allora di scrivere ai potenti della terra, ai ricchi e ai capi di Stato: «Per ogni milione che spendete in armi, datemi cento lire per i lebbrosi (la valuta al tempo era diversa, ndr), e io li guarirò tutti.. con il costo di due bombardieri si potrebbero curare tutti i lebbrosi del mondo.. ognuno di voi costruisca un bombardiere in meno.. Che cos’è per le vostre grandi e potenti nazioni un bombardiere in meno?», dice ai rappresentanti di Stati Uniti e Unione Sovietica.

Lo ascoltarono?
Non gli risposero neppure.. Ma non si diede per vinto: nel 1954 inventò la “Giornata mondiale dei malati di lebbra”, celebrata in circa 150 paesi, mentre dieci anni dopo rivolse all’ONU “Il costo di un giorno di guerra per la pace”, cui aderirono quattro milioni di giovani di oltre cento paesi. Il gesto più clamoroso fu tuttavia una richiesta che fece nel 1963, in occasione del suo sessantesimo compleanno: sessanta autoambulanze! Gliene diedero centoquattro. Ma i miracoli maggiori non furono opera dei “grandi”, al contrario. Durante una vigilia di Natale lanciò un appello a tutti i bambini: «Voi che a Natale sarete felici.. sappiate che vi sono nel mondo migliaia di piccoli che, come voi, vorrebbero essere felici, ma.. Saranno soli..», e propone di chiedere a mamma e papà il permesso di mettere tre scarpe nel camino, un paio per loro e la terza per un piccolo lebbroso. Successo strepitoso! A donare furono i bambini: ad esempio i 25 franchi consegnatigli in mano da un ragazzino che andò a bussare alla sua porta, o i 100 da parte di un bimbo povero di sette anni. Non solo, un diciassettenne un giorno gli donò le fedi nuziali dei suoi genitori deceduti.. finirono negli anulari di una coppia di lebbrosi, che benedisse l’unione proprio con quelle. Ma seppe rifiutare le donazioni forzate.   

Cioè? 
Un giorno una signora gli inviò una lettera, diceva: «Egregio Signore. Le mando mille franchi per i suoi amici ammalati, ma per favore non mi mandi più.. quelle orribili fotografie di lebbrosi. Da due notti – aggiungeva – faccio dei sogni terribili..». Follereau, nonostante l’ingente somma, non ci pensò due volte e rispedì i mille franchi al mittente: «Che Dio faccia che i suoi sogni cattivi durino ancora, madame. È il bene più grande che posso augurarle.. Le rimando i suoi soldi perché sono mal donati, e di essi, perciò, non saprei che farmene».

Wow!
Se Raoul non accettava il male per trarne il bene, non così il suo Signore. Il già citato Teresio Bosco riporta l’atroce storia che ebbe luogo nel più antico lebbrosario del Giappone: «Hori era una bambina orfana. Due zii cercarono un pretesto per sbarazzarsene. Aveva una piccola eruzione cutanea, e questo bastò per definirla “lebbrosa” e destinarla al lebbrosario più vicino.. Parecchi anni dopo ci si accorse che.. non aveva mai avuto la lebbra. Ma Hori.. rifiutò la libertà che le venne offerta.. il.. gesto vile (degli zii).. aveva deciso la sua vocazione. Nel lebbrosario era diventata cristiana e si era diplomata infermiera.. Da trent’anni, ormai, Hori era diventata la mamma di tutti i bambini lebbrosi dell’Ospedale della Risurrezione».  

Quando morì Follereau?
Il 6 dicembre 1977 a Parigi, dopo cinquant’anni di vita spesi per i suoi amici: oltre due milioni di chilometri percorsi e miliardi di lire raccolti gli fruttarono la guarigione di un milione di lebbrosi. Le sue spoglie mortali sono state inumate nel Cimitero d’Auteuil, nel XVI arrondissement della capitale transalpina.

«Grazie, Signore, per averci donato Raoul, vero amante dei poveri. Ti chiediamo di lasciarci spronare dalle ultime parole del suo testamento, corona di un’esistenza evangelica: “Testimoni troppo spesso legati al deterioramento di questo secolo (che fu per poco tempo così bello), spaventati da questa gigantesca corsa verso la morte di coloro che confiscano i nostri destini, asfissiati da un “progresso” folgorante, divoratore ma paralizzante, con il cuore frantumato da questo grido “ho fame!” che si alza incessante dai due terzi del mondo, rimane solo questo supremo e sublime rimedio: Essere veramente fratelli. Allora.. domani? Domani, siete voi”».

 


 

Recita
Nicole Macrelli, Cristian Messina

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